Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6868 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 6868 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/03/2025
AVVISO DI ACCERTAMENTO IRES-IRAP-IVA 2008.
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 12039/2016 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro-tempore, con sede in Napoli, INDIRIZZO rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale a margine del ricorso,
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-resistente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 9751/03/2015, depositata il 9 novembre 2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27 novembre 2024 dal consigliere relatore dott. NOME COGNOME
dato atto che il Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. dott. NOME COGNOME ha chiesto il rigetto del ricorso;
FATTI DI CAUSA
Con avviso di accertamento n. TF3030203508/2013, notificato il 9 aprile 2013, emesso all’esito di verifica fiscale della Guardia di Finanza, l’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale I di Napoli recuperava a tassazione, nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, per l’anno d’imposta 20 08: a ) componenti positivi di reddito asseritamente non dichiarati per € 947.426,25, desunti sulla base di indagini finanziarie eseguite sui conti correnti della società e dei quattro soci (in particolare, con riferimento ai conti correnti dei soci COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME); b ) costi ritenuti non inerenti ex art. 109 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (testo unico delle imposte sui redditi) , dedotti nell’esercizio verificato per € 78.000,00 (oltre IVA), in relazione a fattura emessa dalla società RAGIONE_SOCIALE e per € 30.000,00 (oltre IVA) in relazione a fattura emessa dalla società RAGIONE_SOCIALE
Sulla base di tali rilievi, pertanto, l’Ufficio recuperava a tassazione maggiori ricavi per complessivi € 902.100,00, e costi ritenuti indeducibili per € 108.000,00 , rideterminando le relative imposte IRPEF, IVA ed IRAP ed irrogando le relative sanzioni. Inoltre, in sede di determinazione delle maggiori imposte, veniva disconosciuta la perdita maturata nel 2007 e scomputata dalla contribuente nell’anno 2008, per l’importo
di € 57.171,00, in virtù di precedente recupero erariale per lo stesso anno 2007.
La società contribuente impugnava l’avviso di accertamento in questione dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli la quale, con sentenza n. 21325/05/2014, depositata l’8 settembre 2014, accoglieva il ricorso, ritenendo non documentato il potere di firma in capo al funzionario sottoscrittore dell’avviso di accertamento .
Interposto gravame dall ‘Agenzia delle Entrate , la Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 9751/03/2015, pronunciata il 4 novembre 2015 e depositata in segreteria il 9 novembre 2015, accoglieva l’appello, confermando la legittimità dell’avviso di accertamento impugnato e condannando la società contribuente alla rifusione delle spese di lite.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE sulla base di sette motivi (ricorso notificato il 12 maggio 2016).
L ‘Agenzia delle Entrate si è costituita in giudizio al solo fine di partecipare all’udienza di discussione, ai sensi dell’art. 370, comma 1, c.p.c.
Con decreto del 15 luglio 2014 è stata quindi fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per l’udienza pubblica del 27 novembre 2024.
A detta udienza è comparso il procuratore dell’Agenzia delle Entrate, che ha concluso come da verbale in atti
E’ intervenuto il Pubblico Ministero, in persona del sost. proc. gen. dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso in esame, come si è detto, è affidato a sette motivi.
1.1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 57 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 5), c.p.c.
Rileva, in particolare, che erroneamente la C.T.R. aveva ritenuto infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello proposta dalla contribuente, avendo l’Ufficio sostenuto in primo grado -a fronte del motivo di ricorso riguardante la mancanza di valida delega di firma in capo al funzionario sottoscrittore dell’avviso di accertamento – esclusivamente che la delega di firma era un atto interno dell’Amministrazione, mentre, in sede di appello, l’Agenzia delle Entrate aveva comunque prodotto l’atto di delega, così violando il divieto di ius novorum in secondo grado, avendo l’Ufficio sostenuto non più che la delega di firma fosse un atto interno, ma che essa fosse comunque esistente.
Il motivo è infondato.
L’Ufficio ha ritualmente depositato in appello la delega di firma conferita al funzionario sottoscrittore dell’atto, e ciò gli era consentito in applicazione del disposto dell’art. 58 , comma 2, d.lgs. n. 546/1992, nel testo vigente ratione temporis , che prevedeva la possibilità di produrre nuovi documenti nel giudizio di secondo grado.
Peraltro, non può configurarsi nella specie, in appello, alcuna mutatio libelli da parte dell’Ufficio, rispetto alle difese formulate in primo grado . L’Agenzia delle Entrate, infatti,
aveva eccepito, in primo grado, la non necessità della produzione della delega di firma, sulla base della sua valenza meramente interna; nel giudizio di appello, tuttavia, a fronte della decisione della C.T.P. di accoglimento del ricorso proprio sulla base della mancanza di prova di una specifica delega di firma, ha ritualmente prodotto tale atto, deducendo che, comunque, la delega sussisteva, e che quindi l’avviso di accertamento era stato legittimamente emesso da funzionario a ciò autorizzato. Trattasi di difesa rientrante nell’eccezione già sollevata in primo grado, in quanto l’Amministrazione finanziaria già in primo grado contestava, sostanzialmente, la fondatezza del motivo di ricorso riguardante la carenza della delega di firma, e con il relativo motivo di appello sul punto (e la pedissequa produzione documentale) ha sostanzialmente voluto ribadire tale infondatezza, impugnando specificamente, in parte qua , la sentenza di primo grado.
Peraltro, con riferimento alla prescrizione di cui all’art. 42, comma 1, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (che impone la sottoscrizione degli avvisi di accertamento da parte del Capo dell’Ufficio o da altro impiegato della carriera diretta da lui delegat o), se è vero che l’Amministrazione finanziaria è tenuta a dimostrare la sussistenza della delega, non vi è dubbio che essa possa produrla anche nel giudizio di secondo grado, almeno durante la vigenza del già citato art. 58, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, prima delle modifiche introdotte con l’art. 1, comma 1, lett. bb ), d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 220, non applicabili, nel caso di specie, al giudizio di
appello ex art. 4, comma 2, d.lgs. n. 220/2023 cit. (Cass. 16 settembre 2021, n. 25029; Cass. 19 aprile 2019, n. 11013).
1.2. Con il secondo motivo di ricorso la RAGIONE_SOCIALE deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Rileva, in particolare, che erroneamente la C.T.R. aveva ritenuto che l’atto impugnato fosse legittimo, non avendo l’Amministrazione finanziaria mai fornito la prova dei requisiti previsti dall’art. 42 cit. in capo al delegante, né in capo al delegato so ttoscrittore dell’atto suddetto.
Anche tale motivo è infondato.
La C.T.R. ha accertato -con valutazione di fatto insindacabile in questa sede -che l’avviso di accertamento impugnato è stato «sottoscritto dal Direttore provinciale f.f. NOME su delega del Direttore Provinciale e riporta la dizione ‘giusta disposizione di servizio n. 39/2013’ (disposizione di servizio prodotta, poi, integralmente in uno con l’appello)»; conseguentemente, è stata accertata la piena legittimazione sia del Capo dell’Ufficio (Direttore provinciale), che ha conferito la delega di firma, sia della funzionaria delegata (a seguito di rituale ordine di servizio).
1.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce l’omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia e nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso codice.
Deduce, in particolare, la società ricorrente che la RAGIONE_SOCIALE aveva omesso di pronunciarsi sull’eccezione, sollevata sia con il ricorso in primo grado che con le controdeduzioni d’appello,
riguardante l’omessa allegazione dell’autorizzazione alle indagini bancarie espletate nei suoi confronti.
Anche tale motivo è infondato.
Deve innanzitutto rilevarsi che, per giurisprudenza costante di questa Corte, non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito sollevata in appello qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione (Cass. 8 maggio 2023, n. 12131; Cass. 6 novembre 2020, n. 24953).
Nel caso di specie, la C.T.R., nell’accogliere l’appello e nel dichiarare legittimo l’avviso di accertamento impugnato, ha adottato quindi una decisione incompatibile con l’eventuale fondatezza dell’eccezione in questione, che pertanto deve ritenersi implicitamente rigettata.
Tale rigetto implicito, peraltro, appare pienamente fondato, in quanto, in tema di indagini bancarie, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la relativa autorizzazione esplica una funzione organizzativa, incidente soltanto nei rapporti tra uffici; pertanto, dalla sua mancata allegazione ed esibizione non discende l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni
bancarie acquisite, poiché l’illegittimità dell’atto può derivare solo dalla sua materiale assenza e sempre che ne sia derivato un concreto pregiudizio per il contribuente (da ultimo Cass. 23 febbraio 2024, n. 4853).
1.4. Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente deduce nullità della sentenza per omessa pronuncia e violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), c.p.c.
Rileva, in particolare, che i giudici d’appello aveva no omesso di pronunciarsi su un ulteriore punto decisivo della controversia, con riferimento all’eccezione riguardante la ripresa a tassazione dei versamenti e prelevamenti bancari senza il riconoscimento di costi di esercizio.
Anche tale motivo è infondato.
Anche in tal caso, infatti, la decisione di accoglimento dell’appello, e di conferma integrale dell’avviso di accertamento, deve ritenersi incompatibile con l’eventuale accoglimento di tale eccezione, che peraltro è comunque infondata nel merito.
Invero, «in tema di accertamento delle imposte sui redditi spetta all’Amministrazione finanziaria dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria azionata, fornendo quindi la prova di elementi e circostanze a suo avviso rivelatori dell’esistenza di un maggiore imponibile, mentre grava sul contribuente l’onere della prova circa l’esistenza dei fatti che danno luogo ad oneri e/o a costi deducibili, ed in ordine al requisito dell’inerenza degli stessi all’attività professionale o d’impresa svolta» (Cass. 4 dicembre 2019, n. 31621; Cass. 25 febbraio 2010, n. 4554).
1.5. Con il quinto motivo di ricorso si eccepisce violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), c.p.c.
Deduce, in particolare, la ricorrente che erroneamente la C.T.R. aveva escluso la rilevanza probatoria della documentazione bancaria prodotta dalla ricorrente e delle relative giustificazioni (con specifico riferimento all’indicazione dei prenditori degli assegni).
Il motivo è inammissibile.
La ricorrente censura, invero, la valutazione in fatto operata dalla Corte regionale: quest’ultima, infatti, da un lato, ha affermato la riferibilità dei prelevamenti effettuati sul conto di COGNOME NOME alla società RAGIONE_SOCIALE, in quanto la socia suddetta non aveva altri redditi, e, dall’altro, ha escluso la riferibilità di tali prelevamenti e versamenti all’altra società RAGIONE_SOCIALE, in quanto gli assegni prodotti erano sottoscritti non dalla COGNOME, ma da COGNOME Luigi.
1.6. Con il sesto motivo la RAGIONE_SOCIALE eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 32 d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deduce, in particolare, che la C.T.R. abbia applicato erroneamente le norme in materia di ripartizione dell’onere probatorio, in relazione ai maggiori ricavi accertati dall’Ufficio attraverso le indagini finanziarie eseguite sui conti correnti dei soci, ed in particolare di COGNOME NOME, non avendo la società l’onere di fornire la prova giustificativa anche in relazione alle movimentazioni sui conti correnti dei soci, specialmente quando, come nel caso di specie, risulti dimostrato che il socio
sia titolare di altre partecipazioni di maggioranza in altre compagini societarie.
Il motivo è inammissibile.
Ed invero, la questione della distribuzione dell’onere della prova in merito alle movimentazioni dei conti correnti personali dei soci non risulta sollevata nel corso del giudizio di merito, né è stata trattata nella sentenza impugnata; conseguentemente, il ricorrente avrebbe avuto l’onere di allegare non solo l’avvenuta deduzione della questione dinanzi alla Corte territoriale, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso, di indicare in quale atto del giudizio lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare il merito della censura stessa (cfr. Cass. 13 dicembre 2019, n. 32804).
1.7. Con il settimo motivo di ricorso la contribuente deduce violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 109 d.P.R. n. 917/1986, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), c.p.c.
Rileva, in particolare, che la C.T.R. aveva violato ulteriormente le regole in tema di ripartizione dell’onere della prova, avendo gravato la contribuente della prova contraria alla tesi erariale, in mancanza della prova diretta della indeducibilità dei costi contestati, prova, quest’ultima, che incombeva sull’Ufficio.
Il motivo è infondato.
La Corte regionale, lungi dal sovvertire le regole in materia di ripartizio ne dell’onere della prova, ha ritenuto l’inidoneità , in concreto, delle fatture in contestazione a dimostrare la
deducibilità dei costi contestati dall’Amministrazione finanziaria, sulla base della natura di ‘cartiera’ delle società asseritamente fornitrici RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE; l’Ufficio, quindi, ha assolto al proprio onere probatorio, dimostrando, con presunzione grave e precisa, che le operazioni cui le fatture in questione si riferiscono erano fittizie, mentre erano onere della contribuente dimostrare la veridicità delle operazioni di cui alle fatture suddette, onere che, secondo la C.T.R., non è stato assolto.
Consegue il rigetto del ricorso.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza della ricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la ricorrente tenuta al pagamento di un importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in € 7.800,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente, di un importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2024.