Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32732 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32732 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
Oggetto: Tributi
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 29134 del ruolo generale dell’anno 2016, proposto Da
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
Contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al controricorso dall’Avv.to NOME COGNOME (PEC: EMAIL), elettivamente domiciliata in Roma presso la cancelleria della Corte di cassazione;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dell ‘Abruzzo n. 488/02/2016, depositata in data 11 maggio 2016, non notificata. Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 settembre 2024 dal Relatore Cons. NOME COGNOME di Nocera.
RILEVATO CHE
1. Previo p.v.c. della Direzione provinciale di Teramo , l’Agenzia delle entrate notificava a NOME COGNOME avviso di accertamento con il quale venivano recuperati a tassazione, ai fini Irpef, addizionali comunali e regionali, Iva, oltre interessi e sanzioni, per l’anno 2010, costi indebitamente dedotti in relazione a polizze assicurative, all’acquisto di carburanti, alla manutenzione di autovetture , nonché euro 86.542,37 per compensi non contabilizzati -di cui euro 50.146,50 riferiti a prestazioni di tenuta della contabilità semplificata e dichiarazioni fiscali ed euro 36.395,87 riferiti a prestazioni di tenuta della contabilità semplificata ed amministrazione del personale -ricostruiti, con metodo analitico-induttivo, stante il riscontro di irregolarità così gravi (indicazione generica delle prestazioni fatturate e variabilità dei corrispettivi relativi alle medesime prestazioni non dipendente dal volume di affari dei clienti, emissione di fatture a saldo prive dell’indicazione degli acconti e di fatture di acconto riferite a prestazioni eseguite in anni remoti non ancora saldate) da fare presumere una generale sottofatturazione; l’Ufficio corroborava la presunzione avuto riguardo allo scostamento dei recavi dichiarati rispetto a quelli stimati dallo studio di settore. 2. Su ricorso del contribuente, la Commissione tributaria provinciale di Teramo, con sentenza n. 177/01/2015 confermava i recuperi non specificamente impugnati, accogliendo il ricorso per gli altri. In particolare, quanto al recupero dei maggiori compensi , rilevava la genericità della contestazione dell’Ufficio in mancanza di specifici riferimenti alle singole fatture ritenute irregolari e la illegittimità della ricostruzione induttiva dei ricavi in mancanza di riscontri bancari. Condivideva la eccepita variabilità dei corrispettivi in base alla complessità delle prestazioni richieste e alle possibili singole contrattazioni con i clienti pur in presenza di un tariffario professionale, rilevava l’applicazione per i
professionisti del principio di cassa e osservava la mancata considerazione nella ricostruzione dei ricavi dei relativi costi di produzione.
Avverso la sentenza di primo grado l’Ufficio proponeva appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo che, con sentenza n. 488/02/2016, lo accoglieva parzialmente, annullando per quanto di interesse la ripresa a tassazione dei maggiori compensi non contabilizzati.
In punto di diritto, la CTR, per quanto di interesse con riferimento alla ricostruzione dei maggiori compensi, ha osservato che: 1) la metodologia dell’Ufficio -come ritenuto anche dalla CTP -era inficiata da genericità e mancato riferimento alle singole fatture; pur in presenza di una tariffa professionale, nella ricostruzione analitico-induttiva , l’Ufficio avrebbe dovuto tenere conto della specifica entità del lavoro generato dai singoli clienti (aumentando le fatture, in base al tariffario per il 2010, il compenso saliva proporzionalmente) e, dunque, del numero delle fatture per ogni cliente, essendo ammessa la contrattazione, pur in presenza di una tariffa, tanto più che l’Ufficio non aveva dimostrato l’eccesso dei limiti tariffari da parte del professionista ; 2) l’altro rilievo della supposta genericità nella descrizione delle prestazioni avrebbe dovuto essere meglio descritto dall’Ufficio in quanto la qualità delle medesime era stata esposta, in sintesi, dai verificatori cosi come riportata negli esemplari riprodotti dal contribuente; 3) quanto al rilievo per cui, nella maggior parte delle fatture, era esposto il saldo e non l’acconto, affermava il contribuente che era esposto soltanto il saldo quando il pagamento era effettuato per intero senza acconti e il contrario non risultava essere stato accertato dai verificatori; 4) la non rilevanza degli eventuali maggiori costi di produzione non incideva sulla sostanziale genericità della ricostruzione reddituale basata sulla presunzione che ogni prestazione fosse stata resa per un prezzo pari al più alto tra quelli indicati nell’anno.
Avverso la suddetta sentenza, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resiste, con controricorso, il contribuente.
CONSIDERATO CHE
1. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2700 e 2727 c.c., 115 e 116 c.p.c. per avere la CTR ritenuto illegittima la ricostruzione dei maggiori compensi effettuata dall’Ufficio per mancato riferimento alle singole fatture e per sostanziale genericità della stessa, negando la veridicità dei fatti storici constatati nel p.v.c. della Direzione provinciale di Teramo (generica descrizione delle prestazioni in tutte le fatture -riprodotte, a titolo esemplificativo, nel numero di 210 nell’allegato A del p.v.c. -; mancata corrispondenza tra compensi e volume di affari; mancata indicazione nelle fatture recanti la dicitura a saldo degli acconti) contrapponendovi la semplice contestazione del contribuente sebbene il p.v.c., quale atto pubblico, facesse piena prova fino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo aveva formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attestava avvenuti in sua presenza o da lui compiuti; invero, ad avviso dell’Agenzia, dati per certi i fatti storici posti a fondamento della pretesa e verbalizzati nel p.v.c., il giudice di appello avrebbe dovuto apprezzarne la rilevanza, ai fini probatori, anche in ragione del criterio di disponibilità delle parti delle fonti di prova (art. 115 c.p.c.), della mancanza di prova contraria (art. 2697 c.c.) e del prudente apprezzamento (art. 116 c.p.c.), senza richiedere l’acquisizione da parte dell’Ufficio di una ulteriore prova ‘certa’ dell’evasione. In particolare, la CTR, in violazione degli artt. 2727 e 2697 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., non avrebbe individuato, nel ragionamento dell’Ufficio , le prove presuntive rispetto a fatti storici ed assegnato alle prime il corretto valore alla luce della regola di ripartizione probatoria secondo cui le presunzioni non costituivano uno strumento di rango inferiore rispetto alla prova diretta o rappresentativa.
Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2700, 112, 115 e 116 c.p.c. per avere la CTR ritenuto la illegittimità della ricostruzione dei maggiori compensi, non avendo l’Ufficio fatto riferimento alla specifica entità del lavoro
generato dai singoli clienti e al numero delle fatture emesse per ogni cliente sebbene, in sede di verifica, i funzionari dell’Ufficio avessero constatato che la misura dei compensi indicata nelle fatture non dipendeva affatto dal volume di affari del cliente ossia dal numero di operazioni imponibili da questo poste in essere e fatturate.
3. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 21 del d.P.R. n. 633/1972 per avere la CTR ritenuto sufficiente, a giustificazione della riscontrata indicazione nella maggior parte della fatture del saldo e non dell’acconto, il rilievo eccepito dal contribuente che, nelle fatture, fosse esposto solo il saldo quando il pagamento era effettuato per intero senza acconti; ciò senza considerare che, dovendo nella fattura essere indicato il corrispettivo, quando accanto al corrispettivo era contenuta la precisazione ‘a saldo’ significava l’esecuzione di pagamenti frazionati per cui della presenza di tali acconti occorreva dare contezza in fattura. 4. Il primo motivo è fondato nei termini di seguito indicati.
4.1. In tema di accertamenti tributari, il processo verbale di constatazione assume un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, potendosi distinguere al riguardo un triplice livello di attendibilità: a) il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi -e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi -esso fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disatteso solo in caso
di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore (Sez. 5, Ordinanza n. 24461 del 05/10/2018).
4.2. In particolare, non vi è alcuna efficacia probatoria privilegiata in relazione al contenuto delle dichiarazioni rese al pubblico ufficiale da terzi, ovvero in relazione al contenuto di documenti formati dai suddetti terzi (Cass., Sez. V, 5 ottobre 2018, n. 24461; Cass., Sez. V, 24 novembre 2017, n. 28060), come anche in relazione ai fatti di cui i pubblici ufficiali abbiano notizia da altre persone o a quelli che si assumono veri in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche (Cass., Sez. I, 30 maggio 2018, n. 13679).
4.3. Va, altresì, ribadito che, com’è noto le prescrizioni recate dall’art. 21, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, sotto l’intitolazione “Fatturazione delle operazioni” (“Per ciascuna operazione imponibile deve essere emessa una fattura, anche sotto forma di nota, conto, parcella e simili. La fattura si ha per emessa all’atto della sua consegna o spedizione all’altra parte. La fattura deve essere datata e numerata in ordine progressivo e deve contenere le seguenti indicazioni:… 2) natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell’operazione”) rispondono ad oggettive finalità di trasparenza e di conoscibilità, essendo funzionali a consentire l’espletamento delle attività di controllo e verifica da parte dell’Amministrazione finanziaria e, segnatamente, in quest’ottica, a permettere l’esatta e precisa identificazione dell’oggetto della prestazione, da indicarsi specificandone natura, qualità e quantità. Questa Corte ha già sottolineato che, in tema di imposte sui redditi, l’irregolarità della fattura, non redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto prescritti dall’art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, fa venir meno la presunzione di veridicità di quanto in essa rappresentato e la rende inidonea a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione del costo relativo; per conseguenza l’Amministrazione finanziaria può contestare l’effettività delle operazioni ad essa sottese e ritenere indeducibili i costi nella stessa indicati (Cass. 10 ottobre 2014, n. 21446, e da ultimo, Cass. 211 del 2018; Cass., sez. 5, n. 30350 del
23/11/2018; Cass. 33295 del 2021; Cass., sez. 6-5, n. 25269 del 2022; Cass. n. 12058 del 2024). In tema di imposte sui redditi, l’irregolarità della fattura (nella specie, emessa con causale “per lavori di muratura eseguiti presso vs. cantiere”), non redatta in conformità ai requisiti di contenuto prescritti dall’art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, fa venir meno la presunzione di veridicità di quanto ivi rappresentato e la rende inidonea a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione del costo relativo, per cui l’Amministrazione finanziaria può contestare l’effettività delle operazioni ad essa sottese e ritenere indeducibili i costi nella stessa indicati ( Sez. 5, Ordinanza n. 9912 del 27/05/2020).
4.4. Con specifico riferimento alle operazioni oggettivamente inesistenti (anche parzialmente tali), l’Amministrazione finanziaria « ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo » (Cass. n. 28628 del 18/10/2021; conf. Cass. n. 18118 del 14/09/2016). Grava, invece, sul contribuente l’onere di provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 28628 del 2021, cit.; Cass. n. 14025 del 2024).
4.5. Allorquando la prova addotta sia costituita da presunzioni -le quali anche da sole possono formare il convincimento del giudice del merito -rientra nei compiti di quest’ultimo il giudizio circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’ id quod plerumque accidit , essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune dal vizi logici o giuridici e, in particolare, ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della
precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti a una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi, pur senza omettere un apprezzamento così frazionato, al fine di vagliare preventivamente la rilevanza dei vari indizi e di individuare quelli ritenuti significativi e da ricomprendere nel suddetto contesto articolato e globale (Cass. sez. 3, Sentenza n. 26022 del 05/12/2011; sez. 3, Sentenza n. 12002 del 16/05/2017). secondo l’orientamento di questa Corte, « in tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento » (Cass. n. 9059 del 12/04/2018; conf. Cass. n. 27410 del 25/10/2019; Cass. n. 12002 del 16/05/2017; Cass. n. 5374 del 02/03/2017).
4.6. Nella specie, la CTR non si è attenuta ai suddetti principi in quanto -pur non potendosi riconoscere efficacia privilegiata alle valutazioni dei verificatori circa il contenuto delle fatture oggetto di controllo -a fronte della contestazione contenuta nel p.v.c. di irregolarità delle dette fatture (generica descrizione di
tutte le prestazioni fatturate, variabilità dei corrispettivi riferiti alle medesime prestazioni, non dipendenza della quantificazione dei corrispettivi dal volume di affari del cliente, mancanza nella maggior parte delle fatture a saldo della indicazione degli acconti, riferimento di fatture di acconto a prestazioni eseguite in anni remoti non ancora saldate) talmente gravi che facevano presumere una generale sottofatturazione (e dunque una parziale inesistenza delle prestazioni di tenuta della contabilità semplificata, dichiarazioni fiscali, e amministrazione del personale) -il giudice di appello ha ritenuto affetta da una ‘ sostanziale genericità ‘ la ricostruzione analitico-induttiva dei maggiori compensi operata dall’Ufficio per non avere tenuto conto della ‘ specifica entità de lavoro generato dai singoli clienti ‘ e, dunque, ‘del numero delle fatture per ogni cliente’ potendo ammettersi, pur in presenza di una tariffa professionale, ‘una possibile contrattazione’ e non avendo l’Amministrazione ‘dimostrato che il professionista avesse ecceduto i margini previsti dalla tariffa’; peraltro, ad avviso della CTR ‘l’altro rilievo di supposta genericità nella descrizione delle prestazioni avrebbe dovuto essere meglio descritto in quanto la qualità delle medesime era esposta in sintesi dagli accertatori così come era pure riportata negli esemplari riprodotti dal contribuente’; infine, il giudice di appello , quanto al rilievo della mancata indicazione degli acconti nella maggior parte delle fatture a saldo, ha osservato che ‘affermava viceversa i l contribuente che era esposto solo il saldo quando il pagamento era effettuato per intero senza acconti’ e che ‘il contrario non pareva accertato dai verificatori’. Con ciò, la CTR, da un lato , non si è confrontata con la effettiva contestazione dell’Ufficio che prescindeva dal volume di affari dei clienti (‘In realtà come si evince dalle fatture… la quantificazione dei corrispettivi non dipende dal volume d’affari conseguito…’ v. stralcio del p.v.c. riportato a pag. 8 del ricorso) , dall’altro, non si è confrontato con le valutazioni dei verificatori (circa la genericità della descrizione delle prestazioni fatturate, la notevole variabilità dei corrispettivi indicati per le medesime prestazioni, la mancanza dell’indicazione degli acconti nella maggior parte delle fatture recanti la dicitura a saldo; la riferibilità di fatture emesse per acconti a prestazioni eseguite in anni remoti e non saldate), che, per quanto non potessero essere
recepite in modo aprioristico pur provenendo da una fonte autorevole, potevano valere, valutati complessivamente, quali possibili elementi presuntivi della sottofatturazione contestata, potendo essere contraddetti soltanto con strumenti istruttori adeguati ritualmente acquisiti nel processo; diversamente, il giudice di appello, in violazione del criterio di ripartizione dell’onere della prova e dei criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, da un lato, ha contrapposto alle risultanze del p.v.c. la semplice contestazione di parte contribuente (circa la possibile contrattazione pur in presenza di una tariffa; l’esposizione soltanto del saldo quando il pagamento era effettuato per intero senza acconti … ) e, dall’altro, ha preteso che l’Ufficio fornisse ulteriori elementi a fondamento della ricostruzione del maggior reddito (‘l’Ufficio avrebbe dovuto dimostrare che il professionista aveva ecceduto il margine..’).
L’accoglimento del primo motivo nei termini di cui in motivazione comporta l’assorbimento dei restanti mezzi.
In conclusione, va accolto il primo motivo nei termini di cui in motivazione, assorbiti i restanti, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, in diversa composizione .
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del l’Abruzzo, in diversa composizione;
Così deciso in Roma il 12 settembre 2024