Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15616 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15616 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13156/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata;
– ricorrente –
CONTRO
COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, in qualità di erede universale di NOME, deceduta in data 31.8.2018, rappresentata e difesa giusta procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOME del foro di Catania e dall’avv. NOME COGNOME del foro di Velletri, giusta procura speciale in atti
-controricorrente – avverso la sentenza n. 324/08/2021della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, depositata in data 9.3.2021, notificata in data 11.3.2021;
udita la relazione svolta all’udienza camerale del 15.4.2025 dal consigliere dal Cons. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.NOME ricorreva avverso l’avviso di accertamento
OGGETTO: Accertamento IRPEF -indagini bancarie -contraddittori o preventivo – onere della prova.
n.THB05DB05192/2013, con il quale l’Agenzia delle Entrate di Bologna, a seguito di indagini bancarie, accertava per l’anno di imposta 2008 maggiori redditi derivanti da movimentazioni bancarie giustificate, che davano luogo a redditi diversi, ai sensi dell’art. 14 l. 537/1993 e del comma 34 bis dell’art. 36 del D.L. 223/2006, con conseguente recupero della maggior imposta IRPEF, oltre sanzioni ed interessi.
2.La C.T.P. di Bologna, nella resistenza dell’Agenzia delle Entrate, rigettava il ricorso.
3.La C.T.R., adita dalla soccombente, in riforma della sentenza di primo grado, annullava l’avviso di accertamento impugnato, ritenendo che l’accertamento era nullo, in quanto era stato violato l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, applicabile a tutti i tipi di accertamento, compresi quelli cosiddetti ‘a tavolino’ e che, nel merito, la contribuente aveva dimostrato, mediante la documentazione allegata, che era totalmente estranea alla movimentazione del conto e che le operazioni non generavano redditi a lei riconducibili.
4.Avverso la precitata sentenza ha proposto tempestivo ricorso l’Agenzia delle Entrate, sulla base di due motivi.
5.COGNOME NOME, in qualità di erede di NOME, resiste con controricorso.
6. E’ stata fissa l’ adunanza camerale del 15.4.2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con primo motivo di ricorso -rubricato « violazione e falsa applicazione degli articoli 10 e 12 legge n. 212/2000 e 38 d.p.r. 600/73 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c .» l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per aver erroneamente ritenuto operante l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale, pur
trattandosi di un accertamento relativo a tributi non armonizzati, basato su accertamenti bancari autorizzati; la C.T.R. avrebbe impropriamente richiamato l’art. 38 del d.p.r. 600/73, atteso che non si trattava di un accertamento sintetico, né era pertinente la pronuncia della Corte Costituzionale n. 132/2015 sull’art. 37 bis del d.p.r. 600/73.
2.Con il secondo motivo -rubricato « Nullità della sentenza per omessa e/o apparente motivazione, violazione dell’art. 132 c.p.c. e 36 del Decreto legislativo n. 546/92 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c .» -lamenta che la C.T.R. abbia ritenuto illegittimamente che la COGNOME (madre dell’odierna controricorrente) avesse ampiamente provato il non possesso di redditi ulteriori rispetto a quelli dichiarati. L’Agenzia aveva evidenziato plurimi elementi nell’avviso di accertamento, che trascrive. Ness uno di tali elementi era stato preso in considerazione dalla C.T.R. al fine di motivare il superamento della presunzione legale di cui all’art. 32 del d.p.r. 600/73. La contribuente non aveva fornito adeguata giustificazione rispetto alle movimentazioni presenti sui conti correnti.
Preliminarmente, va osservato che la C.T.R. ha accolto il gravame sulla base di due rationes decidendi , ciascuna delle quali sufficiente a supportare la decisione e che l’Agenzia delle Entrate ha censurato entrambe, soddisfacendo i requisiti di cui all’art. 366 c.p.c. e correttamente inquadrando le doglianze proposte, rispettivamente, quali error in iudicando (primo motivo) ed error in procedendo (secondo motivo), diversamente da quanto eccepito dalla difesa della controricorrente.
Tanto premesso, il primo motivo è fondato.
Questa Corte, nella nota sentenza a Sezioni Unite n.
24823/2015, ha fissato il seguente principio di diritto: « Differentemente dal diritto dell’Unione Europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi ‘non armonizzati’, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi ‘armonizzati’, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto».
4.1 La giurisprudenza di legittimità successiva si è conformata a tali principi, ribadendo, per quanto di interesse, che, in ipotesi di accertamenti ‘a tavolino’, relativi a tributi non armonizzati, come nel caso di specie
(IRPEF), non (era) previsto un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale generalizzato.
Infatti, almeno sino al d.lgs. n. 219 del 30 dicembre 2023, che ha introdotto nello Statuto del contribuente (legge n. 212/2000) l’art. 6 bis, rubricato ‘principio del contraddittorio’, è mancato, al di fuori delle fattispecie normative in cui fosse espressamente previsto, un obbligo generale, in capo all’amministrazione finanziaria, di attivare il contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente, non potendo tale obbligo ricavarsi dalla previsione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, la cui applicazione è limitata, secondo il suo tenore testuale, ai soli accertamenti conseguenziali ad accessi, ispezioni e verifiche presso i luoghi di riferimento del contribuente, con esclusione pertanto delle verifiche ‘a tavolino’ ( ex multis , Cass. n. 36502/2022 e Cass. n. 23729/2022).
4.2. Vi sono, invero, disposizioni specifiche che prescrivono l’interlocuzione preventiva con il contribuente, con modalità ed effetti diversamente declinati, ad es., l’art. 38, comma 7, d.P.R. n. 600/1973, in relazione alla determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche (a partire, però, dall’anno di imposta 2009, per effetto della modifica operata con il d.l. n. 78/2010) e l’art. 10, comma 3bis, l. 146/1998 in tema di studi di settore, ma pacificamente esse non sono applicabili nel caso di specie.
4.3. Nell’ambito del diritto eurounionale, invece, l’obbligo generale di attivazione del contraddittorio in capo all’Amministrazione rappresenta un principio pienamente acquisito; l’orientamento espresso al riguardo dalla Corte di Giustizia Europea in plurime pronunce ( ex multis 24/02/2022 in causa C-582/20, RAGIONE_SOCIALE ma già 03/07/2014 in cause riunite C-129/13 e C-130/13, Kamino
RAGIONE_SOCIALE e NOME RAGIONE_SOCIALE, è stato recepito dal giudice nazionale, il quale riconosce che i principi fondamentali del diritto europeo impongono, nell’ambito dei cosiddetti ‘tributi armonizzati’, ove ha ‘luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione’, un generale obbligo dell’amministrazione di instaurare un’interlocuzione preventiva con il contribuente, la cui inosservanza può portare all’invalidità dell’atto impositivo, sempre che il contribuente assolva a ll’onere di fornire la ‘prova di resistenza’ (Cass. Sez. U. 09/12/2015, n. 24823 e, nella giurisprudenza successiva, ex multis , Cass. n. 9076/2021 e Cass. n. 7690/2020).
In definitiva, al di fuori delle ipotesi specifiche e dei tributi cd. armonizzati, non sussiste l’obbligo, in capo all’amministrazione finanziaria, del contraddittorio preventivo con il contribuente (da ultimo, Cass. 22/03/2024, n. 7829).
4.4. Nella specie la CTR, laddove ha ritenuto, in fattispecie assoggettata alla normativa previgente rispetto alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 219 del 30 dicembre 2023, che l’obbligo del contraddittorio preventivo sussistesse per tutti i tipi di accertamento, compresi quelli cosiddetti ‘a tavolino’ ed in particolare ai sensi dell’art. 32 del d.p.r. 600/73, non ha fatto corretta applicazione dei principi appena enunciati.
A tanto provvederà il giudice del rinvio.
Anche il secondo motivo, riguardante la seconda ratio decidendi , è fondato, dovendosi escludere che con esso l’Agenzia delle Entrate abbia inteso richiedere a questa Corte una non consentita rivalutazione del materiale probatorio.
5.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, ove il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, di talchè essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Sez. 1 30 giugno 2020 n. 13248; Sez. 1, 18 giugno 2018 n. 16057; n. 27112 del 2018; n. 22022 del 2017; Sez. 6-5, 7 aprile 2017 n. 9097 e n. 9105; Sez. U 3 novembre 2016 n. 22232; Sez. U 5 agosto 2016 n. 16599; Sez. U 7 aprile 2014, n. 8053 ed ancora Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009).
5.2. Si legge testualmente nella sentenza impugnata: ‘ In aggiunta ciò vi è anche il fatto che la contribuente ha dimostrato per il tramite della documentazione allegata che era totalmente estranea alla movimentazione del conto
contestato perché nei fatti tale conto era nella totale disponibilità del proprio coniuge COGNOME NOME che ne disponeva a piacimento la documentazione allegata dimostra altresì che le movimentazioni fatte non producevano redditi a lei disponibili, ma si trattava di giroconti anche se non contemporanei che non potevano generare redditi riconducibili alla contribuente’.
Appare evidente che la motivazione non soddisfa il ‘minimo costituzionale’, essendo caratterizzata da affermazioni generiche e tautologiche, prive di agganci a specifiche fonti di prova, nonché del tutto priva di riferimenti ai plurimi elementi probatori offerti dall’ufficio nell’avviso di accertamento impugnato, al fine di motivarne la sub valenza rispetto alla ‘ documentazione allegata dalla contribuente ‘. Parimenti tautologica e del tutto vaga appare altresì la motivazione nella parte in cui la C.T.R. afferma, senza spiegarne i motivi, che le operazioni di giroconto, pur non contemporanee, eseguite dalla contribuente, non generavano redditi a lei riconducibili.
5.3. Il giudice del rinvio dovrà pertanto procedere ad un nuovo esame del gravame, motivando compiutamente su tutti gli elementi probatori forniti dalle rispettive parti, applicando i consolidati principi più volte affermati da questa Corte in materia di accertamenti bancari (da ultimo, Cass. n. 12994/2025), secondo cui gli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità ad ogni versamento bancario, idonea a
dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze’ (cfr., ad es., Cass. Sez. 5, n. 13112 del 30/06/2020). In ragione di quanto precede, la presunzione ‘consente all’Amministrazione finanziaria di riferire ‘ de plano’ ad operazioni imponibili i dati raccolti in sede di accesso ai conti correnti bancari del contribuente’ (Cass. Sez. 5, n. 10249 del 26/04/2017). Ciò significa che, qualora l’accertamento effettuato dall’Ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, con una prova non generica, ma analitica, per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili’ ( in termini, Cass. Sez. 5, n. 15857 del 29/07/2016). Ne deriva che, poiché il contribuente ha l’onere di superare la presunzione posta dagli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni a fatti imponibili, il Giudice di merito è tenuto ad effettuare una verifica rigorosa in ordine all’efficacia dimostrativa delle prove fornite dallo stesso, rispetto ad ogni singola movimentazione, dandone compiutamente conto in motivazione. (così Cass. Sez. 6-5, n. 10480 del 03/05/2018).
6. In conclusione, il ricorso va accolto e la causa rinviata alla C.G.T.2 dell’ Emilia Romagna, in diversa composizione, la quale procederà ad un nuovo esame, applicando i principi di diritto sopra esposti, oltre a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla C.G.T.2 dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, per un nuovo esame, oltre che per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del