Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6710 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6710 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29598/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLE MARCHE n. 476/2021 depositata il 26 aprile 2021
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 22 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale di PesaroUrbino dell’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE un avviso di
accertamento mediante il quale, sull’assunto che la prefata società -proprietaria di un ingente patrimonio comprendente anche un ramo d’azienda destinato ad attività di ristorazione, concesso in affitto a terzi- dovesse considerarsi non operativa relativamente all’anno d’imposta 2007, determinava in via presuntiva il reddito complessivo netto e il valore della produzione netta da assoggettare a tassazione, rispettivamente, ai fini dell’IRES e dell’IRAP, in applicazione dei parametri stabiliti dall’art. 30, commi 3 e 3bis , della L. n. 724 del 1994.
La contribuente impugnava il suddetto avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Pesaro, che accoglieva il suo ricorso, annullando l’atto impositivo.
La decisione veniva, però, successivamente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale delle Marche, la quale, con sentenza n. 476/2021 del 29 marzo 2021, in accoglimento dell’appello erariale, respingeva l’originario ricorso della parte privata.
Avverso tale sentenza la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
In data 15 febbraio 2024 il difensore della società ricorrente ha comunicato l’intervenuto fallimento della stessa, chiedendo di dichiarare l’interruzione del processo.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
Nel termine di cui al comma 1, secondo periodo, dello stesso articolo il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME ha depositato requisitoria scritta, concludendo per il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. «In limine litis» deve essere disattesa l’istanza di interruzione del processo avanzata dal difensore della ricorrente, in quanto
l’istituto di cui agli artt. 299 e seguenti c.p.c. non trova applicazione nel giudizio di cassazione, essendo questo dominato dall’impulso d’ufficio (cfr. Cass. n. 17636/2024, Cass. n. 6642/2024, Cass. n. 30785/2023; vedasi, in particolare, Cass. n. 27143/2017, ove si precisa che «l’intervenuta modifica dell’art. 43 l. fall. per effetto dell’art. 41 del d. lgs. n. 5 del 2006, nella parte in cui stabilisce che ‘l’apertura del fallimento determina l’interruzione del processo’, non comporta l’interruzione del giudizio di legittimità, posto che in quest’ultimo, in quanto dominato dall’impulso d’ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge» ).
1.1 Tanto premesso, va osservato che entrambi i motivi di ricorso sono stati proposti ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c..
1.2 Essi denunciano l’omesso esame di fatti decisivi e controversi costituiti: (a)dalla sollevata di inapplicabilità retroattiva dell’art. 30 della L. n. 724 del 1994, nel testo modificato dal D.L. n. 223 del 2006, convertito in L. n. 248 del 2006, ai contratti stipulati anteriormente alla novella; (b)dalla comprovata esistenza di oggettive situazioni di carattere straordinario che avevano reso impossibile il conseguimento dei ricavi nella misura minima richiesta dal comma 1 del citato art. 30.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto accomunati dalla prospettazione del medesimo vizio della
sentenza impugnata.
2.1 Le censure non possono trovare ingresso.
2.2 Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte formatasi sulla scia dell’arresto delle Sezioni Unite n. 8053/2014, l’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., come riformulato dall’art. 54, comma 1, lettera b), del D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012 -applicabile anche ai ricorsi avverso le sentenze delle Commissioni Tributarie Regionali (ora Corti di giustizia tributaria di secondo grado)-, introduce nell’ordinamento un vizio specifico
denunciabile in cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, risultante dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione fra le parti e che rivesta carattere decisivo, nel senso che, laddove fosse stato preso in considerazione, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.
Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6) e 369, comma 2, n. 4), c.p.c., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale fra le parti e la sua «decisività».
2.3 È stato, inoltre, ripetutamente precisato che il vizio di omesso esame, in base alla nuova versione dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., può riguardare solo una «quaestio facti» , e non una «quaestio iuris» , sicchè non costituiscono «fatti», ai sensi della citata disposizione, gli elementi istruttori, le argomentazioni difensive, le domande e le eccezioni formulate nella causa di merito, né i motivi di appello (cfr. Cass. n. 22397/2019, Cass. n. 16705/2024, Cass. n. 22522/2024, Cass. n. 27849/2024), dovendo, perciò, reputarsi inammissibili le censure che irritualmente estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr. Cass. n. 976/2021, Cass. n. 1704/2024, Cass. n. 5426/2024; vedasi pure Cass. n. 23003/2024, in cui si chiarisce che non sono riconducibili al vizio di omesso esame «carenze nella motivazione riguardanti la valutazione degli elementi istruttori o la specifica confutazione delle argomentazioni delle parti, in quanto tale valutazione rientra nella discrezionalità del giudice di merito» ). 2.4 Tanto premesso, si rileva che, nel caso di specie, la doglianza mossa dalla RAGIONE_SOCIALE non afferisce all’omesso esame di fatti storici, nell’accezione dianzi precisata, bensì all’asserita mancata disamina, da parte della CTR: (1)della questione attinente
all’inapplicabilità delle modifiche apportate all’art. 30 della L. n. 724 del 2006 dal D.L. n. 223 del 2006 ai contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore del menzionato decreto; (2)degli elementi istruttori offerti dalla contribuente al fine di dimostrare che nell’anno 2007 il conseguimento dei ricavi minimi di cui al comma 1 del detto articolo era stato impedito dal verificarsi di oggettive situazioni di carattere straordinario.
2.5 Si è, quindi, in presenza di temi di diritto, argomentazioni e dati probatori che non possono essere considerati alla stregua di veri e propri «fatti» ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., nell’interpretazione fornitane dalla costante giurisprudenza di legittimità.
2.6 Oltretutto, con specifico riferimento alla questione giuridica suaccennata, la ricorrente nemmeno indica i passaggi motivazionali della sentenza da cui si ricaverebbe che il collegio di secondo grado abbia ritenuto applicabile alla fattispecie concreta il testo dell’art. 30 della L. n 724 del 1994, come modificato dal D.L. n. 223 del 2006.
Per le ragioni esposte, il ricorso va dichiarato inammissibile, sulle conclusioni sostanzialmente conformi del Pubblico Ministero.
Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Stante l’esito dell’impugnazione, viene resa nei confronti della ricorrente l’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 5.600 euro, oltre ad eventuali
oneri prenotati a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposta impugnazione, a norma del comma 1bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione