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Omesso versamento IVA: la crisi non esclude il dolo

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un amministratore condannato per omesso versamento IVA per oltre 800.000 euro. Secondo la Corte, la crisi di liquidità dell’impresa, anche se reale, non esclude il dolo, in quanto l’amministratore ha compiuto una scelta consapevole, preferendo destinare le risorse alla continuità aziendale piuttosto che al pagamento delle imposte. La sentenza ribadisce che il mancato pagamento dell’IVA è un rischio d’impresa che non può essere scaricato sullo Stato.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Omesso versamento IVA: la crisi d’impresa non è una scusa valida

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34228 del 2025, ha ribadito un principio fondamentale in materia di reati tributari: l’omesso versamento IVA non può essere giustificato dalla crisi di liquidità dell’azienda. L’amministratore che sceglie di non versare le imposte per garantire la continuità aziendale commette comunque reato, poiché tale scelta è considerata una manifestazione del dolo richiesto dalla norma. Analizziamo questa importante decisione.

I fatti del caso

Il legale rappresentante di una società per azioni è stato condannato in primo e secondo grado per non aver versato, entro la scadenza del 27 dicembre 2016, l’IVA dovuta per l’anno d’imposta 2015, per un importo di circa 835.000 euro.

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali:
1. Mancanza di dolo: la difesa sosteneva che l’inadempimento fosse dovuto a una grave crisi di liquidità, non a una volontà di evadere le tasse.
2. Causa di non punibilità: invocava la nuova causa di non punibilità per crisi di liquidità non imputabile, introdotta nel D.Lgs. 74/2000.
3. Particolare tenuità del fatto: chiedeva l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. data l’eccezionalità della situazione economica.
4. Mancato riconoscimento delle attenuanti generiche: lamentava una valutazione ingiusta della sua condotta.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza di tutti i motivi. La condanna è stata quindi confermata. I giudici hanno smontato punto per punto le argomentazioni difensive, riaffermando principi giurisprudenziali consolidati.

Le motivazioni: perché l’omesso versamento IVA resta un reato

La parte centrale della sentenza risiede nelle motivazioni con cui i giudici hanno respinto le tesi dell’imputato. È qui che emerge la linea dura della giurisprudenza nei confronti dell’inadempimento fiscale.

Il Dolo e la Crisi di Liquidità

La Corte ha chiarito che la crisi di liquidità non esclude la colpevolezza. Il reato di omesso versamento IVA richiede il dolo generico, ovvero la semplice coscienza e volontà di non versare l’imposta alla scadenza. Secondo i giudici, l’amministratore, consapevole della crisi finanziaria che si protraeva da anni (dal 2012), ha compiuto una scelta imprenditoriale consapevole: ha preferito utilizzare l’IVA incassata per finanziare l’attività d’impresa e garantirne la continuità, piuttosto che adempiere ai suoi obblighi fiscali. Questo comportamento, inclusa la percezione di un compenso da amministratore durante la crisi, integra pienamente il dolo richiesto dalla norma. In sostanza, la crisi è considerata un rischio d’impresa ordinario che non può essere fatto ricadere sulla collettività.

Inapplicabilità delle Nuove Cause di Non Punibilità e della Tenuità del Fatto

Anche le altre argomentazioni sono state respinte. La nuova causa di non punibilità introdotta dall’art. 13, comma 3-bis, del D.Lgs. 74/2000, si applica solo a crisi di liquidità sopravvenute e dovute a specifiche cause (es. mancato pagamento da parte della P.A.), condizioni non presenti nel caso di specie.

Per quanto riguarda la particolare tenuità del fatto, la Cassazione ha sottolineato che l’enorme ammontare del tributo evaso (835.115,00 euro) è di per sé sufficiente a escludere che l’offesa possa essere considerata di lieve entità. Un superamento così significativo della soglia di punibilità rende l’istituto inapplicabile.

Le conclusioni

La sentenza in esame è un monito per tutti gli amministratori d’impresa. La Corte di Cassazione ha confermato con fermezza che l’obbligo di versare l’IVA è prioritario e non può essere subordinato alle esigenze di liquidità aziendale. La scelta di utilizzare le somme destinate al Fisco per altri scopi, anche se finalizzata a salvare l’azienda, costituisce una decisione che espone a responsabilità penale. L’omesso versamento IVA non è uno strumento di autofinanziamento tollerato dalla legge, ma un reato la cui sussistenza è legata alla semplice e consapevole omissione del pagamento entro i termini stabiliti.

Una crisi di liquidità aziendale giustifica l’omesso versamento IVA?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la crisi di liquidità è un rischio d’impresa che non esclude la colpevolezza per il reato di omesso versamento. L’amministratore che sceglie di utilizzare le somme per la continuità aziendale anziché per pagare le imposte agisce con dolo.

Come viene valutato il dolo (l’intenzione) nel reato di omesso versamento IVA?
Il dolo richiesto è ‘generico’. È sufficiente che l’amministratore sia consapevole dell’obbligo di versare l’imposta e scelga volontariamente di non farlo entro la scadenza, a prescindere dalle ragioni di tale scelta (come finanziare l’attività).

Quando si può applicare la causa di non punibilità per ‘particolare tenuità del fatto’ in un reato tributario?
L’applicazione è esclusa quando l’importo dell’imposta evasa supera in modo significativo la soglia di punibilità prevista dalla legge. In questo caso, un debito di oltre 800.000 euro è stato ritenuto di per sé ostativo alla concessione di tale beneficio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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