Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8120 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8120 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 27/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10842/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE domiciliata ‘ex lege’ in ROMA INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOME e NOME
-intimati- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA CAMPANIA-NAPOLISEZ.DIST. SALERNO n. 5147/2020 depositata il 29/10/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
1. In punto di fatto, dalla sentenza in epigrafe evincesi quanto segue:
Con avviso di accertamento, relativo all’anno 2012, l’Agenzia delle Entrate contestava alla RAGIONE_SOCIALE la esistenza di irregolarità nella contabilità, per cui procedeva al recupero a tassazione dell’IVA, per un importo di € 16.157,00, relativamente a fatture di acquisto di autoveicoli ritenute per operazioni soggettivamente inesistenti; il recupero a tassazione ai fini IRES ed IRAP per un imponibile di € 7.500,00 nonché IVA per € 12.600,00, per acquisti non inerenti l’attività di impresa.
Con il primo recupero l’Ufficio riteneva che la sussistenza delle operazioni soggettivamente inesistenti in riferimento alle fatture di acquisto emesse nei confronti della RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, società che importava autoveicoli dalla Spagna per rivenderli sul territorio nazionale, risultando tale società semplice cartiera, con conseguente mancato riconoscimento dell’IVA versata.
Con il secondo recupero l’Ufficio contestava che l’acquisto di una imbarcazione non poteva collegarsi con l’attività di impresa, per cui recuperava la quota di ammortamento dell’anno, pari ad € 7.500,00 e l’indebita detrazione di IVA per € 12.600,00.
.
a CTP di Avellino, sez. 2°, emetteva la sentenza n. 1289/2018, depositata il 27.11.2018, con la quale accoglieva il ricorso annullando l’atto impugnato.
Proponeva appello l’Agenzia delle entrate, rigettato dalla CTR della Campania, con la sentenza in epigrafe, sulla base, essenzialmente, della seguente motivazione:
Ritiene l’ufficio di aver dimostrato la loro presenza nei rapporti commerciali intercorsi tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME in considerazione della acclarata sussistenza di una frode, non avendo quest’ultima società presentato dichiarazione dei redditi, per svariati anni, evadendo l’IVA indicata nelle fatture di vendita.
Evidenzia l’avvenuta dimostrazione in via presuntiva della frode intracomunitaria nel settore del commercio di autoveicoli e la mancata dimostrazione da parte della contribuente della estraneità alla suddetta frode, non avendo fornito alcun elemento significativo, aldilà del pagamento effettuato in modo tracciato.
L’assenza di referenze in ordine al titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE, l’acquisto ad un prezzo inferiore a quello corrisposto al fornitore comunitario, il notevole ricarico praticato in sede di vendita, dovevano indurre i primi Giudici a confermare l’attendibilità della ricostruzione dell’ufficio in ordine alla qualificazione delle fatture di acquisto come soggettivamente inesistenti, con conseguente indetraibilità dell’IVA.
La Commissione ritiene che tale doglianza sollevata dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della sentenza di primo grado in merito alla sussistenza delle operazioni soggettivamente inesistenti vada disattesa.
Ed infatti, correttamente i primi Giudici rilevano che compete all’Amministrazione provare la inesistenza soggettiva di una operazione anche in maniera presuntiva, nonché la conoscenza o conoscibilità da parte del cessionario della frode stessa.
Correttamente è stata valutata la circostanza che, trattandosi di una operazione di vendita online, doveva ritenersi che la mancata conoscenza di referenze della interposta NOME COGNOME si potesse giustificare dall’utilizzo di siti Internet senza la necessità di una partecipazione personale delle parti, cosa che avrebbe potuto indurre la NOME COGNOME ad avere qualche dubbio sulla legittimità delle operazioni a compiersi.
Anche le ulteriori considerazioni poste dall’Agenzia delle Entrate in ordine all’acquisto a prezzo inferiore a quello di mercato ed al notevole ricarico applicato nelle vendite, risulta smentita dalla documentazione prodotta in atti, avendo rilevato la Commissione di prime cure, la congruità dei prezzi di acquisto e del ricarico applicato, per cui anche
sotto tale aspetto non vi sono segnali di comportamento fraudolento da parte della Frank COGNOME.
In sede di appello l’Agenzia ripropone le stesse considerazioni senza null’altro aggiungere che possa scalfire la corretta decisione di primo grado sul punto.
Va confermata la sentenza di primo grado anche in ordine al secondo recupero effettuato dall’Agenzia delle Entrate in ordine alla inerenza dell’acquisto di una imbarcazione a motore con conseguente detrazione dell’Iva e deduzione della quota di ammortamento nell’anno.
Ed invero, la Commissione di prime cure ha correttamente evidenziato l’inserimento nello statuto della società dell’attività di noleggio di imbarcazioni, per cui al fine di contestarne la inerenza l’agenzia avrebbe dovuto dimostrare il diverso utilizzo del bene.
Viceversa, risulta provato l’inutilizzo di tale bene da parte della società, circostanza avvalorata anche dalla vendita dell’imbarcazione, avvenuta solo tre anni dopo averla acquistata.
L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione con due motivi. Resiste NOME COGNOME con controricorso. NOME NOME e NOME restano intimati.
In data 26 febbraio 2025, NOME COGNOME deposita ampia memoria, ulteriormente illustrativa delle ragioni di resistenza al ricorso.
Considerato che:
Primo motivo: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 19 e dell’art. 54 comma 2 del DPR 633/72 nonché dell’art. 2697 cc in relazione all’art. 360 n. 3 cpc’.
1.1. ‘Secondo normativa è onere della parte contribuente, che si avvale della detrazione d’imposta sulle spese sopportate nell’esercizio d’impresa, dimostrare in modo puntuale l’effettiva esecuzione delle prestazioni, inerenti all’attività d’impresa, nonché l’uso della buona fede qualificata nella verifica dell’attendibilità del soggetto fornitore del bene, soprattutto laddove, come nel caso di specie, la ditta operi sul web, considerato il connaturale rischio di imbattersi su Internet in soggetti inaffidabili. Ciò che, invece, l’amministrazione è tenuta a
provare è l’inesistenza di una struttura organizzativa della società fornitrice, anche mediante l’uso di elementi presuntivi, sintomatici della inesistenza dell’operatore commerciale. Sul punto l’ufficio ha sempre evidenziato che la società non possedeva una struttura organizzativa, non aveva presentato alcuna dichiarazione dei redditi, né mai versato l’IVA, provvedendo la ditta spagnola alla consegna dei veicoli in luogo della interponente Frank RAGIONE_SOCIALE.
1.2. Il motivo -non inammissibile, perché, a differenza di quanto eccepito in controricorso, non denuncia un vizio di motivazione (precluso dalla cd. doppia conforme), né sollecita una rivisitazione di merito, ma enuclea precise violazioni di legge, coerentemente ragguagliandole al corretto paradigma censorio -è fondato e merita accoglimento.
1.2.1. In un coerente quadro d’insieme, la giurisprudenza unionale e quella interna hanno fatto chiarezza sul riparto degli oneri probatori tra Amministrazione e contribuente in caso di fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti.
L’insegnamento della prima – a termini della quale, dinanzi ad operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione è tenuta a provare che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione dell’IVA, ma non anche la par -tecipazione all’evasione stessa (cfr. Corte Giust Ppuh, C -277/14; Corte Giust. COGNOME, C -285/11) – è invero recepito dalla seconda, in seno alla quale trovasi costantemente ripetuto il principio secondo cui, ‘in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in ba -se ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a cono -scenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in
ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesi -stenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto in -combente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto’ (Sez. 5, n. 15369 del 20/07/2020, Rv. 658429 -01, cui ‘adde’, da ultimo, in ipotesi di ‘re -verse charge’, Sez. 5, n. 4250 del 10/02/2022, Rv. 663882 -01). Donde, ancor più esplicitamente, ‘in tema di IVA, in virtù degli artt. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 17 della Direttiva UE 17 maggio 1977, n. 388, osta al riconoscimento del diritto alla relativa detrazione da parte del cessionario, non soltanto la prova del suo coinvolgimento nella frode fiscale, ma anche quella della mera conoscibilità dell’inserimento dell’operazione in un fenomeno criminoso, volto all’evasione fiscale, la quale sussiste ove il cessionario, pur essendo estraneo alle condotte evasive, ne avrebbe potuto acquisire consapevolezza mediante l’impiego della specifica diligenza professionale richiesta all’operatore economico, avuto riguardo alle concrete modalità e alle condizioni di tempo e di luogo in cui si sono svolti i rapporti commerciali, mentre non occorre anche il conseguimento di un effettivo vantaggio’ (Sez. 5, n. 13803 del 18/06/2014, Rv. 631554 -01, ribadita da Sez. 6 -5, n. 13545 del 30/05/2018, Rv. 648691 -01).
Rispetto a tale consolidato stato della giurisprudenza, sia unio -nale che interna, deve soltanto precisarsi che la prova gravante sull’Amministrazione ben può consistere in attendibili indizi, anche tratti da indagini penali, siccome idonei ad integrare finanche una presunzione semplice, in conformità a quanto, per l’IVA, espressamente prevede l’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 (cfr., da un lato, Corte Giust. COGNOME e David, C -80/11 e C –
142/11 e Corte Giust. Kittel, C -439/04; dall’altro, ‘ex multis’, Sez. 6 -5, n. 14237 del 07/06/2017, Rv. 644435 -01).
1.2.2. Sotto altro profilo, in tema di prova per presunzioni, mediante la quale, come appena visto, l’Amministrazione può dimostrare la soggettiva insussistenza delle operazione, vige il principio secondo cui ‘il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento’ (Sez. 3, n. 9059 del 12/04/2018, Rv. 648589 -01.
In specificazione del principio di cui innanzi s’è ulteriormente precisato che ‘il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni ‘gravi, precise e concordanti’, laddove il requisito della ‘precisione’ è riferito al fatto noto, che deve essere
determinato nella realtà storica, quello della ‘gravità’ al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della ‘concordanza’, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma’ (Sez. 2, n. 9054 del 21/03/2022, Rv. 664316 -01).
1.2.3. La CTR ha patentemente inosservato i superiori principi.
Essa ha pretermesso la valutazione -dapprima singolarmente indi unitariamente, in funzione dell’idoneità a comporre un quadro d’insieme dotato di logicità e coerenza di tutti i numerosi elementi addotti indiziariamente dall’Ufficio a sostegno dell’inesistenza soggettiva delle operazioni, con particolare riguardo
alla natura di mera cartiera -di per sé stessa dai contribuenti neppure contestata -di NOME COGNOME di NOME COGNOME.
Inoltre, destituita di ogni fondamento è l’affermazione della CTR secondo cui, ‘trattandosi di una operazione di vendita online, doveva ritenersi che la mancata conoscenza di referenze della interposta NOME COGNOME, si potesse giustificare dall’utilizzo di siti Internet senza la necessità di una partecipazione personale delle parti’. Invero, l’utilizzo di siti Internet rappresenta una pure e semplice modalità di conclusione del contratto, che in nulla lo differenzia dal contratto concluso secondo modalità tradizionali e che pertanto non esime chi prende parte alle trattative dalla doverosa osservanza di tutte le cautele imposte dalla diligenza professionale qualificata onde evitare il coinvolgimento in operazioni illecite: cautele che comprendono, in via finanche minimale, preventive verifiche su effettività ed affidabilità dell’altro contraente, alla stregua di per vero comuni accorgimenti delle prassi commerciali, di cui anzi è tanto più avvertita l’esigenza nel commercio telematico in ragione della spersonalizzazione dei rapporti .
Secondo motivo: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del TUIR in combinato disposto con l’art. 2697 cc in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’.
2.1. ‘La strumentalità del bene all’esercizio d’impresa e, quindi, la sua essenzialità nell’attività commerciale va provata in modo rigoroso dalla parte che l’utilizza per ottenere la deduzione del costo di acquisto del bene’.
2.2. Il motivo – esso pure non inammissibile per le medesime ragioni espresse a proposito del primo – è fondato e merita accoglimento.
Questa S.C. insegna che ‘il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa (e non dall’art. 75, comma 5 del d.P.R. n. 917 del 1986, ora art. 109, comma 5, del medesimo d.P.R., riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera
estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assumendo rilevanza la congruità delle spese, perché il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo. Peraltro, l’onere di provare e documentare l’imponibile maturato e dunque l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto d’impresa, grava sul contribuente’ (Sez. 5, n. 30366 del 21/11/2019, Rv. 655932 -01; in termini Id., n. 24880 del 18/08/2022. Rv. 665495 -01). L’affermazione in ordine all’incombenza dell’onere della prova su chi pretende di dedurre il costo rappresenta un principio costantemente ribadito dalla S.C., la quale, per esempio, specificato ‘il requisito dell’inerenza dei costi deducibili attiene alla compatibilità, coerenza e correlazione di detti costi non ai ricavi in sé, bensì all’attività imprenditoriale svolta idonea a produrre redditi’, ha nella specie ‘escluso tale requisito non avendo la società contribuente provato la correlazione esistente tra perdita derivante e la finalità di copertura di operazioni attinenti all’attività d’impresa’ (Sez. 5, n. 902 del 17/01/2020, Rv. 656646 -01). Ciò equivale a dire che ‘il contribuente è tenuto a dimostrarne l’inerenza, intesa in termini qualitativi e dunque di compatibilità, coerenza e correlazione, non già ai ricavi in sé, ma all’attività imprenditoriale svolta, sicché deve provare e documentare l’imponibile maturato, ossia l’esistenza e la natura dei costi, i relativi fatti giustificativi e la loro concreta destinazione alla produzione’ (Sez. 5, n. 2224 del 02/02/2021, Rv. 660447 -01).
Sotto altro profilo, ‘l’inerenza delle singole spese e dei costi affrontati, indispensabile per ottenerne la deduzione ex art. 109 del TUIR, è riscontrabile non solo se l’attività svolta rientra tra quelle previste nello statuto sociale, circostanza che ha un valore
meramente indiziario, ma anche quando essa è destinata, almeno potenzialmente, a produrre utili, potendosi valorizzare spese che, pur presentando un rapporto debole tra costo ed attività d’impresa, concretamente si rivelino strumentali al progetto imprenditoriale’ (Sez. 5, n. 8739 del 03/04/2024, Rv. 671075 -01).
Riducendo a sistema i superiori principi, è a specificarsi, con riferimento al caso oggetto di giudizio, che la pura e semplice previsione di una certa attività nell’atto costitutivo o nello statuto di una società non vale a far ritenere, una volta per tutte, l’inerenza di qualsivoglia costo astrattamente riconducibile alla stessa, giacché, diversamente, siffatta previsione fungerebbe da giustificazione anticipata di ogni costo pur poi non realmente sostenuto; al contrario, l’inerenza si commisura all’effettiva attività d’impresa ed alla funzionalità del costo a questa .
2.3. Ai superiori insegnamenti la CTR non si è patentemente attenuta, non già solo quando ha attribuito decisiva rilevanza alla previsione statutaria, che invece non la possiede, ma altresì quando ha addossato l’onere di ‘dimostrare il diverso utilizzo del bene’ alla parte pubblica, cui invece un tale onere non compete.
In definitiva, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, per nuovo esame e per le spese, comprese quelle del grado.
P.Q.M.
In integrale accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 13 marzo 2025.