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Onere della prova accertamento bancario: la Cassazione

In tema di onere della prova nell’accertamento bancario, la Cassazione ha ribaltato una decisione di merito. Un professionista, che non aveva presentato dichiarazioni, è stato oggetto di un avviso di accertamento basato su indagini finanziarie. La Corte ha stabilito che la presunzione legale pone a carico del contribuente il dovere di giustificare ogni movimentazione bancaria. È stato ritenuto errato sia l’annullamento parziale dell’atto basato su una motivazione illogica, sia l’inversione dell’onere probatorio operata dal giudice di secondo grado.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Onere della Prova nell’Accertamento Bancario: La Cassazione Ribadisce i Principi

L’onere della prova nell’accertamento bancario rappresenta uno dei temi più dibattuti nel diritto tributario. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha offerto un’importante occasione per ribadire i principi cardine che governano questa materia, chiarendo in modo inequivocabile le responsabilità del contribuente di fronte alle contestazioni del Fisco basate sulle movimentazioni finanziarie. La decisione analizza il caso di un professionista che, a seguito della mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi, si è visto notificare un avviso di accertamento fondato esclusivamente sulle risultanze delle indagini bancarie.

I Fatti di Causa: Un Accertamento Basato sulle Indagini Finanziarie

Il caso ha origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un professionista per l’anno d’imposta 2009. Il contribuente non aveva presentato le dichiarazioni IRPEF, IRAP e IVA. A seguito di autorizzazione, l’Amministrazione Finanziaria ha condotto indagini bancarie, rilevando una serie di accrediti sui conti correnti del professionista. In assenza di giustificazioni da parte di quest’ultimo, che non aveva risposto a un questionario inviatogli, l’Ufficio ha presunto che tali somme costituissero compensi non dichiarati. Il reddito è stato quindi determinato induttivamente, applicando una percentuale di redditività basata su un campione di professionisti della stessa provincia.

Il Percorso Giudiziario e l’Onere della Prova nell’Accertamento Bancario

Il contribuente ha impugnato l’atto, ma il ricorso è stato inizialmente dichiarato inammissibile per tardività. In appello, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) ha ritenuto il ricorso tempestivo e ha parzialmente accolto le ragioni del contribuente. In particolare, i giudici di secondo grado hanno giudicato “oscuro ed incomprensibile” il metodo di calcolo della redditività utilizzato dall’Ufficio, riducendo del 50% la percentuale applicata. Inoltre, la CTR ha affermato che l’accertamento fosse fondato solo sui conti che il contribuente aveva esplicitamente riconosciuto come propri, invertendo di fatto l’onere della prova e ponendolo a carico dell’Agenzia per gli altri conti correnti. Contro questa decisione, sia il contribuente (in via principale) sia l’Agenzia delle Entrate (in via incidentale) hanno proposto ricorso per cassazione.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ritenendolo fondato sotto due profili cruciali.

In primo luogo, ha censurato la sentenza della CTR per motivazione apparente. I giudici di legittimità hanno osservato come la CTR avesse definito il metodo di calcolo dell’Ufficio come “incomprensibile” in modo del tutto immotivato, per poi procedere a una riduzione “congrua” del 50% in maniera totalmente arbitraria, senza spiegare il criterio logico seguito. Tale modo di argomentare rende la motivazione solo apparente, poiché non consente di comprendere il percorso logico-giuridico che ha portato alla decisione, determinando la nullità della sentenza su questo punto.

In secondo luogo, e con ancora maggiore enfasi, la Cassazione ha bacchettato la CTR per aver violato le regole sull’onere della prova nell’accertamento bancario. La Corte ha ribadito il suo consolidato orientamento secondo cui gli artt. 32 del d.P.R. 600/73 e 51 del d.P.R. 633/72 stabiliscono una presunzione legale relativa. In base a tale presunzione, i versamenti sui conti correnti si considerano ricavi o compensi se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nella determinazione del reddito o che non sono fiscalmente rilevanti. Di conseguenza, l’onere di fornire la prova contraria, in modo analitico per ogni singola operazione contestata, grava esclusivamente sul contribuente e non sull’Amministrazione Finanziaria. La CTR ha quindi errato nel ritenere che spettasse all’Ufficio provare che tutti i conti correnti fossero di “competenza” del contribuente, invertendo un principio fondamentale del contenzioso tributario in materia di indagini finanziarie.

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale. Quest’ultima dovrà riesaminare il caso attenendosi ai principi di diritto enunciati: la motivazione di una decisione deve essere effettiva e non apparente, e l’onere della prova nell’accertamento bancario grava sempre sul contribuente, il quale è tenuto a superare la presunzione legale di imponibilità dei versamenti non giustificati. La decisione rigetta il ricorso del contribuente e riafferma la centralità della collaborazione del cittadino nella fase amministrativa e la rigorosità della prova che deve fornire in sede contenziosa per vincere le presunzioni del Fisco.

In un accertamento basato su indagini bancarie, chi deve provare la natura dei versamenti sul conto corrente?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova grava interamente sul contribuente. Esiste una presunzione legale secondo cui i versamenti non giustificati costituiscono reddito imponibile. Spetta quindi al contribuente dimostrare, in modo analitico per ogni operazione, che tali somme non sono fiscalmente rilevanti o sono già state tassate.

Può un giudice ridurre un accertamento fiscale in modo arbitrario se ritiene ‘incomprensibile’ il metodo di calcolo dell’Agenzia?
No. La Corte ha stabilito che una riduzione basata su una motivazione illogica, contraddittoria o meramente apparente, come definire un metodo ‘oscuro’ per poi abbattere del 50% la pretesa senza spiegare il criterio, vizia la sentenza per difetto di motivazione e ne causa la nullità.

Cosa succede se un contribuente non risponde a un questionario inviato dall’Agenzia delle Entrate durante le indagini bancarie?
In assenza di riscontri e giustificazioni da parte del contribuente, l’Agenzia delle Entrate è legittimata a procedere con l’accertamento, presumendo che gli accrediti sui conti correnti, per i quali non sono state fornite spiegazioni, costituiscano reddito non dichiarato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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