Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20729 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20729 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/07/2024
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 28487/2018 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso la cancelleria della Corte di cassazione, come da procura speciale a margine del ricorso;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia n. 511/11/2018, depositata il 19.02.2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 aprile 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Oggetto:
Tributi
RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la sentenza della CTP di Bari n. 3134/2015, che aveva rigettato i ricorsi riuniti proposti dalla predetta contribuente avverso distinti avvisi di accertamento, per imposte dirette e IVA, relativi agli anni 2009 e 2010;
l ‘RAGIONE_SOCIALE proponeva, a sua volta, appello avverso la sentenza della CTP di Bari n. 2652/2016, che aveva accolto i ricorsi riuniti proposti dalla RAGIONE_SOCIALE avverso distinti avvisi di accertamento, per imposte dirette e IVA, in relazione agli anni 2011 e 2012;
la CTR della Puglia, riuniti gli appelli, accoglieva quello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE e rigettava quello proposto dal la contribuente, osservando, per quanto ancora qui rileva, che:
le eccezioni di inammissibilità degli appelli erano infondate, in quanto tutti gli appelli contenevano motivi specifici di impugnazione, non sussistendo la asserita violazione dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992;
-l’ appello proposto dalla contribuente era infondato, avendo il primo giudice correttamente affermato che la ricorrente non aveva esibito, neppure nel giudizio di primo grado, la documentazione idonea a giustificare le operazioni contestate, i cui pagamenti non risultavano tracciati; l ‘ingiustificata mancata esibizione della documentazione richiesta dall’Amministrazione finanziaria dimostrava la volontà di sottrarsi al contraddittorio con gli operatori incaricati della verifica; -era fondato, invece, l’appello proposto dall’Ufficio avverso la sentenza della CTP di Bari n. 2652/2016, essendosi la contribuente sottratta al dovere di esibizione della documentazione necessaria a provare la correttezza del proprio operato, in relazione non solo alla mancanza dei contratti sottesi ai rapporti commerciali, ma anche a tutti i restanti rilievi mossi dall’Amministrazione finanziaria ;
la società contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi;
l ‘RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso .
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, la contribuente deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione de ll’art. 112 cod. proc. civ., per avere la CTR omesso di pronunciarsi sul motivo di appello riguardante la violazione dell’art. 52 del d.P.R. n. 633 del 1972, in ordine alla mancata autorizzazione all’accesso per gli anni d’imposta 2009 e 2010;
con il secondo motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la CTR omesso di pronunciarsi sul motivo di appello riguardante la violazione dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, in ordine all’anticipata emissione dell’avviso di accertamento per gli anni 2009 e 2010, senza tener conto della sospensione feriale dei termini;
-entrambi i motivi, che per connessione vanno esaminati unitariamente, sono infondati;
come ha più volte statuito questa Corte, non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (Cass. 6.12.2017, n. 29191), nonché quando la sentenza di appello accolga una tesi incompatibile con quella prospettata, implicandone il rigetto (Cass. n. 2153 del 30.01.2020);
nella specie, avendo la CTR ritenuto la pretesa fiscale fondata nel merito, si è implicitamente pronunciata anche sulle censure riguardanti, rispettivamente, la mancanza dell’autorizzazione all’accesso per gli anni d’imposta 2009 e 2010 e l’ inosservanza del termine dilatorio previsto dall’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del
2000, atteso che entrambe pongono questioni incompatibili con la ritenuta fondatezza della pretesa.
i motivi di appello in ordine ai quali vi sarebbe stata omessa pronuncia sono comunque infondati;
sul punto va premesso che, secondo l’indirizzo ormai costante di questa Corte, ‘Alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma 2, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame, la Suprema Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con quel motivo risulti infondata, di modo che la statuizione da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto’ ( ex plurimis , Cass. 28.06.2017, n. 16171);
– per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, infatti, occorre evidenziare che «l’atto di autorizzazione dell’accesso ai locali dell’impresa, reso ai sensi dell’art. 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in esito a valutazione della necessità di incidere sull’andamento e sulla riservatezza della gestione imprenditoriale al fine di riscontrare eventuali evasioni ed infrazioni alla disciplina dell’IVA, non circoscrive l’ambito dell’ispezione all’epoca del verificarsi dei fatti apprezzati per detta valutazione; l’ispezione medesima resta rivolta a scoprire violazioni, non solo a fornire conforto dimostrativo alle inosservanze al momento conosciute o sospettate, di modo che non subisce, sotto il profilo temporale, limitazioni diverse da quelle attinenti al potere di accertamento, e, una volta che sia autorizzata sulla scorta dei dati a disposizione, può investire anche circostanze diverse, influenti per la
revisione RAGIONE_SOCIALE posizioni del contribuente, nell’arco di tempo in cui è esercitabile detto potere» (Cass. n. 28664 del 2018; Cass. n. 18155 del 07/08/2009; Cass. n. 429 del 14/01/2015);
per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, invece, va ribadito il principio, recentemente affermato da questa Corte, secondo il quale, ‘ il termine dilatorio previsto dall’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, essendo posto a garanzia del contraddittorio endoprocedimentale, non è soggetto alla sospensione dei termini nel periodo feriale, prevista dall’art. 1 della l. n. 742 del 1969, che è applicabile ai soli termini processuali e non a quelli che regolamentano il procedimento amministrativo ‘ (Cass. n. 3903 del 09/02/2023);
con il terzo motivo, deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 36, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 e 132, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., per avere la CTR motivato in modo apparente sull’eccepito difetto di specificità dei motivi dell’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE;
sempre con il terzo motivo, deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per avere la CTR motivato in modo apparente sul difetto di assolvimento dell’onere probatorio da parte della società in ordine alla deducibilità dei costi e della detraibilità dell’IVA, limitandosi ad esprimere un giudizio negativo sul compendio probatorio offerto dalla contribuente, senza indicare gli elementi di fatto e di diritto, sui quali si fondava la decisione;
il terzo motivo è inammissibile nella parte in cui censura la carenza di motivazione in relazione all’eccepito difetto di specificità dei motivi dell’appello , in quanto, in materia di vizi in procedendo , non è consentito alla parte interessata di formulare in sede di legittimità la
censura di omessa o carente motivazione, in quanto spetta alla Corte di cassazione accertare se vi sia stato o meno il denunciato vizio di attività, attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto (Cass. n. 7620 del 5.06.2001; Cass. n. 22952 del 10.11.2015; Cass. n. 21944 del 2.09.2019; Cass. n. 27368 dell’1.12.2020);
-nella specie, peraltro, il giudice di appello ha correttamente rigettato l’eccezione, atteso il carattere devolutivo pieno, in tale giudizio, dell’appello, quale mezzo di gravame non limitato al controllo di vizi specifici, ma volto ad ottenere il riesame della causa nel marito (Cass. n. 30525 del 23.11.2018 e n. 32954 del 20.12.2018);
per il resto il motivo è infondato;
è stato più volte affermato che ‘la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture ‘ (Cass., Sez. U. 3.11.2016, n. 22232);
la motivazione della sentenza impugnata non rientra affatto nei paradigmi invalidanti indicati nel citato, consolidato e condivisibile, arresto giurisprudenziale, in quanto esprime in modo sintetico, ma comprensibile le ragioni della decisione riguardante la mancata dimostrazione, da parte della contribuente, dei requisiti di deducibilità dei costi ripresi a tassazione, dovendosi ritenere che il giudice tributario di appello abbia assolto, per detta parte, il proprio obbligo
motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (cfr. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053).
con il quarto motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 cod. proc. civ., 2697 cod. civ., 19, comma 1, 21 e 54, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, 109 del TUIR, 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 2 2729 cod. civ., per avere la CTR ritenuto erroneamente che gravasse sul contribuente l’onere di provare l’inerenza dei costi e che , ai fini della loro deducibilità, non fossero sufficienti le fatture e la prova dei pagamenti, ma occorresse l’esibizione del relativo contratto;
a prescindere dai profili di inammissibilità del motivo per mancanza di autosufficienza, il motivo è in ogni caso infondato;
come ha più volte precisato questa Corte, ‘In tema di accertamento RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili. A tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa’ ( ex plurimis , Cass. 26.05.2017, n. 13300);
anche in tema di IVA, questa Corte ha condivisibilmente affermato che, ai fini della detrazione di un costo, la prova dell’inerenza del medesimo quale atto d’impresa, ossia dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio di inerenza, incombe sul contribuente, in quanto soggetto gravato dell’onere di dimostrare l’imponibile maturato (Cass. n. 18904 del 17/07/2018);
a tale proposito occorre altresì considerare che, sia in tema di imposizione diretta sia in tema di IVA, la fattura costituisce elemento probatorio a favore dell’impresa solo se redatta in conformità ai requisiti di forma e di contenuto prescritti dall’art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e, quindi, idonea a rivelare compiutamente natura, qualità e quantità RAGIONE_SOCIALE prestazioni attestate (Cass. n. 21980/15, n. 21446/14, n. 24426/13, n. 9108/12, n. 5748/10), sebbene il contribuente possa integrare il contenuto della fattura con elementi di prova idonei a dimostrare la deducibilità dei costi (Cass. n. 1147/2010);
colui che chiede la detrazione dell’IVA, pertanto, ha l’onere di dimostrare di soddisfare le condizioni per fruirne e, quindi, di fornire elementi e prove, anche integrativi e succedanei rispetto alle fatture, che l’Amministrazione ritenga necessari per valutare se si debba riconoscere, o no, la detrazione richiesta; le indicazioni richieste dall’art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972 rispondono ad una oggettiva finalità di trasparenza e di conoscibilità, essendo funzionali a consentire l’esatta e precisa identificazione dell’oggetto della prestazione, da indicarsi specificandone natura, qualità e quantità, e, di conseguenza, a permettere l’espletamento RAGIONE_SOCIALE attività di controllo e verifica da parte dell’Amministrazione finanziaria (Cass. n. 21980/2015);
nella specie, la CTR ha accertato, che a fronte della sintetica descrizione riportata nelle fatture, la contribuente non aveva prodotto documentazione idonea a provare i requisiti di deducibilità dei costi contestati, dovendosi ritenere che ogni ulteriore censura sul punto miri, sotto l’apparente deduzione della violazione di legge, alla rivalutazione dei fatti, operata dal giudice di merito, prospettando non l’analisi e l’applicazione RAGIONE_SOCIALE norme, bensì l’apprezzamento RAGIONE_SOCIALE prove, rimesso alla esclusiva valutazione del giudice di merito ( ex
multis , Cass. n. 3340 del 5/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017);
in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 18.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 30 aprile 2024