Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8770 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8770 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/04/2024
ORDINANZA
Sul ricorso n. 14075-2016, proposto da:
COGNOME NOME , cf. CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato in Roma, presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf CODICE_FISCALE, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 10925/47/2015 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 3 dicembre 2015;
Cassazione con rinvio – Omessa riassunzione -Conseguenze -Definitività dell’atto impositivo -Cartella di pagamento
udita la relazione della causa svolta nell’ adunanza camerale del 6 ottobre 2023 dal AVV_NOTAIO,
Rilevato che
Dalla sentenza impugnata e dal ricorso si evince che, a seguito della notifica di avvisi di rettifica per Iva, relativi agli anni 1995 e 1996, dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Benevento insorse la controversia tra COGNOME NOME e l’RAGIONE_SOCIALE , esitata nella sentenza n. 204/02/2002, di parziale accoglimento RAGIONE_SOCIALE ragioni del contribuente.
Entrambe le parti, ciascuna per quanto soccombente, appellarono la decisione dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania, che con sentenza n. 48/51/2005 accolse quello del contribuente e rigettò quello dell’ufficio, annullando inte gralmente gli avvisi di rettifica.
L’Amministrazione fin anziaria impugnò la pronuncia dinanzi al giudice di legittimità, che con sentenza n. 8148 dell’11 aprile 2011, ne dispose la cassazione con rinvio al giudice di secondo grado. Il giudizio non fu riassunto, così che, ai sensi dell’art. 393 cod. proc. civ., il processo si estinse.
In data 14 ottobre 2014 RAGIONE_SOCIALE notificò al contribuente la cartella erariale n. NUMERO_CARTA, con richiesta di pagamento dell’intero importo indicato negli atti di rettifica.
La cartella fu quindi impugnata dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Benevento, che con sentenza n. 994/03/2014 rigettò le ragioni del contribuente . L’appello del soccombente fu respinto dalla Commissione tributaria regionale della Campania con sentenza n. 10925/47/2015.
Il giudice regionale ha ritenuto che, in conseguenza del l’effetto sostitutivo della sentenza di secondo grado e della cassazione della medesima sentenza d’appello con rinvio al giudice di merito, il giudizio
si era estinto per l’omessa riassunzione, ex art. 393 cod. proc. civ. Pertanto gli atti di rettifica impugnati erano divenuti definitivi. Correttamente, ha dunque concluso, la cartella di pagamento era stata fondata sull’intero credito erariale portato negli originari avvisi di rettifica.
Con ricorso affidato a quattro motivi il contribuente ha censurato la sentenza, chiedendone la cassazione, cui ha resistito l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Nelle more del giudizio il difensore del ricorrente ha rinunciato al mandato, a cui è seguita la nomina del nuovo difensore.
All’esito dell’adunanza camerale del 6 ottobre 2023 la causa è stata discussa e decisa. Il ricorrente ha illustrato le proprie ragioni con memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis.1, cod. proc. civ.
Considerato che
Con il primo motivo il COGNOME denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 1, n. 2, secondo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come modificato dall’art. 1, comma 402, lett. a), n. 1, della l. 30 dicembre 2004, n. 311. Sostiene l’erroneità della sentenza per non aver tenuto conto che a decorrere dal 9 ottobre 2014 gli accertamenti basati sui movimenti bancari del lavoratore autonomo possono tener conto dei versamenti, ma non RAGIONE_SOCIALE operazioni di prelievo;
con il secondo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2953, 2945, terzo comma, cod. civ., 41, comma 2, d.lgs. 346 del 1990, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché erroneamente la pronuncia non avrebbe riconosciuto la prescrizione del credito erariale, che doveva decorrere dall’accertamento ;
con il terzo motivo si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in relazione all’art.
360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Sempre in riferimento al decorso della prescrizione del credito erariale, sostiene che la sentenza sarebbe err ata per non aver considerato che il venir meno dell’intero processo, con conseguente definitività degli atti impositivi, comporterebbe non solo la prescrizione del credito, ma l’impossibilità della sua iscrizione a ruolo, dovendo emettersi la cartella entro il 31 dicembre del «secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo»;
con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. per omessa motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. Afferma che il giudice regionale, dopo aver escluso la prescrizione, si è limitato a dichiarare che non vi fossero motivi per modificare la statuizione del giudice di primo grado.
Va premesso che nella sentenza impugnata la Commissione regionale ha riportato le ragioni d’impugnazione dell’appellante, e nello specifico l’inopponibilità della decisione del giudice di legittimità, per violazione del principio del contraddittorio, per l ‘omessa o inesistente notifica del ricorso proposto dinanzi al giudice di legittimità, nonché la decadenza della iscrizione a ruolo, perché (erroneamente) reso esecutivo solo successivamente al passaggio in giudicato della sentenza emessa dalla Corte di cassazione.
Nel decidere sulle ragioni d’impugnazione, il giudice regionale ha quindi affermato che con la mancata riassunzione del processo dinanzi al giudice del rinvio indicato dalla corte di legittimità, l’accertamento era divenuto definitivo. Inoltre, con riguardo alle altre questioni sollevate ha affermato che non vi fossero ragioni per discostarsi dalle statuizioni del giudice provinciale.
Ciò chiarito, quanto al primo motivo, a parte la sua ‘novità’, perché non emerge in quale atto o in quale grado la questione fosse stata già sollevata (la norma modificativa dell’art. 32 del d.P.R. n. 600
del 1973 è anteriore alla pronuncia del giudice dell’appello), esso è infondato perché, come d’altronde evidenziato dal medesimo contribuente nell’articolazione dei successivi motivi, dal momento della estinzione del processo, in conseguenza della mancata riassunzione del giudizio ex art. 393 cod. proc. civ., il credito erariale era ormai già cristallizzato.
È appena il caso di rilevare come la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la mancata riassunzione del giudizio di rinvio determina, ai sensi dell’art. 393 cod. proc. civ., l’estinzione dell’intero processo, con conseguente caducazione di tutte le attività espletate, salva la sola efficacia del principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione, non assumendo rilievo che l’eventuale sentenza d’appello, cassata, si sia limitata a definire in rito l’impugnazione della decisione di primo grado ovvero abbia rimesso la causa al primo giudice e, dunque, manchi un effetto sostitutivo rispetto a quest’ultima pronuncia, poiché tale disciplina risponde ad una valutazione negativa del legislatore in ordine al disinteresse RAGIONE_SOCIALE parti alla prosecuzione del procedimento (Cass., 13 maggio 2020, n. 8891; 21 settembre 2023, n. 26970).
Pertanto, tenendo conto che la definitività dell’accertamento è intervenuta a partire dal 12 aprile 2012 (trovando applicazione il termine annuale di riassunzione per i giudizi instaurati solo dopo il 4 luglio 2009, ai sensi dell’art. 58, comma 1, della l. 18 giugno 2009, n. 69, mentre quello che interessa la presente lite era stato instaurato in data ben anteriore), nessuna incidenza sul credito erariale poteva assumere una novella introdotta nel 2014.
Il secondo ed il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente, perché connessi dalla critica indirizzata alla sentenza, relativamente alla intervenuta prescrizione del credito erariale ed alla decadenza conseguente dalla iscrizione a ruolo.
La giurisprudenza di legittimità, che questo collegio condivide, ha affermato che in caso di estinzione del processo tributario, dovuta ad omessa riassunzione della causa davanti al giudice del rinvio, non trova applicazione la regola generale dettata dall’art. 2945, comma 3, cod. civ. ed il termine di prescrizione della pretesa fiscale decorre dalla data di scadenza del termine utile per la (non attuata) riassunzione, giacché solo da tale momento l’atto impositivo diviene definitivo, mentre, ove venisse meno l’effetto sospensivo previsto dall’art. 2945, comma 2, cod. civ., la prescrizione maturerebbe anteriormente a tale definitività in favore dell’unica parte processuale (il contribuente) interessata alla riassunzione, proprio al fine di evitare che l’atto impugnato diventi definitivo (Cass., 18 novembre 2016, n. 23502; 15 gennaio 2016, n. 556; cfr. anche 12 aprile 2017, n. 9521).
Tenendo conto che nel caso di specie il termine per la riassunzione è inutilmente decorso il 12 aprile 2012, non trova fondamento giuridico né l’invocata prescrizione del credito erariale, né la pretesa decadenza dall’iscrizione a ruolo e dalla emissione e notificazione della cartella per cui è causa.
Inammissibile è il quarto motivo, perché la pretesa omissione della motivazione, come vizio di motivazione, sui motivi d’appello non trova riscontro nel perimetro del vizio di motivazione, così come riconsiderato dall’art. 54, comma 1, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazione nella l. 7 agosto 2012, n. 134.
Se poi con il motivo il contribuente abbia voluto in realtà censurare la sentenza sotto il profilo dell’omessa decisione, ossia quale motivazione apparente, il motivo sarebbe comunque infondato, perché, riconoscendo gli effetti della mancata riassunzione del giudizio, ogni altra questione risultava ‘a cascata’ compromessa dalla prima statuizione. Pertanto, l’affermazione secondo cui non vi erano motivi per modificare il decisum del giudice di primo grado corrispondeva ad
una sintetica, ma ad un tempo sufficiente e chiara risposta del giudice d’appello alle censure mosse dall’appellante alla sentenza del giudice provinciale.
Quanto poi alle ragioni illustrate dal nuovo difensore nella memoria da ultimo depositata (relative alla pretesa revoca della cartella, alla revoca della sentenza n. 8148 del 2011, alla pretesa rilevanza degli sgravi degli atti jmpositivi), è appena il caso di sottolinearne l’assoluta irrilevanza, perché nuove ed inammissibili.
Il ricorso va in conclusione rigettato. Le spese seguono la soccombenza, nella misura specificata il dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente a rifondere in favore d ell’RAGIONE_SOCIALE le spese processuali del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 4.300,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 6 ottobre 2023