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Onere della prova: Cassazione su accertamento fiscale

La Corte di Cassazione ha chiarito la ripartizione dell’onere della prova in un caso di accertamento fiscale per interposizione fittizia. Un contribuente, titolare di un phone center, era stato accusato di aver utilizzato un intermediario estero per evadere l’IVA. I giudici di merito avevano annullato l’accertamento, richiedendo all’Amministrazione Finanziaria una prova certa della simulazione. La Cassazione ha ribaltato la decisione, affermando che l’accertamento può legittimamente basarsi su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. Spetta poi al contribuente fornire la prova contraria. La sentenza ha quindi rinviato il caso per un nuovo esame basato sulla corretta applicazione dei principi sull’onere della prova.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della prova negli accertamenti: bastano le presunzioni

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 13975/2024 offre un importante chiarimento sul delicato tema dell’onere della prova nel contenzioso tributario, specialmente in casi di presunta interposizione fittizia. La Corte ha ribadito un principio fondamentale: l’Amministrazione Finanziaria può basare un accertamento su presunzioni gravi, precise e concordanti, senza dover fornire una prova ‘certa’ dell’evasione. A quel punto, la palla passa al contribuente, che deve fornire la prova contraria per smontare la ricostruzione del Fisco.

I Fatti del Caso

Il caso riguardava il titolare di un’impresa individuale operante nel settore dei ‘phone center’. A seguito di una verifica, l’Amministrazione Finanziaria aveva emesso un avviso di accertamento per IRPEF, IRAP e IVA, contestando sia l’evasione dell’imposta sul valore aggiunto sia maggiori ricavi. Secondo l’Ufficio, il contribuente acquistava traffico telefonico direttamente da un fornitore, ma interponeva fittiziamente un intermediario estero per la fatturazione, così da non applicare l’IVA. L’impianto accusatorio si basava su una serie di elementi presuntivi, tra cui il fatto che la società estera fosse priva di una stabile organizzazione in Italia e che il suo legale rappresentante avesse un rapporto di coniugio con il contribuente stesso.

Il Percorso nei Primi Gradi di Giudizio

Sia la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) che la Commissione Tributaria Regionale (CTR) avevano dato ragione al contribuente. In particolare, la CTR aveva respinto l’appello dell’Agenzia sostenendo che l’Ufficio non avesse ‘minimamente documentato la dedotta simulazione’. I giudici di secondo grado, di fatto, avevano imposto all’Amministrazione Finanziaria l’obbligo di fornire una prova certa e incontrovertibile dell’interposizione, invertendo i principi consolidati in materia.

L’onere della prova secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, censurando l’operato della CTR. Gli Ermellini hanno ricordato che, secondo la normativa e la giurisprudenza consolidata, l’accertamento tributario può fondarsi su presunzioni semplici, purché dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Il giudice di merito ha il compito di valutare questi elementi indiziari, singolarmente e nel loro complesso, per verificare se la ricostruzione dell’Ufficio sia logicamente sostenibile.

Una volta che l’Amministrazione ha fornito un quadro presuntivo solido, l’onere della prova si sposta sul contribuente. È quest’ultimo che deve dimostrare, con prove concrete, l’infondatezza della pretesa fiscale, provando ad esempio la realtà e l’effettività dell’operazione contestata. Richiedere all’Ufficio una ‘prova certa’, come fatto dalla CTR, significa violare le norme sulla ripartizione dell’onere probatorio (art. 2697 c.c.) e sull’utilizzo delle presunzioni (artt. 2727 e 2729 c.c.).

Le Motivazioni

La motivazione della Cassazione è chiara: la CTR ha errato su due fronti. In primo luogo, ha preteso dall’Amministrazione una prova piena e diretta, un requisito non previsto dalla legge per la validità di un accertamento presuntivo. In secondo luogo, ha completamente omesso di valutare gli elementi indiziari forniti dall’Ufficio, come l’assenza di una struttura operativa in Italia della società estera e il legame familiare tra le parti. Questi elementi, secondo la Corte, erano sufficienti per costituire un quadro presuntivo che il giudice avrebbe dovuto analizzare. Invece di valutare tali indizi, la CTR ha richiesto all’Ufficio ulteriori documenti che, in realtà, avrebbero dovuto essere forniti dal contribuente per contrastare la tesi del Fisco. Così facendo, il giudice di appello ha eluso il proprio dovere di valutazione e ha violato i principi sulla ripartizione dell’onere probatorio.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un’importante conferma dei principi che regolano il processo tributario. Stabilisce che, di fronte a un quadro indiziario coerente e fondato, il contribuente non può limitarsi a una mera negazione, ma deve assumere un ruolo attivo, fornendo elementi di prova a proprio favore. Per le imprese, ciò significa che la corretta documentazione delle operazioni commerciali, soprattutto quelle con controparti estere, è cruciale per poter difendersi efficacemente da eventuali contestazioni basate su presunzioni. L’accertamento fiscale si fonda su un equilibrio probatorio che, se correttamente applicato, tutela sia le ragioni del Fisco sia il diritto di difesa del contribuente.

L’Amministrazione Finanziaria deve fornire una prova “certa” per un accertamento fiscale?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’accertamento tributario, sia per le imposte dirette che per l’IVA, può legittimamente fondarsi su presunzioni semplici, a condizione che siano gravi, precise e concordanti. Non è richiesta una prova “certa” o incontrovertibile.

Cosa succede se l’accertamento si basa su presunzioni?
Se l’Amministrazione Finanziaria fornisce elementi presuntivi che soddisfano i requisiti di gravità, precisione e concordanza, l’onere della prova si sposta sul contribuente. Spetta a quest’ultimo dimostrare l’infondatezza della pretesa fiscale, fornendo la prova contraria.

In caso di interposizione di un soggetto estero, come si ripartisce l’onere della prova?
Anche in caso di interposizione, l’Ufficio può imputare i redditi al soggetto interponente basandosi su presunzioni gravi, precise e concordanti (come l’assenza di struttura della società estera o i legami tra le parti). Il giudice deve valutare queste presunzioni e, se le ritiene valide, è il contribuente a dover provare l’effettività e la genuinità dell’operazione con l’intermediario estero.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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