Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3205 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3205 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6299/2024 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI II GRADO LAZIO n. 5179/2023, depositata in data 18 settembre 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 gennaio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
Con avviso di accertamento n. TK501F403671, emesso per l’anno d’imposta 2013 e notificato in data 27 settembre 2018,
Opp. PDA (Avv. Acc. IRPEF 2013)
l’Ufficio accertava nei confronti di NOME COGNOME entrate non giustificate costituite da accrediti in contanti ed a mezzo assegni di rilevanti provviste per complessivi € 38.954,00, che venivano, quindi, recuperati a tassazione come redditi diversi essendo incompatibili con i redditi dichiarati pari a € 2.593,00; l’Ufficio, pertanto, liquidava la maggiore IRPEF, oltre accessori.
Avverso l’avviso il contribuente proponeva ricorso dinanzi la C.t.p. di Roma; si costituiva anche l’Ufficio, chiedendo la conferma del proprio operato.
La RAGIONE_SOCIALE Roma, con sentenza n. 10920/17/2020, rigettava il ricorso del contribuente.
Contro tale sentenza proponeva appello il contribuente dinanzi la C.g.t. di II grado del Lazio; si costituiva anche l’Agenzia delle Entrate, chiedendo conferma della sentenza impugnata.
Con sentenza n. 5179/06/2023, depositata in data 18 settembre 2023, la C.t.r adita rigettava il gravame del contribuente.
Avverso la sentenza della C.g.t. di II grado del Lazio, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Sul ricorso, ritenuto inammissibile, veniva effettuata proposta di definizione anticipata ex art. 380 bis. cod. proc. civ.; quest’ultima veniva comunicata alle parti in data 3 luglio 2024 e il contribuente presentava istanza di opposizione alla stessa in data 23 luglio 2024 chiedendo, a norma dell’art. 380 bis, secondo comma cit., di decidere la causa.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 14 gennaio 2024 per la quale il contribuente ha depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 32, primo comma, n. 2, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 51, secondo comma, n. 2, D.P.R. 29 settembre 1972, n. 633, dell’art. 7 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n.
546 e dell’art. 2697 cod. civ. (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.). Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e assoluto difetto motivazionale (art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.)» il contribuente lamenta l’ error in iudicando e l ‘error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.g.t. di II grado ha travisato la documentazione in atti dalla quale risultava che i versamenti de quibus avevano ad oggetto somme non imponibili essendo frutto di un prestito concesso al contribuente e da questi restituito.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. nonché per difetto motivazionale (art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.)» il contribuente lamenta l ‘error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.g.t. di II grado ha travisato la documentazione depositata dalla quale risultava che le operazioni de quibus avevano ad oggetto somme non imponibili in quanto provenienti da altro conto corrente al medesimo intestato.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 32, primo comma, n. 2, D.P.R. n. 600/1973, dell’art. 51, secondo comma, n. 2, D.P.R. n. 633/1972, dell’art. 7, D.Lgs. n. 546/1992 e dell’art. 2697 cod. civ. (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.)» il contribuente lamenta l ‘error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.g.t. di II grado non ha ritenuto superata la presunzione prevista a favore dell’Amministrazione nonostante dalla documentazione depositata dal contribuente risultasse che le operazioni de quibus avevano ad oggetto somme non imponibili in quanto provenienti da altro conto corrente al medesimo intestato.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, così rubricato: «Omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.)» il contribuente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui,
nella sentenza impugnata, la C.g.t. di II grado ha omesso di valutare il fatto che le somme oggetto degli accrediti de quibus erano somme già di proprietà del Sig. NOME COGNOME trasferite da un conto corrente all’altro del medesimo.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 32, primo comma, n. 2, D.P.R. n. 600/1973, dell’art. 51, secondo comma, n. 2, D.P.R. n. 633/1972, dell’art. 7, D. Lgs. n. 546/1992 e dell’art. 2697 cod. civ. (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.). Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e assoluto difetto motivazionale (art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.)» il contribuente lamenta l’ error in iudicando e l ‘error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.g.t. di II grado ha travisato la documentazione da cui risultava che il versamento de quo era relativo ad un assegno per il pagamento di retribuzioni regolarmente dichiarate da NOME COGNOME nel modello Unico 2014, circostanza sufficiente a vincere la presunzione di legge.
Tutti i motivi di ricorso proposti, che possono trattarsi congiuntamente stante l’affinità delle censure proposte, sono inammissibili; con essi, infatti, parte ricorrente censura la sentenza della C.t.r. nella parte in cui non ha riconosciuto che il contribuente aveva fornito idonea prova contraria atta a giustificare le operazioni bancarie attenzionate dall’Ufficio.
2.1. Invero, in tema di indagini bancarie, questa Corte ha più volte ribadito il principio secondo cui «in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’accertamento effettuato dall’ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli
elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili» (da ultimo, Cass. n. 6022/2024, Cass. n. 2928/2024 e Cass. n. 13112/2020).
2.2. La decisione della C.t.r. qui impugnata ha correttamente richiamato i summenzionati principi e ha poi conseguentemente stabilito che: «Nella fattispecie come affermato dall’Ufficio l’insufficiente dimostrazione punto su punto delle somme risultanti dai conti correnti ne legittima l’operato. L’appellante non ha fornito la prova della provenienza delle somme. Osserva che sui versamenti in contanti per €. 18.000,00, derivanti da un prestito infruttifero fattogli dal Sig. NOME COGNOME e successivamente restituito attraverso l’estinzione di un finanziamento che il COGNOME aveva acceso con una finanziaria, non vi è alcuna prova che la provvista di contanti inerente i versamenti effettuati sui propri conti correnti dal sig. COGNOME provenisse da sostanze del sig. COGNOME né è dato comprendere per quale motivo il sig. COGNOME non abbia trasferito tramite bonifico, o altro documento tracciabile, le sostanze inerenti il prestito infruttifero, data anche l’entità dell’importo. Con riguardo alle locazioni dall’esame dei due contratti si evince che i relativi versamenti dovevano essere effettuati sul ‘Deposit to BoA Acc. 229004675584’ e non sul conto in esame (Banca Carige S.p.a. numero rapporto: NUMERO_CARTA. Non risultano inoltre depositate le copie degli estratti conto esteri, richiesti dall’Ufficio e necessari per verificare che, effettivamente, gli importi accreditati nel conto presso la Banca Carige S.p.a. NUMERO_CARTA fossero afferenti ai canoni di locazione relativi ai contratti depositati dalla parte, percepiti negli Stati Uniti, ed accreditati nel conto corrente
presso la BoA Acc. NUMERO_DOCUMENTO. Va evidenziato che nonostante l’esplicita richiesta dell’Ufficio, la controparte non ha fornito copia completa degli estratti del conto corrente estero riferito all’anno di imposta 2013 dal quale sono state prelevate le somme di: 1.386,70 dollari accreditati nel conto presso Banca Carige S.p.a. in data 17/04/2013; – 1.880,60 dollari accreditati sul conto presso Banca Carige S.p.a. in data 21/05/2013; -1.986,77 dollari accreditati sul conto presso Banca Carige S.p.a. in data 06/06/2013; – 1.986,90 dollari accreditati sul conto presso Banca Carige S.p.a. in data 19/07/2013. Ciò ha determinato l’impossibilità di verificare per l’Ufficio che, effettivamente, gli importi accreditati nel conto presso la Banca Carige S.p.a. conto in valuta dollaro 5591 indicati ai n. 28, 29, 30, e 31, sopra indicati, fossero afferenti ai canoni di locazione relativi ai contratti depositati dalla parte, percepiti negli Stati Uniti, ed accreditati nel conto corrente presso la BoA Acc. NUMERO_DOCUMENTO. In riferimento alle 4 copie di documenti denominati dalla parte ‘assegni’ relativi al conto n. 8980 1630 6706, depositati quale documentazione bancaria estera, va rilevato che dall’esame degli stessi ‘assegni’ non è possibile identificare l’identità del soggetto che ha operato l’accredito degli importi indicati negli stessi. Di tal ché non può ritenersi dimostrato che tali accrediti su Banca Carige fossero riferiti ad entrate esenti o già sottoposte ad imposizione fiscale in Italia. Sull’importo di €. 1000,00. La documentazione risulta incompleta, non è stato dimostrato che il versamento sul conto corrente dell’assegno citato sia un importo accreditato in virtù del versamento dell’assegno di €. 1.000,00, emesso dal TPL, in data 13/10/2013, del quale è stata depositata la copia da cui si evincono unicamente i dati dell’assegno e non quelli del conto corrente su cui è stato versato». Nella specie, il Giudice di seconde cure, confermando la decisione di primo grado, ha ritenuto che la documentazione prodotta dal
contribuent non fosse sufficiente a dimostrare la natura non imponibile delle somme contestate.
2.3. Tanto premesso, deve evidenziarsi come le censure proposte, in realtà, non facciano che risolversi nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal Giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al Giudice di legittimità (Cass., SS.UU., sent. n. 34476/2019).
2.4. Inoltre, il quarto motivo di ricorso presenta un ulteriore profilo d’inammissibilità. Rileva l’applicazione, nella fattispecie, della previsione di cui all’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., così come riformulato dal d.l. 22/6/2012, n. 83 conv. nella legge 11/8/2012, n. 143 che, per l’ipotesi di cd. doppia conforme, avendo il giudice di appello confermato la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso del contribuente, sulla base delle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto a sostegno della sentenza di primo grado, preclude la deducibilità in sede di legittimità del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma cod. proc. civ. Tale nuova norma è sicuramente applicabile alla fattispecie in oggetto atteso che l’atto di appello è stato depositato in data 18 novembre 2019 e, quindi, ben oltre il trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione.
Inoltre, costituisce principio giurisprudenziale pacifico quello secondo cui, nell’ipotesi di ‘doppia conforme’, il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art.
360, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 28/02/2023, n. 5947).
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
4.1. Il contribuente deve essere anche condannato al pagamento di somme -liquidate in dispositivo – in favore della controricorrente, ai sensi del combinato disposto dagli artt. 380 bis, terzo comma, e 96, terzo comma, cod. proc. civ., nonché della cassa delle ammende, ai sensi del combinato disposto degli artt. 380 bis, terzo comma, e 96, quarto comma, cod. proc. civ.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 2.000,00, oltre spese prenotate a debito nonché al pagamento dell’ulteriore somma pari ad € 1.000,00, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.
Condanna, inoltre, il ricorrente al versamento di € 500,00 in favore della cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 15 gennaio 2025.