Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21922 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21922 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1708/2022 R.G. proposto da:
NOME COGNOME , elettivamente domiciliato in Roma, in INDIRIZZO , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME in INDIRIZZO, che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in Roma, in INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria n. 2028/8/21 depositata il 7.6.2021;
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 17 maggio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.Emerge dalla sentenza impugnata oltre che dagli atti di parte (ricorsi, controricorsi) che, a seguito di attività ispettiva svolta dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE notificò a NOME COGNOME un avviso accertamento (relativo all’anno di imposta 2005). Con tale atto venne contestata l’omessa dichiarazione IVA per importo pari ad Euro 22.208,00. Nel dettaglio la guardia di finanza accertò che l’attività svolta da NOME COGNOME non avesse ad oggetto il commercio di rottami bensì il commercio all’ingrosso di oggetti preziosi ed usati.
2.Avverso tale atto NOME COGNOME propose ricorso invocando l’applicazione del reverse charge avendo operato la cessione di oro in regime di esonero IVA ex art. 17 del d.p.r. n. 633 del 1972.
3.Sempre con il medesimo ricorso NOME COGNOME evidenziò che, indipendentemente dalla qualificazione indicata in RAGIONE_SOCIALE aveva sempre svolto l’attività di commercio all’ingrosso di rottami aurei.
4.Il giudice di prime cure accolse il ricorso ritenendo che si trattasse di cessione di rottami aurei e non monili anche in considerazione del fatto che fossero stati ceduti in blocco allo stesso soggetto abilitato al commercio all’ingrosso.
5.La decisione venne appellata ed il giudice di seconde cure accolse l’appello dell’RAGIONE_SOCIALE evidenziando come dagli atti del processo non emergessero elementi probatori tali da consentire la corretta qualifica dell’attività svolta di talché si ritenne, in aderenza al contenuto del P.V.C., che in realtà NOME COGNOME esercitasse di fatto l’attività di commercio all’ingrosso di oreficeria usata.
Avverso tale decisione ricorre NOME COGNOME con quattro motivi.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 comma 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché
dell’art. 132 c.p.c. per essere la motivazione apparente . Secondo il ricorrente la decisione sarebbe priva di un autentico contenuto decisiorio, limitandosi il giudice a riprendere ‘pedissequamente le argomentazione svolte dalla ARAGIONE_SOCIALE. nella parte motiva dell’accertamento impugnato e senza esplicitare il ragionamento logico-giuridico seguito per pervenire alla decisione assunta’.
2.Il primo motivo è infondato in applicazione dei consolidati principi pronunciati da questa Corte in materia di nullità della sentenza per motivazione apparente.
Come noto la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente; apparenza che ricorre, come di recente ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. 6, n. 13977, 23/5/2019, Rv. 654145; ma già S.U. n. 22232/2016; Cass. n. 6758/2022 e, da ultimo, S.U. n. 2767/2023, in motivazione).
A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard; cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7
agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 RAGIONE_SOCIALE preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6-2, n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914).
Nella specie non ricorre alcuna RAGIONE_SOCIALE ipotesi sopra richiamate, avendo la C.T.R. spiegato in forma comprensibile, anche ripercorrendo altresì l’iter motivazionale del giudice di primo grado alla luce RAGIONE_SOCIALE doglianze formulate, le ragioni del decidere.
3. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c nonché l’insufficiente motivazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nonché omessa o insufficiente motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c.
4. Per il ricorrente il giudice avrebbe ribaltato l’onere probatorio laddove l’RAGIONE_SOCIALE si sarebbe limitata, a dimostrazione del presupposto di imposta, a richiamare il PVC della RAGIONE_SOCIALE.
In disparte l’inammissibilità del motivo in relazione alla denunciata violazione di insufficienza della motivazione, non più denunciabile alla luce della nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., la censura è del tutto inammissibile.
Infatti, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, circostanza nella specie non verificatasi essendo stata attribuita all’RAGIONE_SOCIALE, e non quando, a seguito di una incongrua valutazione RAGIONE_SOCIALE acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, perché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. (Cass. Sez. L 19 -8-2020 n. 17313 Rv. 658541-01, Cass. Sez. 3 29-5-2018 n. 13395 Rv. 64903801). Nelle fattispecie il ricorrente non formula il motivo di ricorso nel rispetto dei requisiti posti dall’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ., individuando il fatto o i fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti dei quali la sentenza impugnata avrebbe omesso l’esame; quindi , le sue deduzioni sono inammissibili, in quanto si risolvono in una mera proposta di diversa valutazione del materiale probatorio che, al contrario, non può essere oggetto di nuovo apprezzamento in sede di legittimità.
5. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 2697 c.c. , ex art. 360, n. 3 c.p.c. avendo posto la C.T.R. a fondamento della decisione prove non prodotte dalle parti ossia il PVC mai depositato in giudizio.
Il motivo è infondato. Il ricorrente assume che il giudice di merito avrebbe violato l’art. 115 c.p.c. decidendo la causa in forza di documentazione non presente agli atti del giudizio.
Premesso che dal contenuto della sentenza non emerge in alcun modo l’assenza del PVC agli atti del giudizio, n ella specie non sussiste il denunciato vizio essendosi il giudice pronunciato sulla questione
oggetto della controversia, richiamando all’uopo proprio stralci del P.V.C. dal quale è poi scaturito l’avviso di accertamento.
Come emerge dallo stesso ricorso, gli stralci di P.V.C. sono stati riportati nell’avviso di accertamento di talché, la censura è destituita di fondamento ben potendo l’avviso di accertamento essere motivato per relationem. Secondo consolidato orientamento di questa Corte, infatti, l’obbligo legale di motivazione degli atti tributari può essere assolto per relationem, tramite il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, a condizione, però, che questi ultimi siano allegati all’atto notificato ovvero che lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale – per tale dovendosi intendere l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento che risultino necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato e la cui indicazione consente al contribuente (ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale) di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono quelle parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento – o, ancora, che gli atti richiamati siano già conosciuti dal contribuente per effetto di precedente notificazione (Cass. n. 6914 del 2011; Cass., n. 13110 del 2012; Cass. n. 4176 del 2019; Cass., n. 29968 del 2019; Cass. n. 593 del 2021; Cass. n. 33327 del 2023).
6. Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 2699 e dell’art. 2729 c..c nonché l’omessa e/o insufficiente motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo.
La decisione si fonderebbe sulle valutazioni contenute nel PVC costituite dalla seguente espressione ‘Non è assolutamente parso ai militari operanti che i soggetti privati ascoltati mossi spesso da prioritarie necessità economiche, si siano private di rottami, ma di
oggetti in buono se non ottimo stato d’uso al limite privi della caratteristica oggetto alla moda il che non basterebbe a trasformare l’oggetto in rottame’.
Secondo il ricorrente tali presunzioni, a fronte dell’avvenuta produzione RAGIONE_SOCIALE visure RAGIONE_SOCIALE ditte uniche cessionarie del materiale prezioso nonché degli stessi documenti di acquisto/ritiro esibiti dalla parte e richiamati nel PVC avrebbero richiesto un riscontro oggettivo. Sicché l’amministrazione finanziaria avrebbe dovuto accertare e provare che la ditta avesse mal applicato la normativa IVA. In quest’ottica la CTR avrebbe errato nell’interpretazione degli artt. 2699 e 2700 c.c. attribuendo al contenuto del PVC una corrispondenza alla realtà fattuale che non avrebbe.
Il motivo, in disparte la sua inammissibilità in relazione alla denunciata insufficiente motivazione, non più denunciabile, è infondato.
La RAGIONE_SOCIALE.T.R. non violato le disposizioni in punto di riparto dell’onere della prova come già evidenziato in relazione al secondo motivo di ricorso.
Infatti, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, circostanza nella specie non verificatasi essendo stata attribuita all’RAGIONE_SOCIALE, e non quando, a seguito di una incongrua valutazione RAGIONE_SOCIALE acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, perché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. (Cass. Sez. L 19 -8-2020 n. 17313 Rv. 658541-01, Cass. Sez. 3 29-5-2018 n. 13395 Rv. 64903801).
Nella fattispecie il ricorrente non formula il motivo di ricorso nel rispetto dei requisiti posti dall’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ., individuando il fatto o i fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti dei quali la sentenza impugnata avrebbe omesso l’esame; quindi , le sue deduzioni, tese a contestare la valutazione che degli esiti del PVC ha effettuato il giudice di merito, sono inammissibili, in quanto si risolvono in una mera proposta di diversa valutazione del materiale probatorio che, al contrario, non può essere oggetto di nuovo apprezzamento in sede di legittimità.
Peraltro, va ricordato come l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (da ultimo Cass. n. 17005 del 2024).
Da ultimo deve specificarsi che è altresì infondata la censura nella parte in cui assume la violazione degli artt. 2699 e 2700 c.c.
Al riguardo la censura, infatti, non coglie la ratio della decisione che ha ritenuto legittimo l’avviso in considerazione degli esiti RAGIONE_SOCIALE attività svolte dalla guardia di finanza non scalfiti da acquisizioni documentali di segno contrario.
Il riferimento alla natura di atto pubblico si palesa in quest’ottica come ultroneo rispetto alle ragioni della decisione tant’è
che il giudice al riguardo si esprime in questi esatti termini: ‘..si tratta di argomentazioni del tutto razionali, rispetto alle quali, peraltro, quanto materialmente accertato fa fede fino a querela di falso e nella sostanza, non è smentito da acquisizioni processuali di opposta portata, provenienti dal contribuente’.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto ed il ricorrente soccombente deve essere condannato al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna NOME COGNOME al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali che liquida in Euro 2.400,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 17.5.2024