Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26325 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 26325 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22713/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliatosi in ROMA INDIRIZZO presso RAGIONE_SOCIALE LEGALE TRIBUTARIO (-) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DEL LAZIO n. 5659/2018 depositata il 29/08/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/04/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale III di Roma notificava alla società RAGIONE_SOCIALE esercente l’attività di commercio effettuato per mezzo di distributori automatici, l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, relativo all’anno d’imposta 2010, con il quale contestava l’illegittima deduzione dei costi non certi, non inerenti e non oggettivamente determinati ai fini Ires e Irap per € 408.907,83 e 80.452,34 ai fini Iva; nonché l’illegittima deduzione di costi documentati da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, per un importo complessivo di € 1.392.716,06 ed Iva pari ad € 278.394,29, con conseguente recupero a tassazione ai fini Iva per un importo pari ad € 224.283,24 ai sensi dell’art. 19 DPR 633/72, al netto dell’Iva già recuperata a tassazione con il primo rilievo.
Notificava inoltre l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, relativo all’anno d’imposta 2011, con il quale contestava l’illegittima deduzione dei costi non certi, non inerenti e non oggettivamente determinati ai fini Ires e Irap per € 511.512,00 ed € 101.320,00 ai fini Iva; nonché l’illegittima deduzione di costi documentati da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, per un importo complessivo di € 1.141.287,15 ed Iva pari ad € 231.011,47, con conseguente recupero a tassazione dell’Iva per un importo pari a € 178.283,51 ai sensi dell’art. 19 DPR 633/72, al netto dell’Iva già recuperata a tassazione con il primo rilievo.
In particolare, l’Ufficio contestava la deducibilità/detraibilità degli importi qualificati come “premi/incentivi” oggetto di fatture ricevute mensilmente da diversi consorzi e società cooperative e relativi a
contratti di mandato stipulati dalla RAGIONE_SOCIALE i quali prevedevano che, in aggiunta ai corrispettivi contrattuali, « il committente potrà corrispondere all’appaltatore dei compensi addizionali per prestazioni rese, non contemplate nel presente contratto e con pattuizione economica concordata di volta in volta ». L’Ufficio contestava, inoltre, la detraibilità dell’IVA relativa alle operazioni intercorse con i consorzi CITEC e CITES, che erano da considerarsi “soggetti “fantasma” o “cartiere”, privi di una reale struttura organizzativa economico-aziendale idonea alla svolgimento di un’attività economica, il cui unico scopo consisteva nell’emissione di fatture nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (e di altre società), al fine di consentire alla menzionata RAGIONE_SOCIALE di evadere le imposte e, più precisamente, conseguire un illegittimo credito Iva.
La contribuente impugnava gli avvisi di accertamento con distinti ricorsi dinanzi alla CTP di Roma che, con sentenza n. 16231/2017, previa riunione, li accoglieva.
Avverso tale sentenza proponeva appello l’Ufficio.
La CTR del Lazio, con sentenza n. 5659/2018 del 23 luglio 2018 e depositata il 29/08/2018, ritenendo che l’Ufficio non avesse fornito sufficienti elementi per sostenere l’illecita deduzione dei costi contestati, respingeva l’appello e condannava l’Agenzia al rimborso in favore della società appellata delle spese processuali liquidate in euro 6.000.00.
L’Agenzia delle Entrate propone ora ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Resiste la contribuente con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si contesta la violazione degli artt. 654 c.p.p., 20 D.Lgs. 10/3/2000 n. 74, 19 comma 1 e 54, comma 2 D.P.R. 633/1972 e 2697, 2727 e 2729 cod. civ., nonché dei
principi indicati nelle sentenze della Corte di Giustizia C-354/03, C355/03, C-485/03, C- 439/04 e C440/04, in relazione all’art. 360, comma 1, n.3, cod. proc. civ., per aver la CTR omesso di effettuare una propria autonoma valutazione del materiale probatorio in atti, limitandosi ad affermazioni generiche e non circostanziate, nonché motivando l’annullamento degli atti impositivi sul solo rilievo che l’operato dell’Ufficio avesse mancato di accertare la partecipazione consapevole della verificata al sistema fraudolento posto in essere dai consorzi RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
Con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione degli artt. 2697 e 2727 cod. civ., 109 D.P.R. 917/1986 e 19 D.P.R. n. 633/1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR ritenuto i costi deducibili sulla base del solo presupposto che la società abbia meramente dedotto che si trattava di premi commisurati a valutazioni delle performance delle imprese appaltatrici, omettendo di verificare se di ciò essa avesse dato prova concreta, nonché in base a quali criteri tali premi venissero elargiti.
Il primo motivo è fondato.
La CTR ha testualmente osservato in motivazione, con riferimento al primo dei due rilievi alla base dell’atto impositivo, che ‘ il principio della separatezza del giudizio tributario da quello penale certamente non comporta che il giudice tributario non possa tener conto di quanto accertato in sede penale in ordine agli stessi fatti aventi rilievo sul piano tributario. I giudici di primo grado hanno in modo logicamente ineccepibile ravvisato la pertinenza dei fatti trattati nel processo penale a carico dell’amministratore dell’RAGIONE_SOCIALE, società partecipata dalla RAGIONE_SOCIALE, rispetto a quelli attinenti alla presente controversia tributaria, sia per il collegamento tra le due società, sia perché ad entrambe è stato contestato dì aver dedotto costi documentati da fatture emesse dai medesimi due Consorzi RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, ritenuti, in sostanza, soggetti
di comodo esistenti solo sul piano formale. La sostanziale corrispondenza della natura degli addebiti verso le due società (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) è stata del resto ravvisata nel procedimento penale a carico dell’amministratore della RAGIONE_SOCIALE, prosciolto dalle accuse di reati tributari in sede istruttoria, come da provvedimento di archiviazione prodotto dalla parte appellata, per gli stessi fatti dedotti negli avvisi di accertamento impugnati. Nel merito questa Commissione Tributaria Regionale condivide le conclusioni cui si è pervenuti in primo grado, secondo le quali, in sostanza, l’Agenzia non ha offerto, negli avvisi di accertamento impugnati, elementi sufficienti per far ritenere illecita la deduzione dei costi risultanti dalle fatture emessi dai due menzionati consorzi nei confronti della RAGIONE_SOCIALE. In primo luogo non è stato accertato, nella vicenda penale, che quest’ultima si sia resa partecipe o fosse consapevole di una frode fiscale in materia di IVA. Inoltre, gli elementi offerti dalla Methodo appaiono denotare, secondo i documenti prodotti in giudizio, l’esercizio di un controllo sull’effettività dei consorzi, attraverso l’acquisizione degli attestati dei versamenti contributivi Inps e Inail e delle visure presso la camera di commercio. Sotto questo primo profilo esaminato l’appello dell’Agenzia è da ritenersi dunque infondato ‘.
Non rileva l’art. 21 -bis del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal d.lgs. n. 87 del 2024, che riconosce efficacia di giudicato nel processo tributario alla sentenza penale dibattimentale irrevocabile di assoluzione.
La circostanza che il legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE sia stato assolto con sentenza del Tribunale di Tivoli n. 774/2016 del 2 aprile 2016, in esito a dibattimento penale, per non essere stata fornita la prova che le fatture emesse nei confronti dei consorzi RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE si riferissero ad operazioni inesistenti, non ha, infatti, refluenza alcuna nel presente giudizio. Detta sentenza riguarda, invero, società altra rispetto a quella destinataria dell’atto impositivo alla
base del presente giudizio e nella quale la RAGIONE_SOCIALE deteneva, peraltro, una mera partecipazione di minoranza relativa.
Che RAGIONE_SOCIALE e Methodo agissero secondo dinamiche di reciproca correlazione non esclude infatti tre profili salienti: che dette società fossero soggetti differenti e autonomi; che l’avviso di accertamento concernente Methodo abbia un’identità distinta e separata, che non lambisce, tanto meno coinvolge la RAGIONE_SOCIALE; che il procedimento penale relativo alla Methodo sia stato separatamente definito con un’archiviazione, provvedimento che esula dall’ambito applicativo del 21bis del d.lgs. n. 74 del 2000.
Non sussistono, quindi, i presupposti per l’applicazione del comma 3 del richiamato art. 21bis del d.lgs. n. 74/2000, introdotto dal d.lgs. n. 87 del 2024, secondo cui ‘ Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche … nei confronti dell’ente e società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati’ .
Né la circostanza che la COGNOME fosse socia della RAGIONE_SOCIALE muta i termini della questione, poiché la disposizione richiamata presuppone pur sempre una sentenza dibattimentale irrevocabile di assoluzione riferita al medesimo soggetto giuridico, mentre nel caso di specie il procedimento che riguarda la COGNOME si è definito con archiviazione, atto privo di efficacia estensiva ai sensi dell’art. 21bis , comma 3.
In termini ancor più specifici, ci troviamo, con riferimento alla Methodo, al cospetto di un autonomo procedimento, definito da un mero provvedimento di archiviazione, che di per sé postula proprio la mancata celebrazione del processo penale.
Poiché a venire in rilievo è un’archiviazione non si pone in radice nemmeno un problema di estensione del giudicato penale nel perimetro del rapporto tributario.
Del resto, questa Corte ha già osservato che ‘ In tema di processo tributario, il provvedimento di archiviazione pronunciato in sede penale ex art. 408 c.p.p. non impedisce che lo stesso fatto venga diversamente definito, valutato e qualificato dal giudice tributario, poiché, a differenza della sentenza pronunciata all’esito del dibattimento, detto decreto ha per presupposto la mancanza di un processo e non dà luogo ad alcuna preclusione, non rientrando nemmeno tra i provvedimenti dotati di autorità di cosa giudicata giusta il disposto dell’art. 654 c.p.p.’ (Cass. n. 16649 del 2020; v. anche Cass. n. 8999 del 2014).
Per converso, a venire in apice è l’esigenza trascurata -di un esame specifico da parte del giudice del rapporto fiscale dei medesimi fatti già vagliati in sede penale.
Nella specie, la CTR, nel decidere sul punto la controversia ha omesso di esercitare i propri poteri di autonoma valutazione del materiale probatorio acquisito agli atti, limitandosi a evidenziare « la pertinenza dei fatti trattati nel processo penale a carico dell’amministratore dell’RAGIONE_SOCIALE, società partecipata dalla RAGIONE_SOCIALE, rispetto a quelli attinenti alla presente controversia tributaria » e il fatto che « la sostanziale corrispondenza delia natura degli addebiti verso le due società (RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE) è stata del resto ravvisata nel procedimento penale a carico dell’amministratore della RAGIONE_SOCIALE, prosciolto dalle accuse di reati tributari in sede istruttoria, come da provvedimento di archiviazione prodotto dalla parte appellata, per gli stessi fatti dedotti negli avvisi di accertamento impugnati »; laddove, in relazione all’elemento soggettivo, ha soggiunto che « non è stato accertato, nella vicenda penale, che quest’ultima si sia resa partecipe o fosse consapevole di una frode fiscale in materia di IVA », anche perché la contribuente ha esercitato « un controllo sull’effettività dei consorzi, attraverso l’acquisizione degli attestati
dei versamenti contributivi Inps e Inail e delle visure presso la camera di commerci o».
La CTR ha tralasciato del tutto per un verso di scandagliare la concreta attività dei Consorzi, ancorché l’Agenzia ricorrente avesse in costanza di giudizio dedotto puntualmente: che tale attività consisteva esclusivamente nell’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e di altre società (come la RAGIONE_SOCIALE, destinataria di diverso ed autonomo accertamento); che il Consorzio RAGIONE_SOCIALE era privo di una reale struttura organizzativa economico-aziendale idonea allo svolgimento di un’attività; che il consorzio anzidetto difettava di beni strumentali e utenze, non aveva personale amministrativo e operativo, né deteneva beni in forza di contratti di locazione; che detto consorzio risultava aver svolto le attività di ‘ lavori generali di costruzione di edifici e fabbricazione di materassi ‘, non coerenti con l’attività di commercio di distributori automatici esercitata dalla RAGIONE_SOCIALE; che il legale rappresentante del consorzio era risultato estraneo alle sua attività; che dal 2006 non erano state presentate le dichiarazioni ai fini dell’IRES, dell’IRAP e dell’IVA e dal 2009 la dichiarazione dei sostituti d’imposta; che l’ultimo bilancio d’esercizio depositato risaliva al 2005; che risultavano numerose partite di ruolo, per oltre 6 milioni di euro, per imposte dichiarate ma non versate e per maggiori imposte accertate); che il Consorzio RAGIONE_SOCIALE era anch’esso privo di reale struttura organizzativa per i medesimi profili enucleati in relazione all’altro consorzio; che tali COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, adoperavano il Consorzio RAGIONE_SOCIALE come schermo giuridico finalizzato all’emissione, dietro corrispettivo, di false fatturazioni a favore di altri operatori economici che ne traevano illeciti vantaggi fiscali; che la sede legale di RAGIONE_SOCIALE risultava stabilita presso un immobile riconducibile al predetto COGNOME NOME nel quale, tuttavia, operava il sig. COGNOME; che RAGIONE_SOCIALE aveva quale rappresentante legale un
prestanome; che il consorzio nell’anno 2009 aveva presentato le dichiarazioni fiscali indicando ricavi nulli ai fini delle imposte dirette ed un corrispondente volume d’affari ai fini IVA mentre non aveva presentato la dichiarazione dei sostituti di imposta; che le ultime dichiarazioni fiscali presentate risalivano all’anno 2011, eccezione fatta per la dichiarazione dei sostituti d’imposta, presentata l’ultima volta per l’anno 2012; che i versamenti, effettuati dal 2010 al 2012, riguardavano quasi esclusivamente ritenute relative ai redditi erogati a favore di due soggetti. Per altro verso, quanto all’elemento soggettivo, non ha valutato la circostanza, sottolineata dall’Agenzia, che COGNOME, COGNOME e COGNOME, direttamente od indirettamente, risultavano beneficiari di consistenti flussi finanziari distratti dai c/c bancari della Cites tramite prelievi di contante, emissione di assegni circolari e disposizioni di bonifico, in particolare per ciò che concerne i pagamenti delle fittizie forniture effettuate dalla RAGIONE_SOCIALE società alla quale la RAGIONE_SOCIALE oltre ai citati Consorzi, appaltava fittiziamente la propria attività, riconducibile agli stessi tre soggetti.
Gli elementi posti in rassegna sono stati del tutto trascurati dalla CTR, che ha finito per abdicare all’accertamento al quale era deputata.
In tal modo, il giudice d’appello, obliterando la valutazione dei plurimi elementi sottoposti al suo vaglio, si è posto in urto con il principio affermato da questa Corte secondo cui ‘ In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta,
della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto ‘ (Cass. n. 15369 del 2020; Cass. n. 25566 del 2018).
In particolare, viene in apice il principio nomofilattico alla stregua del quale ‘ In tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento ‘ (Cass. n. 5374 del 2017). Invero, contrariamente a quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, il giudice d’appello ha trascurato
l’esame analitico degli elementi dedotti dall’Amministrazione e ha tralasciato di apprezzarne l’incidenza probatoria in un quadro di sintesi. In tal modo, la CTR si è posta in urto con il principio su riportato e a più riprese affermato da questa Corte, secondo cui ‘ In tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento ‘ (anche Cass. n. 9059 del 2018; Cass. n. 27410 del 2019, nonché, da ultimo, Cass. nn. 21508 e 21509 del 2025).
Il secondo motivo è fondato.
La CTR ha affermato la deducibilità dei ‘premi’ sulla mera circostanza per cui gli stessi erano commisurati a valutazioni delle performance delle imprese appaltatrici. In particolare, il giudice
d’appello ha osservato che ‘ Sotto questo profilo appaiono fondati gli argomenti ribaditi dalla società in questo grado d’appello, non apparendo dimostrato che i premi in questione non siano stati effettivamente pagati, che non siano stati oggetto di una previsione contrattuale e che non attengano, per la loro natura, a costi sostenuti dalla società per lo svolgimento dell’attività imprenditoriale. Né appare condivisibile la contestazione, da parte dell’Agenzia, dell’inerenza, in concreto, di tali costi all’attività imprenditoriale, contestazione che l’Ufficio desume dalla circostanza che la concreta elargizione dei premi era rimessa a valutazione discrezionali dell’impresa appaltatrice e alla genericità della clausola contrattuale. Invero la società appellata ha dedotto che i premi erano commisurati a valutazioni delle performance delle imprese appaltatrici, secondo criteri predeterminati e in base a dati risultanti dalla compilazione di schede periodiche. In ogni caso i criteri erogazione di tali premi, per quanto discrezionali, attengono una sfera insindacabile delle scelte imprenditoriali, il cui contenuto non pare costituire indizio serio, nel caso di specie, di non inerenza degli importi liquidati all’attività produttiva della società ».
Quanto all’iva, ai fini dell’assoggettabilità all’imposta di una prestazione di servizi, e del conseguente diritto alla detrazione dell’imposta assolta, giova ribadire che il nucleo della corrispettività necessario all’identificazione della prestazione di servizi imponibile, in base alle coordinate fornite dalla Corte di giustizia, è ravvisabile nel nesso diretto tra il servizio fornito al destinatario e il compenso ricevuto, sicché il carattere incerto della stessa esistenza del compenso, spezzando il nesso, sottrae la prestazione all’area dell’imponibilità. È quel che la giurisprudenza unionale ha ritenuto, a proposito della messa a disposizione di cavalli per la partecipazione a gare ippiche, considerata presupposto impositivo dell’iva soltanto se sia di per sé compensata, indipendentemente dal conseguimento di premi (Corte giust. 10 novembre 2016, causa
C-432/15, Bastovà; ne fanno applicazione nella giurisprudenza interna, fra varie, Cass. n. 14406 del 2017, Cass. n. 5515 del 2018 e Cass. n. 9075 del 2021; da ultimo, sulla necessità che le modalità della remunerazione della prestazione di servizi siano fissate in anticipo e secondo precisi criteri, di modo da escludere incertezze, v. Corte giust. 4 settembre 2025, causa C-726/23, RAGIONE_SOCIALE , punto 47).
La nozione unionale di «prestazioni di servizi» ha difatti carattere oggettivo e si applica a prescindere delle finalità e dai risultati delle operazioni coinvolte (tra varie, Corte giust. 20 giugno 2013, Newey, causa C-653/11, punto 41).
Le statuizioni della sentenza impugnata non riescono quindi a restituire la sussistenza in parte qua di una prestazione imponibile ai fini iva, là dove si sostiene che, allorquando la prestazione è stata resa, ne era appunto incerto il compenso aggiuntivo, dipendente dal conseguimento degli obiettivi dei quali dà conto la stessa contribuente e da valutazioni ‘secondo criteri di erogazione discrezionali ‘ dell’impresa appaltatrice .
Quanto alle imposte dirette, la CTR ha ribaltato gli oneri probatori ascrivendo all’Amministrazione quello dell’inerenza , della certezza e della congruità dei costi sostenuti.
In realtà, ‘ In tema di reddito d’impresa, ai fini della deducibilità dei costi sostenuti, il contribuente è tenuto a dimostrarne l’inerenza, intesa in termini qualitativi e dunque di compatibilità, coerenza e correlazione, non già ai ricavi in sé, ma all’attività imprenditoriale svolta, sicché deve provare e documentare l’imponibile maturato, ossia l’esistenza e la natura dei costi, i relativi fatti giustificativi e la loro concreta destinazione alla produzione ‘ (Cass. n. 2224 del 2021). Invero, per costante giurisprudenza di codesta Suprema Corte (v. ex multis Cass. n. 30035 del 2018) « in tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta, infatti, al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove
contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili; a tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa». Inoltre, «poiché nei poteri dell’amministrazione finanziaria in sede di accertamento rientra la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, con negazione della deducibilità di parte di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, l’onere della prova dell’inerenza dei costi, gravante sul contribuente, ha ad oggetto anche la congruità dei medesimi ». Nel caso in esame, invece, il giudice d’appello si è contentato della ‘deduzione’ ‘ che i premi erano commisurati a valutazioni delle performance delle imprese appaltatrici, secondo criteri predeterminati e in base a dati risultanti dalla compilazione di schede periodiche ‘ .
In ultima analisi, il ricorso va accolto con riguardo ad ambedue le censure. La sentenza d’appello va cassata e la causa rinviata per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado del Lazio.
P.Q.M.
accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso. Cassa la sentenza d’appello e rinvia la causa per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado del Lazio in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 29/04/2025.
La Presidente
NOME COGNOME