Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26065 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 26065 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 04/10/2024
REGISTRO
sul ricorso iscritto al n. 11849/2020 del ruolo generale, proposto
DA
(1) COGNOME NOME (codice fiscale CODICE_FISCALE), nata a Casaluce il DATA_NASCITA ed ivi residente alla INDIRIZZO, (2) RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, NOME COGNOME, rappresentati e difesi, in ragione di procura speciale e nomina rilasciate in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO (codice fiscale CODICE_FISCALE).
– RICORRENTE –
RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE), in persona del Direttore pro tempore.
– INTIMATA – per la cassazione della sentenza n. 6572/27/2019 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 7 agosto 2019, non notificata;
UDITA la relazione svolta all’ adunanza camerale del 27 giugno 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE:
oggetto di controversia sono i due avvisi indicati in atti, notificati a RAGIONE_SOCIALE liquidazione e ad NOME COGNOME, con cui l’Ufficio, a seguito della sentenza n. 409/50/2013 della Commissione tributaria regionale della Campania, che aveva rideterminato il valore venale dei beni e quindi la base imponibile dell’imposta di registro di cui all’atto di compravendita di terreni del 3 agosto 2009, riliquidava, al netto dell’imposta principale già riscossa, quella complementare sul predetto atto nei termini indicati dalla citata pronuncia e irrogava le sanzioni conseguenti;
con la suindicata sentenza la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava l’appello proposto dai ricorrenti, assumendo che:
-l’Ufficio ben poteva procedere alla notifica degli avvisi tramite invio diretto della raccomandata postale, richiamando sul punto la pronuncia n. 20506/2017 della Corte di cassazione;
-non era fondata l’eccezione di decadenza dall’esercizio del relativo potere impositivo, in quanto gli avvisi erano stati
adottati all’esito della menzionata pronuncia della Commissione tributaria regionale;
gli atti impugnati erano stati compiutamente motivati, avendo posto i contribuenti nelle condizioni di «valutare il contenuto dell’atto e di espletare con completezza e conoscenza ogni sua facoltà di difesa» (così a pagina n. 2 della sentenza impugnata);
-quanto alle sanzioni applicate «l’Ufficio si è limitato a chiedere solo quanto liquidato in Sentenza» (così a pagina n. 3 della sentenza impugnata);
i suindicati ricorrenti notificavano il 2 marzo 2020 ricorso per cassazione contro la predetta sentenza, formulando quattro motivi di impugnazione, successivamente depositando, in data 17 giugno 2024, memoria ex art. 380bis. 1. cod. proc. civ.
l’RAGIONE_SOCIALE -Riscossione è restata intimata;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo di impugnazione i contribuenti hanno eccepito, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 3, c.p.c., rispettivamente, la violazione dell’art. 112 c.p.c. per l’omessa pronuncia sui due motivi di appello , oltre che la violazione degli artt. 76, comma 3, 52, comma 3, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (da ora
anche T.U. registro) ed 8 della legge 20 novembre 1982, n. 890;
con la seconda censura i ricorrenti hanno dedotto, sempre con riferimento al canone di cui all’art. 360, primo comma, n. 4 (dovendo ricondursi ad un mero lapsus calami l’indicazione del n. 1) e 3, c.p.c., rispettivamente, la violazione dell’art. 132, comma 1, n. 4, c.p.c., della sentenza impugnata, nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 76 T.U. registro;
con la terza doglianza gli istanti hanno denunciato, con riferimento al parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. ed in relazione alle sanzioni applicate, la violazione degli artt. 16 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, 71 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la mancanza assoluta di motivazione della sentenza impugnata, oltre che, a mente dell’art. 360, primo comma, n. 6 (ndr. 5), c.p.c., l’omessa valutazione di documenti;
con l’ultima ragione di impugnazione, i ricorrenti hanno rimproverato al Giudice regionale, con riguardo all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. la violazione dell’art. 132, primo comma, n. 4, c.p.c. per l’omessa e/o apparente motivazione della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che gli avvisi impugnati fossero motivati, nonché, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212 per il dedotto deficit motivazionale degli avvisi impugnati;
il ricorso va accolto solo in relazione al suo terzo motivo;
non può, infatti, ricevere seguito la prima doglianza, la quale presenta vari profili di inammissibilità, oltre che di infondatezza, dovendosi osservare che:
la dedotta mancanza assoluta di motivazione della sentenza di primo grado (primo motivo di appello su cui è stata lamentata l’omessa pronuncia; v. pagina n. 4 del ricorso) non può assumere alcuna rilevanza nella presente sede, giacché i relativi vizi restano assorbiti nella decisione del giudice d’appello, qui oggetto di esame, che sostituisce la prima pronuncia (cfr., sul principio, tra le tante, Cass., Sez. III, 23 novembre 2021, n. 36067), con la conseguenza che può costituire oggetto di censura ai sensi dell’art. 112 c.p.c., solo la persistente omessa pronuncia, da parte del secondo giudice, sulla domanda (nella specie concernente il tema della decadenza dall’esercizio del potere impositivo) non esaminata dal primo, non anche il vizio di motivazione della sentenza di primo grado, che risulta sostituita dalla decisione del giudice di appello (cfr., su tale ultimo principio, tra le tante, Cass., Sez. III, 28 novembre 2021, n. 36067);
sull’eccezione di decadenza dall’esercizio del potere impositivo e, quindi, sul relativo motivo d’appello, il Giudice regionale si è pronunciato, assumendo che « non risulta maturata alcuna decadenza perché emessi (ndr. gli avvisi impugnati) in ragione di una Sentenza della CTR Campania» (v. pagina n. 2 della sentenza impugnata), per cui non ricorre la dedotta omissione;
non sussiste, poi, la dedotta inesistenza RAGIONE_SOCIALE notifiche degli avvisi di liquidazione per essere stati direttamente eseguiti dall’RAGIONE_SOCIALE tramite il servizio postale, in violazione della previsione degli artt. 76, comma 3, e 52, comma 3, T.U. registro (che prevede la notifica da ufficiali giudiziari e da
messi speciali nei modi stabiliti per le notificazioni in materia di imposte sui redditi), nonché per la mancata comunicazione dell’avviso di giacenza tramite il modello 26 e per l’omessa comunicazione di avvenuto deposito (cd. c.a.d.);
c.1. intanto, i segnalati deficit sarebbero riconducibili ad un’eventuale ipotesi di nullità (e non anche di inesistenza) RAGIONE_SOCIALE notifiche, come tali sanati per il raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., in ragione dell’impugnazione di detti avvisi da parte dei contribuenti, come chiarito dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui l’inesistenza della notificazione di un atto è configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dello stesso, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità, sanabile ogni volta che sia effettuata nel rispetto dei citati elementi essenziali di un notificazione, che consistono: «a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ” ex lege “, eseguita) » (cfr. Cass., Sez., Un., 20 luglio 2016, n. 14916, cui adde tra le tante e tra le più recenti, Cass., Sez. T., 20 ottobre 2022, n. 31085 Cass., Sez. III; 26 maggio 2023, n. 14692; Cass., Sez. III, 27 maggio 2024, n. 14705);
c.2. nella specie, le predette notifiche, eseguite direttamente dall’RAGIONE_SOCIALE tramite il servizio postale, sono
riconoscibili nei termini sopra considerati, per cui non solo i dedotti vizi non integrano l’ipotizzata inesistenza RAGIONE_SOCIALE stesse, ma il motivo disvela la sua inammissibilità, già sotto il profilo dell’interesse ad agire, in ragione dell’intervenuta sanatoria del dedotto, ipotetico, vizio;
c.3. la censura si presenta altresì inammissibile, ai sensi dell’art. 360 -bis , primo comma, c.p.c., essendosi la valutazione del Giudice regionale conformata al consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui qualora la notifica dell’atto fiscale sia eseguita mediante invio diretto di raccomandata con avviso di ricevimento, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario e non quelle della legge 20 novembre 1982, n. 890, per cui non è necessario l’invio di una successiva raccomandata informativa in quanto le norme concernenti il servizio postale ordinario non prevedono tale formalità, giustificandosi tale forma “semplificata” di notificazione, come affermato dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 175 del 2018 e n. 104 del 2019, in relazione alla funzione pubblicistica svolta dall’RAGIONE_SOCIALE volta ad assicurare la pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato (così, tra le tante, anche da ultimo, Cass., Sez. T., 11 aprile 2024, n. 9866, che richiama Cass., Sez. VI/V, 12 novembre 2018, n. 28872 e Cass., Sez. VI/V, 10 aprile 2019, n. 10037; nello stesso senso, tra le tante, Cass., Sez. T., 29 novembre 2023, n. 33236; Cass., Sez. T., 4 ottobre 2023, n. 27983; Cass., Sez. T., 22 settembre 2023, n. 27101; Cass., Sez. T, 10 agosto 2023, n. 24492; Cass., Sez. V, 4 aprile 2018, n. 8293 ed anche Cass., Sez. T. 18 gennaio 2024, n. 1896, che richiama Cass., Sez. T. 3 aprile 2019, n. 9240 e Cass., Sez. I, 19 gennaio 2023, n. 1686 e tante altre in dette pronunce citate);
va dichiarata inammissibile anche la seconda censura relativa all’eccepita decadenza triennale dall’esercizio del potere impositivo, decorrente dal passaggio in giudicato della sentenza n. 409/50/2013 (indicato dai ricorrenti nella data dell’11 aprile 2014, anche in tal caso essendo imputabile ad un mero errore materiale l’indicazione dell’anno 2017, v. pagina n. 14 del ricorso);
7.1. di tale censura non vi è traccia nella memoria ex art. 360bis .1. c.p.c., ed essa si rivela comunque inammissibile per difetto di specificità, non misurandosi e, quindi, non confutando le ragioni della decisione, la quale ha escluso la maturazione di ogni decadenza in considerazione della pronuncia, divenuta definitiv a, sulla debenza dell’imposta, in linea, peraltro, con l’orientamento di questa Corte secondo cui « dopo la liquidazione, non viene in questione altro che il credito da riscuotere», per cui «non ha alcun senso discorrere di pretese liquidatorie, quanto piuttosto -e unicamente – del diritto di credito, che appunto si prescrive in dieci anni (Cass., Sez. 5^, 4 febbraio 2015, n. 1974; Cass., Sez. 5^, 21 giugno 2016, n. 12754)» (così Cass., Sez. T., 29 novembre 2023, n. 33154);
7.2. il cuore del motivo in rassegna riposa, infatti, sul rilievo secondo cui « la decisione è del tutto priva di motivazione in quanto le doglianze della ricorrente (ndr. sull’eccepita decadenza) sono state liquidate dalla commissione tributaria regionale partenopea con l’apodittica affermazione che ‘gli atti impugnati innanzitutto risultano ritualmente notificati» (v. pagina n. 14 del ricorso), dimenticando, in tal modo, la censura in esame di aggredire la ragione fondante il rigetto dell’eccezione di decadenza, basata sul diverso rilievo che gli « atti impugnati risultano
ritualmente notificati e per gli stessi non risulta maturata alcuna decadenza perché emessi in ragione di una Sentenza della CTR Campania» (v. pagina n. 2 della sentenza impugnata);
7.3. da tale osservazione, dunque, consegue l’insuperabile difetto di specificità del motivo;
è inammissibile, oltre che infondata, anche la quarta ragione di impugnazione relativa al difetto di motivazione degli avvisi di liquidazione e della sentenza sul predetto tema;
8.1. sotto tale ultimo profilo (motivazione della sentenza), va ricordato che può assumere rilievo -nella prospettiva considerata dagli istanti solo l’ipotesi di una motivazione apparente, ricorrente qualora essa, pur graficamente e, quindi, materialmente esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, non consentendo, in tal modo, alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice, lasciando all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture; va, invece, esclusa (in seguito alla riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54, comma 1, lett. b ), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, ratione temporis applicabile al caso in esame) qualunque rilevanza al semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr., su tali principi, anche da ultimo, Cass., Sez. T., 20 marzo 2024, n. 7442; Cass., Sez. T., 4 aprile 2024, n. 8885; Cass., Sez. T, 31 gennaio 2023, n. 2689; Cass., Sez. 1^, 9 maggio 2023, n.
12340; Cass., Sez. I, 6 dicembre 2022, n. 35815 e le tante ivi citate);
8.1.a. nella specie, come risulta dal sopra riepilogato contenuto della sentenza impugnata, la motivazione sussiste sia con riferimento alla validità RAGIONE_SOCIALE notifiche direttamente eseguite dall’Ufficio tramite il servizio postale, che in relazione all’eccepita decadenza, per cui tale segmento del motivo di impugnazione non ha alcun fondamento;
8.2. anche la seconda parte del motivo, concernente la motivazione degli avvisi di liquidazione, non può ricevere seguito; ancora una volta, per la sua inammissibilità, perché, anche in tal caso, la censura non dialoga con le ragioni della decisione, fondate sulla decisiva considerazione secondo la quale la liquidazione è intervenuta, al netto dell’imposta principale riscossa, dopo la definitività della sentenza della Commissione regionale n. 409/50/2013;
8.2.a. in secondo luogo, va osservato che la doglianza sul deficit motivazionale degli avvisi riposa, al fondo, sulla mancata allegazione della sentenza della Commissione tributaria regionale su cui la pretesa si è basata, essendosi limitati ad indicare il suo numero e la sua data di pubblicazione, lamentando che la sentenza della Commissione regionale passata in giudicato (la n. 409/50/2013 ) « non ha indicato alcuna imposta o sanzione a carico del contribuente» (v. pagina n. 17 del ricorso);
8.2.b. detta censura non può essere, sul piano dei principi, condivisa, in presenza di una fattispecie non complessa, come quella in esame, nella quale la pretesa impositiva scaturiva dalla semplice obbligazione di pagamento dell’imposta di registro e sanzioni dovute a seguito di una sentenza che aveva
definito la controversia sostanziale, rideterminando il valore dei beni oggetto dell’atto tassato, ben nota ai contribuenti per essere stati parte del relativo giudizio;
8.2.c. deve, infatti, darsi seguito, anche nell’ipotesi in esame, all’orientamento più volte espresso da questa Corte, secondo cui «in tema di imposta di registro su atti giudiziari, l’obbligo di motivazione dell’avviso di liquidazione, gravante sull’Amministrazione, è assolto con l’indicazione della data e del numero della sentenza civile o del decreto ingiuntivo, senza necessità di allegazione dell’atto, purché i riferimenti forniti lo rendano agevolmente individuabile, e conseguentemente conoscibile senza la necessità di un’attività di ricerca complessa, realizzandosi in tal caso un adeguato bilanciamento tra le esigenze di economia dell’azione amministrativa ed il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente (cfr. Cass. n. 11283 del 07/04/2022, Cass. n. 30084 del 26/10/2021)» (così, tra le tante, da ultimo, Cass., Sez. T, 23 gennaio 2024, n. 2294);
8.2.d. è stato inoltre chiarito che « l’obbligo di motivazione di cui all’art. 7, l. n. 212 del 2000, impone che sia comunque possibile per il contribuente individuare la base imponibile e l’aliquota tariffaria applicata dall’Ufficio, sia pure all’esito di una operazione di – mero – calcolo matematico, senza margini d’incertezza», affermandosi, quindi, « la necessità che l’Ufficio provveda ad esplicitare con chiarezza nell’avviso di liquidazione -indipendentemente dalla allegazione o non allegazione della sentenza – i criteri seguiti nel calcolo dell’imposta, in tutti i casi in cui, per la presenza di profili di complessità nella fattispecie oggetto del titolo giudiziario tassato, il contribuente sarebbe all’oscuro del criterio di liquidazione in concreto adottato
dall’Amministrazione finanziaria e conseguentemente costretto “a basare la propria opposizione all’avviso di liquidazione su ipotesi ricostruttive meramente congetturali di applicazione dell’imposta, il che è certamente contrario ai principi di tutela sostanziale ed effettiva.” (Cass. n. 26340/2021 cit.)» (così Cass., Sez. V, 7 aprile 2022, n. 11284);
8.2.e. la valutazione della Commissione regionale si è, in definitiva, attenuta a tali principi, considerando indicati negli avvisi impugnati i presupposti giuridici e fattuali della pretesa, mentre il motivo in esame omette di rappresentare gli elementi di oscurità degli atti impugnati che non avrebbero consentito di comprendere l’oggetto del contendere e minato il compiuto esercizio del diritto di difesa;
9. va invece accolta -come anticipato -la terza doglianza;
9.1. i ricorrenti hanno sul punto rappresentato che dai contenuti degli avvisi impugnati emergeva che, con la menzionata sentenza n. 409/50/2013, la Commissione regionale aveva rideterminato il valore dei terreni non edificabili nella somma di 143.335,00 € di quelli edificabili nell’importo di 444.885,00 €, applicando le rispettive sanzioni di 2.022,30 e di 39.724,85 € e che detti valori avevano costituito il presupposto logico-giuridico dei nuovi avvisi di liquidazione e RAGIONE_SOCIALE connesse sanzioni, rimarcando, però – la difesa dei contribuenti – che prima della proposizione del ricorso era stata utilizzata dagli stessi la procedura di cui all’art. 17, comma 2, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, provvedendo, in data 7 giugno 2017, al pagamento di 1/3 RAGIONE_SOCIALE sanzioni, nella misura di 13.241,62 €, lamentando che di tale evidenza, prodotta anche in grado appello, la Commissione regionale non avesse tenuto conto, limitandosi ad affermare, senza motivazione ed appiattendosi sulle
posizioni dell’RAGIONE_SOCIALE, che l’Ufficio aveva solo richiesto quanto liquidato in sentenza, senza però considerare che «non esiste una sanzione liquidata in sentenza né l’RAGIONE_SOCIALE si è preoccupata eventualmente di restituire la somma incassata» (v. pagina n. 15 del ricorso);
9.2. in effetti, non vi è traccia nella sentenza impugnata della questione posta con il predetto motivo di appello (riportato ai fini dell’autosufficienza a pagina n. 7 del ricorso) concernente il ricorso alla definizione agevolata per la sanzione di 39.724,85 € ed il relativo pagamento e la non debenza della sanzione di 2.022,30 € ai sensi dell’art. 71 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131;
9.3. la pronuncia in esame ha, difatti, liquidato la suindicata questione, affermando che « l’Ufficio si è limitato a chiedere quanto liquidato in Sentenza» (v. pagina n. 3 della sentenza impugnata), motivazione questa ellittica, in cui l’omissione non riguarda né un elemento noto, né desumibile dal contesto, non essendo stato indicato cosa sia stato liquidato nella predetta pronuncia ed in che termini e, soprattutto, trascurando completamente di prendere in esame e, dunque, di pronunciarsi sulla dedotta definizione agevolata RAGIONE_SOCIALE sanzioni e sull’illegittima applicazione, da parte degli avvisi impugnati, dell’art. 71 d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131;
9.4. alla luce di tali riflessioni va, allora, riconosciuta la sussistenza della dedotta omissione di pronuncia, per cui, in accoglimento del terzo motivo di impugnazione, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata cassata e, occorrendo accertamenti in fatto (sui contenuti della sentenza posta a base degli avvisi, nonché sulla definizione agevolata coltivata dai ricorrente e sul rapporto tra valore dichiarato e quello accertato ai sensi di quanto previsto dall’art. 71 d.P.R. 26
aprile 1986, n. 131), la causa va rimessa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania -in diversa composizione -anche per regolare le spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
la Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo e rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania -in diversa composizione -anche per regolare le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 27 giugno