Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10322 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10322 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/04/2025
Oggetto: Irpef, Iva ed Irap, 2012/2014 – Reddito d’impresa – Omessa dichiarazione – Rideterminazione dei costi e ricavi – Criteri.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6786/2022 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro-tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato , presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliata in Bologna, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in calce al controricorso.
– controricorrente – avverso la sentenza della C.T.R. della Lombardia, n. 3116/2021, depositata il 27.8.2021 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20.12.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con ricorso proposto alla Commissione tributaria provinciale di Milano, COGNOME NOME, quale titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE, impugnava gli avvisi di accertamento, con cui l’Agenzia delle entrate aveva rideterminato i costi ed i ricavi per gli
anni 2012, 2013 e 2014, a fronte della omessa dichiarazione dei redditi per tutte le suindicate annualità.
In primo grado, l’impugnazione della contribuente veniva parzialmente accolta, in quanto erano stati ritenuti più attendibili i dati emergenti dalla verifica della Guardia di finanza, basati su documentazione rinvenuta presso la sede della ditta individuale, piuttosto che la ricostruzione effettuata induttivamente dall’Ufficio ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 , in applicazione dello spesometro in abbinamento alla assenza di rimanenze finali di magazzino per ciascuna annualità.
Tale decisione veniva confermata in sede di appello, ove la C.RAGIONE_SOCIALE non ravvisava il lamentato difetto di motivazione, avendo il primo collegio espressamente indicato le ragioni del proprio convincimento, individuando in concreto i documenti su cui fondare il giudizio e riconoscendo ad essi una maggiore valenza probatoria.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate , sulla base di un motivo, al quale resisteva con controricorso la contribuente.
CONSIDERATO CHE:
1. Con l’unico motivo di doglianza, l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo errato la C.t.r. nel ritenere che l’Ufficio abbia proposto appello sulla base del solo vizio di motivazione della sentenza di primo grado, rendendo così una statuizione di infondatezza di tale motivo procedurale, senza procedere al riesame nel merito della fondatezza della pretesa tributaria. Per contro, l’Uffi cio, pur avvalendosi dell’erroneo strumento della riproposizione delle questioni, av rebbe ribadito la fondatezza delle difese già svolte nel primo grado in merito alla legittimità del procedimento di ricostruzione del reddito, seguendo il metodo induttivo ai sensi del citato art. 39. In tal modo, la C.t.r. avrebbe manifestamente omesso di decidere la causa, così violando l’art. 112 c.p.c., sebbene fosse evidente che l’atto di appello
lamentava l’erroneità della sentenza di primo grado per le valutazioni di merito ivi contenute.
Nel controricorso, l a contribuente eccepisce l’inammissibilità del motivo di ricorso, assumendo che , sotto l’apparente contestazione della violazione di legge, sarebbe richiesta una rivalutazione nel merito delle prove e dei fatti processuali. Sostiene, altresì, che la C.t.r. avrebbe correttamente applicato i principi dell’onere della prova, sulla base del libero convincimento di cui agli artt. 115 e 116 c.p.c., e che non vi sarebbe alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c., per non avere preso in esame le singole posizioni dell’Ufficio, avendo la C.t.r. dato risposta a ciò che le veniva espressamente chiesto con il motivo di appello.
Ebbene, l ‘Agenzia delle entrate deduce, come unico motivo di doglianza, la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3. Poi, nel corpo del ricorso, lamenta in realtà una violazione di norma processuale e, precisamente, la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ex art. 112 c.p.c.
Contrariamente a quanto eccepito dalla controricorrente, il motivo è ammissibile, poiché, pur presentando la suddetta discrasia, dalle argomentazioni contenute emerge chiaramente che l’Agenzia delle entrate intende censurare la sentenza impugnata per l’omesso esame di uno dei motivi di appello. Ed infatti, nell’abstract contenuto nella prima pagina del ricorso viene esplicitato che: ‘con il primo motivo, si censura la sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., poiché la CTR si è limitata a ritenere che la sentenza di primo grado fosse congruamente e validamente motivata, senza valutare concretamente gli atti di causa e nulla statuendo sul merito della pretesa tributaria’ .
Acclarata l’ammissibilità del motivo, questo è anche fondato. Orbene, giova premettere che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di omessa pronuncia, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c., ricorre ove
il giudice ometta completamente di adottare un qualsiasi provvedimento, anche solo implicito di accoglimento o di rigetto ma comunque indispensabile per la soluzione del caso concreto, sulla domanda o sull’eccezione sottoposta al suo esame, mentre il vizio di omessa motivazione, dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia stato, ma sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico oppure si sia tradotto nella mancanza assoluta di motivazione, nella motivazione apparente, nella motivazione perplessa o incomprensibile o nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili (Cass. n. 27551/2024, Rv. 67273101).
La Suprema Corte ha, altresì, affermato che l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360, n. 3, c.p.c., o del vizio di motivazione ex art. 360, n. 5, c.p.c., in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo – ovverosia della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c. – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello; pertanto, alla mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro ex actis dell’assunta omissione, consegue l’inammissibilità del motivo (Cass. n. 29952/2022, Rv. 66582201).
Ciò posto, nel ricorso, l’Agenzia delle entrate sostiene che, in appello, non era stato dedotto solo il vizio di motivazione della sentenza di primo grado, ma erano state riproposte tutte le questioni già dedotte nel grado precedente, così insistendo in una rivalutazione nel merito di tutto il materiale probatorio. Quindi, correttamente, la lamentata omissione di pronuncia su uno dei motivi di appello è stata fatta valere deducendo la violazione dell’art. 112 c.p.c., poiché l’Agenzia delle entrate non ch iede una rivalutazione del materiale probatorio prodotto dalle parti e del merito della decisione, ma contesta la violazione del principio processuale di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.
Orbene, dalla stessa lettura della sentenza impugnata emerge che i motivi di appello sottoposti alla C.t.r. erano due e non uno solo, ed erano parimenti dotati di specificità. Ed infatti, dopo aver indicato che l’Agenzia delle entrate eccepiva l’illegittimità dell a sentenza di primo grado per difetto di motivazione, la C.t.r. afferma che l’appellante Ufficio ha, altresì, riproposto, ritrascrivendole integralmente, tutte le argomentazioni e difese già svolte nel grado precedente.
6. A tal riguardo, giova osservare che la Suprema corte, anche recentemente, ha riaffermato che, nel processo tributario, l’onere d’impugnazione specifica richiesto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, norma speciale rispetto all’art. 342 c.p.c., è assolto anche ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire ed a riproporre in appello le stesse ragioni ed argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato già dedotte in primo grado (Cass. n. 25191/2024, Rv. 67237602, conf. Cass. n. 24641/2018, Rv. 65081801).
Sicché, la riproposizione delle argomentazioni dedotte in primo grado è sufficiente per integrare uno specifico motivo di appello. Di conseguenza, la C.t.r. era tenuta a pronunciarsi anche sul merito della pretesa tributaria avanzata dall’Agenzia delle entrate e sulla
correttezza del metodo induttivo utilizzato per la determinazione del reddito d’impresa della contribuente.
Tuttavia, tale aspetto non risulta affatto affrontato dalla C.t.r., che nella sentenza impugnata si è limitata ad esaminare il solo profilo del difetto di motivazione della sentenza di primo grado, affermandone la congruità, senza tuttavia esprimere alcun giudizio sulla correttezza e sulla condivisibilità di tale convincimento e senza effettuare alcuna valutazione in ordine al materiale probatorio a disposizione.
In conclusione, dunque, in accoglimento dell’unico motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata ed il giudizio va rinviato innanzi al giudice a quo , affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nel senso sopra indicato, nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del primo motivo di ricorso, rigettato il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio innanzi alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame, nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione