Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25682 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25682 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
Agenzia delle Entrate , in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’Avvocatura Generale dello Stato, e domiciliata presso i suoi uffici, alla INDIRIZZO in Roma;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME del Foro di Lecce, che ha indicato recapito pec;
-controricorrente –
avverso
la sentenza n. 2334/2023, pronunciata dalla Corte di giustizia tributaria di II grado della Puglia il 20.3.2023, e pubblicata il 28.7.2023;
ascoltata, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OGGETTO: Ires, Iva ed Irap, 2011 –RAGIONE_SOCIALE -Prestazioni fatturate -Imposte non versate.
la Corte osserva:
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate, recependo gli esiti di processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, notificava il 13.10.2016 alla RAGIONE_SOCIALE, esercente attività di costruzioni edilizie, l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, contestando l’omesso versamento dei tributi in relazione al maggior reddito conseguito mediante operazioni regolarmente fatturate, con riferimento ad Ires, Iva ed Ires, in relazione all’anno 2011.
La società impugnava l’avviso di accertamento innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Lecce, proponendo censure procedimentali e di merito e criticando, tra l’altro, l’infondatezza della ricostruzione della vicenda operata dall’Amministrazione finanziaria perché i rapporti contrattuali tra le parti si erano modificati nel tempo, ma non si era originata alcuna evasione fiscale.
La CTR riteneva infondate le critiche proposte dalla ricorrente e rigettava la sua impugnativa.
La RAGIONE_SOCIALE spiegava appello avverso la decisione sfavorevole adottata dalla CTP, innanzi alla Corte di giustizia secondaria di secondo grado della Puglia, rinnovando i propri argomenti.
La CGT di secondo grado riteneva che della simulazione ipotizzata dall’Agenzia delle Entrate non vi fosse prova e, avendo la società versato le imposte nella misura dovuta nel corso di più anni, accoglieva il suo ricorso ed annullava l’avviso di accertamento.
L’Ente impositore ha proposto ricorso per cassazione, avverso la pronunzia della Corte tributaria della Puglia, affidandosi a tre motivi di impugnazione.
La contribuente ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Amministrazione finanziaria denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere il giudice dell’appello omesso di giudicare sulla prima ed essenziale censura mossa alla contribuente dall’Ufficio, relativa alla condotta fiscalmente evasiva della società, soffermandosi invece sulla simulazione delle modificazioni dell’atto di vendita, che è stata riportata al solo fine di chiarire la vicenda sottostante l’omesso versamento delle imposte dovute.
Mediante il secondo motivo di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente deduce la violazione degli artt. 1325 e 1350 cod. civ., perché il giudice del gravame ha valutato di poter ritenere provata la modifica dei patti contrattuali relativi ad una cessione immobiliare, sulla base del preteso comportamento concludente successivo delle parti, trascurando che in materia è prevista la forma scritta ad substantiam .
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’Agenzia delle Entrate prospetta la violazione degli artt. 6 e 11 del d.P.R. n. 633 del 1972, perché il giudice di secondo grado non ha tenuto conto che i maggiori ricavi conseguiti dalla società avrebbero comunque dovuto essere sottoposti ad imposizione quando il fenomeno si è verificato, nell’anno 2011, sia ai fini delle imposte dirette sia di quelle indirette. Inoltre, l’argomento secondo cui la società avrebbe comunque versato tutti i tributi dovuti risulta comunque smentito dalle risultanze del PVC a seguito di analisi contabile.
E’ opportuno premettere che esigenze di chiarezza impongono di cercare di ricostruire, sulla base delle non sempre intellegibili narrative delle parti, la vicenda che ha condotto all’odierno giudizio, senza trascurare i rilievi proposti dagli organi giudicanti.
4.1. Risulta pacifico che la RAGIONE_SOCIALE, la quale stava realizzando un complesso immobiliare costituito da più appartamenti, aveva stipulato nel 2008 un contratto di appalto con permuta con la ditta appaltatrice RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME. La ditta si impegnava a fornire infissi per interni ed esterni per un valore di euro 88.000,00 oltre Iva, e la società avrebbe corrisposto in cambio una delle unità immobiliari in costruzione ed il rispettivo vano cantina (a titolo di permuta), oltre ad un conguaglio a saldo di Euro 25.000,00.
Nell’anno 2011 oggetto di causa, la COGNOME fatturava per la fornitura degli infissi l’importo di euro 96.538,46 (oltre Iva), e contabilizzava incassi riscossi dalla società per euro 62.400,00 (quarta fattura non riscossa). La RAGIONE_SOCIALE fatturava euro 60.000,00 per la vendita dell’immobile. L’Agenzia contestava alla RAGIONE_SOCIALE maggiori ricavi non fatturati e non dichiarati nella misura di euro 36.538,46, costituiti dalla differenza tra gli importi fatturati dalle due società. Tanto sarebbe dipeso dal fatto che la RAGIONE_SOCIALE non aveva corrisposto l’importo perché lo stesso costituiva, di fatto, l’acconto versato dalla COGNOME per l’acquisto dell’immobile.
Su tutto questo si innesta un’articolata operazione negoziale in cui nella cessione dell’immobile sarebbe stata interposta NOME, che era la moglie di COGNOME NOME titolare della Lavinall, ed aveva acquistato l’appartamento al prezzo di euro 66.000,00 per conto di terzi, contestandosi dall’Amministrazione finanziaria la violazione dell’art. 11, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972. In sostanza l’immobile ceduto alla COGNOME non rappresentava più, secondo l’Ente impositore, il corrispettivo della cessione degli infissi, bensì una vendita diretta, tramite soggetto interposto, con ricavo non contabilizzato. Secondo la società, invece, il contratto di appalto con permuta era stato consensualmente risolto dalle parti, pattuendosi che
l’appartamento in costruzione sarebbe stato ceduto alla COGNOME anziché a suo marito. Le somme che si pretendevano evase attenevano ad importi solo successivamente regolati tra le parti e relativi alla vendita del vano cantina, ceduto con atto pubblico del 24.1.2016, di cui alla fattura della RAGIONE_SOCIALE di euro 48.300,00 dell’anno 2015.
Mediante il primo motivo d’impugnazione l’Amministrazione finanziaria contesta, in sostanza, il fraintendimento circa il reale oggetto del processo da parte della Corte tributaria della Puglia, che si è soffermata sulla simulazione del negozio di trasferimento immobiliare tramite interposizione di persona, che pure era stato allegato dall’Ufficio al fine di chiarire la fattispecie, ma ha trascurato che l’evasione fiscale emerge dal mancato pagamento delle imposte, come chiarito già nell’avviso di accertamento, dipendente dal fatto che la società non ha versato i tributi dovuti sui maggiori ricavi conseguiti nell’anno 2011, nell’ammontare della differenza tra gli importi fatturati dalla RAGIONE_SOCIALE e quanto effettivamente versato dalla RAGIONE_SOCIALE. Gli argomenti sono ripresi nel terzo motivo di ricorso.
5.1. Corrisponde al vero che il giudice dell’appello concentra la propria valutazione sulla ritenuta mancanza di prova dell’accordo simulatorio che sarebbe intercorso tra le parti con l’effetto di celare la contestata evasione fiscale. Inoltre, ritiene il giudice di secondo grado che comunque l’intero importo della vendita dell’immobile, appartamento e cantina, pari ad euro 113.000,00, nella progressione di più anni d’imposta, è stato interamente fatturato mediante tre documenti intestati alla Signora COGNOME (euro 60.000,00) e due all’COGNOME ( euro 53.000,00), conseguendone che non si è realizzata alcuna evasione fiscale.
5.2. Anche se è la stessa Amministrazione finanziaria che ha posto la questione della simulazione dei negozi intervenuti tra le parti a seguito dell’originario contratto di appalto verso cessione di
cosa futura, con conguagli, è pur vero che l’Ente impositore, fin dall’avviso di accertamento, ha contestato che la RAGIONE_SOCIALE aveva fatturato per la fornitura degli infissi l’importo di euro 96.538,46 (oltre Iva), ed aveva però contabilizzato incassi riscossi per soli euro 62.400,00 (quarta fattura non riscossa). La RAGIONE_SOCIALE fatturava invece eu ro 60.000,00 per la vendita dell’immobile. L’Agenzia contestava alla RAGIONE_SOCIALE maggiori ricavi non fatturati e non dichiarati nella misura di euro 36.538,00, costituiti dalla differenza tra gli importi fatturati reciprocamente dalle parti. Tanto sarebbe dipeso dal fatto che la RAGIONE_SOCIALE non aveva corrisposto quell’importo perché lo stesso costituiva, di fatto, l’acconto versato dalla COGNOME per l’acquisto dell’immobile.
Questa motivazione dell’avviso di accertamento, relativa al solo anno 2011 in contestazione, non risulta specificamente esaminato dalla CGT, che sul punto si rivela effettivamente carente.
A prescindere dalle ulteriori vicende dei rapporti contrattuali tra le parti, se, questione da valutare, dovesse ritenersi accertato che un reddito costituito da maggiori ricavi conseguiti quale acconto su una cessione immobiliare risulta conseguito in un determinato anno, in quell’anno deve essere sottoposto a tassazione, indipendentemente dal fatto che il saldo dell’acquisto immobiliare sia corrisposto anni dopo (2012 e 2015, con atto di cessione del 27.1.2016).
Il primo motivo di ricorso risulta, pertanto, fondato e deve perciò essere accolto, mentre gli ulteriori motivi di impugnazione restano assorbiti.
5.2.1. Solo per completezza può evidenziarsi che, ove di rilievo, gli atti mediante i quali le parti modificano contratti sottoposti per legge a forma vincolata devono essere redatti nella medesima forma.
Circa l’argomento del giudice dell’appello secondo cui, sia pure in anni successivi, tutte le attribuzioni patrimoniali ricevute dalla
società RAGIONE_SOCIALE sono state fatturate e sulle stesse è stata versata l’imposta dovuta, poi, argomento che non incide necessariamente sulla quantità di imposta dovuta nell’anno 2011, come si è visto, merita ancora di essere ricordato che l’Amministrazione finanziaria contesta anche questo dato fondando sulle risultanze dell’analisi contabile svolta in sede di PVC, perché la società avrebbe ricevuto dall’RAGIONE_SOCIALE, in più anni, l’importo di euro 150.629,37, ed ha emesso fatture solo per euro 114.090,91. Pertanto la differenza sottratta all’imposizione rimane proprio di euro 36.958,46.
In definitiva deve essere accolto il primo motivo di ricorso, assorbiti gli ulteriori, e la decisione impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia perché proceda a nuovo esame e provveda, altresì, a regolare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso proposto dall’ Agenzia delle Entrate e dichiara assorbiti i restanti;
cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia perché, in diversa composizione e nel rispetto dei principi esposti, proceda a nuovo giudizio, provvedendo anche a regolare tra le parti le spese di lite del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, l’11.9.2025.
Il Presidente NOME COGNOME