Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14816 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14816 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/06/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
– SEZIONE TRIBUTARIA –
OGGETTO
composta dai seguenti magistrati:
NOME COGNOME
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere – rel.
Ud. 12.02.2025 1/02/2025
TARSU
ha deliberato di pronunciare la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15390/2020 del ruolo generale, proposto
DA
COGNOME NOME (codice fiscale CODICE_FISCALE, nato l’8 agosto 1946 a Priverno (LT), ivi residente in INDIRIZZO rappresentato e difeso, in ragione di procura speciale e nomina da considerarsi poste in calce al ricorso, dal l’avv. NOME COGNOMEcodice fiscale CODICE_FISCALE).
– RICORRENTE –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALEcodice fiscale CODICE_FISCALE, in persona del legale rappresentante pro tempore .
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del LazioSezione distaccata di Latina -n. 5466/19/2019, depositata il 26 settembre 2019 e non notificata. Numero sezionale 1023/2025 Numero di raccolta generale 14816/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
UDITA la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME all’udienza camerale del 12 febbraio 2025.
FATTI DI CAUSA
Oggetto di controversia è l’avviso di accertamento indicato in atti con cui RAGIONE_SOCIALE -concessionaria del servizio di riscossione del Comune di Priverno -liquidava la Tarsu relativa agli anni di imposta 2010/2011 per omessa denuncia e versamento dell’imposta in relazione agli immobili posseduti dal ricorrente.
La Commissione tributaria regionale del Lazio -Sezione distaccata di Latina -accoglieva l’appello avanzato dal contribuente contro la sentenza n. 931/4/2018 della Commissione tributaria provinciale di Latina, considerando che il contribuente aveva reso una dichiarazione infedele, denunciando solo una parte dei beni posseduti e non anche la superfice scoperta di 2.368 mq, ritenendo poi che la concessionaria non fosse decaduta dall’esercizio del potere impositivo per l’anno d’imposta 2010, in quanto la denuncia andava presentata entro il 20 gennaio dell’anno successivo, per il cui termine quinquennale scadeva il 31 dicembre 2016, mentre l’avviso era stato notificato il 16 novembre 2016.
La Commissione reputava, infine, « assorbite tutte le altre eccezioni e contestazioni mosse all’operato dell’ente impositore ».
Numero sezionale 1023/2025
Numero di raccolta generale 14816/2025
NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione avverso la suindicata sentenza, con atto notificato in data 28 maggio 2020, formulando nove motivi di impugnazione. Data pubblicazione 02/06/2025
RAGIONE_SOCIALE è restata intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Si procede all’esame congiunto del primo e del secondo motivo, nonchè della terza, quarta ed ottava censura, siccome connessi in relazione a temi decisori omogenei e poi allo scrutinio separato delle altre doglianze.
Con il primo motivo di ricorso il contribuente ha eccepito, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 115 c.p.c., 23, comma 3, d.lgs. n. 546/1992 e, segnatamente, la nullità della sentenza per non aver applicato il principio di non contestazione.
1.1. L’istante ha, nello specifico, dedotto che la concessionaria si era limitata ad una generica e stereotipata contestazione dei motivi di ricorso, senza tuttavia prendere posizione sulle specifiche doglianze mosse dal contribuente, costituite dall’avvenuta presentazione della denuncia unica dei locali e delle aree tassabili, dall’inesistenza di variazione di detti dati, dall’avvenuto pagamento della tassa, dal dedotto mancato accesso di luoghi e dall’errata classificazione delle superfici accertate.
1.2. Con la seconda doglianza il ricorrente ha lamentato, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c., l’omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 c.p.c., sull’eccezione formulata dal COGNOME circa la riferita mancata contestazione delle menzionate circostanze di fatto.
1.3. Si tratta di motivi infondati.
Con riferimento al primo motivo va, infatti, rammentato che, come più volte chiarito da questa Corte, nel processo tributario, caratterizzato dall’impugnazione di un atto affermativo della pretesa fiscale, il principio di non contestazione non implica a carico del creditore, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato (preteso) mediante l’atto impositivo, atto preesistente al processo nei quali i fatti costitutivi sono già stati allegati in modo difforme da quanto dal contribuente ritenuto in sede giudiziale (così, tra le tante, Cass. n. 16984/2023).
Difatti, il principio di non contestazione, applicabile anche al processo tributario, trova qui, comunque, un limite strutturale insito nel fatto che l’avviso di accertamento (o di rettifica) non è l’atto introduttivo del processo, quanto piuttosto l’oggetto (immediato) dello stesso.
La cognizione del giudice è, dunque, limitata dai profili che siano stati contestati col ricorso ed anche laddove, in base all’art. 23 d.lgs. n. 546/1992, l’attenzione sia rivolta alle difese dell’amministrazione resistente e si intenda sottolineare che la parte resistente deve all’atto della costituzione in giudizio esporre le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente», indicando «le prove di cui intende valersi» e proponendo «altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio», non per questo può trascurarsi di considerare che l’amministrazione fonda la pretesa su un atto preesistente al processo, nel quale i fatti costitutivi sono stati già allegati in modo ovviamente difforme da quanto ritenuto dal contribuente.
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Ne consegue che l’onere di completezza della linea di difesa, che in concreto si desume dal suddetto art. 23, per quanto interpretato in coerenza col principio di non contestazione oggi desumibile dall’art. 115 c.p.c., non può essere considerato come base per affermare esistente, in capo all’amministrazione, un onere aggiuntivo di allegazione rispetto a quanto già dedotto nell’atto impositivo (cfr., tra le tante, Cass. n. 2196/2015; Cass. n. 12287/2018; Cass. n. 19806/2019; Cass. n. 22015/2020; Cass. n. 17698/2021; Cass. n. 36028/2022; Cass. n. 37844/2022, Cass. n. 9887/2023; Cass. n. 5429/2023; cui adde , ex multis , Cass. n. 22616/2024 e Cass. n. 3191/2025). Data pubblicazione 02/06/2025
1.4. Le riflessioni che precedono assorbono l’esame del secondo motivo di impugnazione, fondato sull’omessa pronuncia in ordine alla predetta eccezione.
E ciò, anche richiamando sul punto l’orientamento di questa Corte secondo cui, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale 384, secondo comma, c.p.c., all’omissione di pronuncia può porsi rimedio in sede di legittimità, nel senso che la Corte può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito, ove non occorrano accertamenti in fatto ed essendo l’eccezione infondata sul versante giuridico (cfr., tra le tante, Cass. n. 2294/2024; Cass. n. 17416/2023, che richiama Cass. n. 21968/2015; Cass. n. 34689/2022, che richiama Cass. n. 2731/2017, nonché Cass. n. 31605/2019, che richiama Cass. n. 2313/2010; Cass. n. 16171/2017 e Cass. n. 9693/2018; Cass. n. 29880/2019), integrando la decisione di rigetto
pronunciata mediante l’enunciazione delle ragioni che la giustificano in diritto. Numero di raccolta generale 14816/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
Con la terza censura il ricorrente ha rimproverato al Giudice regionale, in relazione al canone censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 70 e 71 d.lgs. n.507/1993 nella parte in cui, con motivazione peraltro contraddittoria, aveva rilevato l’omessa dichiarazione, laddove la denuncia era stata presentata sin dall’anno 1984, mentre il terreno adiacente non era stato inserito nella dichiarazione, trattandosi di area pertinenziale al fabbricato adibita a deposito di attrezzature e scarti di ferro in attesa di rivendita, come dimostrato anche dal corredo fotografico prodotto.
Con la conseguenza che, trattandosi al più di denuncia infedele, operava il termine di decadenza triennale di cui all’art. 71 d.lgs. 507/1993, che era scaduto (per il 1984 il 31 dicembre 1987 ed) in relazione agli anni in contestazione (2010/2011) il 31 dicembre 2015.
2.1. Con il quarto motivo l’istante ha eccepito, con riguardo al medesimo parametro di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 2948 c.c. e 70 e 71 d.lgs. n.507/1993, nella parte in cui, ribadita la predetta, incontestata, circostanza fattuale della denuncia effettuata nell’anno 1984, il Giudice regionale non aveva riconosciuto l’intervenuta decadenza al 31 dicembre 1988 per infedele dichiarazione o al 31 dicembre 1989 per omessa dichiarazione, nonché, comunque, la prescrizione del diritto per la sopravvenuta prescrizione quinquennale.
2.2. Anche tali censure non possono essere accolte.
Come sopra esposto, la Commissione regionale ha dato atto che la denuncia presentata dal contribuente « si riferisce esclusivamente agli edifici presenti e non anche alla parte scoperta, che doveva e deve essere assoggettata a tale tributo» (così nella sentenza impugnata), precisando che si tratta dell’area più consistente pari a mq. 2.368. Numero sezionale 1023/2025 Numero di raccolta generale 14816/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
E la stessa difesa del ricorrente riconosce che la dichiarazione presentata nell’anno 1984 non includeva l’area ritenuta pertinenziale al fabbricato, destinato a quel che risulta dal ricorso ad attività artigianale (v. pagina n. 3 del ricorso), nonché quella adibita a deposito.
2.3. Ciò premesso, va ricordato che l’ art. 62, comma 1, d.lgs. n. 507/93 (Tarsu) dispone che «1. Presupposto della tassa ed esclusioni. 1. La tassa è dovuta per l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie di civili abitazioni diverse dalle aree a verde, . 2. Non sono soggetti alla tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione ».
Sul punto l’orientamento di questa Corte ha espresso i seguenti principi, nel segno di una sostanziale e complessiva continuità normativa, di natura tributaria, tra Tarsu, Tia, Tares, Tari, aventi tutte struttura autoritativa e non sinallagmatica, con conseguente estensione dei principi informatori dell’imposizione e generale doverosità della prestazione, caratterizzata da una forte impronta pubblicistica
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(così Cass. n. 19631/2024, che richiama Cass. n. 21490/2022; Cass. n. 8088/2020 e Cass. n. 8089/2020). Numero di raccolta generale 14816/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
Si è così affermato che:
ai sensi dell’art. 62, comma 3, d.lgs. n. 507/1993, la TARSU va applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, il che significa che tra le aree scoperte vanno tenute distinte quelle accessorie o pertinenze di locali già tassati, che sono, invece, escluse dalla tassa;
-l’iniziale disciplina delle superfici scoperte diverse da quelle accessorie alle civili abitazioni ha subìto una serie di successive modifiche in forza delle quali si è innanzitutto distinto tra aree operative, tassabili per intero, ed aree pertinenziali od accessorie a locali tassabili, escluse dal tributo a decorrere dall’anno 1997 (inizialmente a norma dell’art. 2, comma 4 bis, d.l. 25 novembre 1996, n. 599, conv. dalla l. 24 gennaio 1997, n. 5);
sulla base di tale quadro normativo va quindi affermato che ai fini della tassabilità delle aree scoperte rileva esclusivamente la natura operativa delle stesse, intesa quale idoneità a produrre rifiuti ulteriori rispetto al locale e all’area principale già tassata e di cui, tenuto conto della destinazione funzionale, non rappresentano una mera estensione;
la tassazione è esclusa solo per le aree scoperte che, ai sensi del codice civile, presentano la condizione della pertinenza soggettiva e oggettiva rispetto al locale o all’area principale e purché non siano operative; l’operatività consiste nell’idoneità a produrre rifiuti ulteriori rispetto al locale e
all’area principale che già versa il tributo e non rappresenta dunque un’ulteriore estensione dell’attività svolta; Numero sezionale 1023/2025 Numero di raccolta generale 14816/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
per tutti i prelievi sui rifiuti opera, quindi, la presunzione di produttività che costituisce una condizione oggettiva fondata sulla mera disponibilità di un locale o area scoperta operativa idonea all’uso, ed ai fini dell’assoggettabilità a tributo rileva la mera idoneità di locali ed aree alla produzione di rifiuti, piuttosto che l’effettivo utilizzo del servizio;
rileva, non da ultimo, che «la TARSU è dovuta, a norma dell’art. 62 del d.lgs. n. 507 del 1993, per l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte (a qualsiasi uso adibite, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie ad abitazioni) e dei locali e delle aree che, per la loro natura o il particolare uso cui sono stabilmente destinate, o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità, non possono produrre rifiuti: tali esclusioni non sono, tuttavia, automatiche, perché ponendo la norma una presunzione ” iuris tantum” di produttività, superabile solo dalla prova contraria del detentore dell’area, dispone altresì che le circostanze escludenti la produttività e la tassabilità siano dedotte “nella denuncia originaria” o in quella “di variazione”, e siano debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione» (cfr. Cass. n. 13733/2023, che richiama Cass. n. 31460/2019; cui, tra le tante, adde Cass. n. 14718/23, Cass. n. 16265/2024 e Cass. 19631/2024);
– sia pur con varianti lessicali che, nella disposizione di cui all’art. 14, comma 4, cit. (in tema di Tares), hanno trovato una più chiara formula espressiva -ov’è, dunque, evidente, che le «aree scoperte operative» ad ogni modo legittimano l’esercizio del potere impositivo, seppur aree in rapporto di
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connessione funzionale con «locali tassabili» – la fattispecie di esclusione in discorso è stata ricondotta dalla Corte, in precedenti arresti relativi al règime della Tarsu, – e con specifico riferimento alle aree destinate a parcheggio – alla disposizione di cui all’art. 62, comma 2, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, essendosi rilevato che detta disposizione, nell’escludere dall’assoggettamento al tributo i locali e le aree che non possono produrre rifiuti «per il particolare uso cui sono stabilmente destinati», chiaramente esige che sia provata dal contribuente non solo la stabile destinazione dell’area ad un determinato uso, ma anche la circostanza che tale uso non comporta produzione di rifiuti (v. Cass. n. 29538/2024, che richiama Cass. n. 18500/2017 e Cass. n. 5047/2015); Numero di raccolta generale 14816/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
in tema di Tares, si è rimarcato che la tassazione è esclusa solo per le aree scoperte che, ai sensi del codice civile, presentano la condizione della pertinenza soggettiva e oggettiva rispetto al locale o all’area principale e purché non siano operative; laddove l’operatività consiste nell’idoneità a produrre rifiuti ulteriori rispetto al locale e all’area principale che già versa il tributo e non rappresenta dunque un’ulteriore estensione dell’attività svolta (v. Cass. n. 29538/2024 cit., che richiama Cass. n. 14718/2023);
il nesso di pertinenzialità non esclude, pertanto, ex se l’imponibilità laddove detto nesso involga un’area da considerarsi operativa siccome luogo di esercizio di un’attività funzionale allo svolgimento dell’attività (principale) cui si raccorda lo stesso nesso pertinenziale (v. Cass. n. 29538/2024 cit.);
-il presupposto impositivo rimane correlato alla occupazione o alla conduzione di locali ed aree scoperte,
adibiti a qualsiasi uso privato, così che, pur valendo il principio secondo cui è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, è onere del contribuente dimostrare la sussistenza delle condizioni per beneficiare della riduzione della superficie tassabile ovvero dell’esenzione, trattandosi di eccezione rispetto alla regola generale del pagamento dell’imposta sui rifiuti urbani nelle zone del territorio comunale (cfr., tra le tante, Cass. n. 30505/2024, che richiama Cass., 15 maggio 2019, n. 12979; Cass., 22 settembre 2017, n. 22130). Numero sezionale 1023/2025 Numero di raccolta generale 14816/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
2.4. Sulla scorta di tali principi va allora osservato che, per stessa ammissione del contribuente, la dichiarazione presentata nell’anno 1984 non includeva l’area scoperta, la quale, alla luce di quanto dedotto dal medesimo ricorrente, non poteva essere considerata pertinenziale ad abitazione civile, avendo l’istante rappresentato di aver presentato la denuncia « allorquando ha iniziato la sua attività artigianale» (v. pagina n. 3 del ricorso, in termini ripresi a pagina n. 18 del ricorso, in cui si richiama la visura camerale, senza distinzione, sui beni in questione), con ciò quindi accreditando l’ordine di idee che nel fabbricato venisse svolta attività artigianale, come implicitamente ritenuto dal Giudice regionale che non ha ritenuto, nemmeno in parte, la natura pertinenziale delle aree scoperte.
In tali termini, deve riconoscersi che, in mancanza di una specifica allegazione e dimostrazione della destinazione del fabbricato (o di parte di esso) a civile abitazione, non poteva fondarsi alcuna relazione pertinenziale della area accessoria (o di parte di essa asservita alla eventuale civile abitazione), per cui correttamente la Commissione non ha considerato l’ipotesi esonerativa, la quale -per quanto sopra detto – postulava
l’allegazione prima e la prova poi qui mancanti – della sua relazione con un abitazione civile oppure la non operatività dell’area scoperta, prospettiva questa in realtà smentita dalla destinazione di tali aree scoperte (o parti di esse) « a deposito di attrezzatura in attesa di riparazione e/o scarti di ferro » (v. pagina n. 14 del ricorso). Numero sezionale 1023/2025 Numero di raccolta generale 14816/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
Per tale via ed in conclusione, l’omissione dell’obbligo dichiarativo ha precluso ogni prospettiva di esonero.
2.5. In relazione al quarto motivo, poi, va evidenziato che erra l’istante nel collegare il termine decadenziale all’anno (1984) della dichiarazione, reputandolo scaduto al 31 dicembre 1988 per l’infedele dichiarazione o al 31 dicembre 1988 per l’omessa dichiarazione, così come non fondata è l’eccezione di prescrizione del diritto.
Ricorre, infatti, anche in tal caso, il principio più volte espresso da questa Corte secondo cui:
in tema di tassa sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, il d.lgs. n. 507/1993, consente al contribuente di limitarsi a denunciare le sole variazioni intervenute successivamente alla presentazione della dichiarazione originaria, senza dover rinnovare la propria dichiarazione anno per anno;
-ad ogni anno solare corrisponde una obbligazione tributaria, per cui, qualora la denunzia sia stata incompleta, infedele, oppure omessa, l’obbligo di formularla si rinnova di anno in anno, con la conseguenza che l’inottemperanza a tale obbligo, sanzionata dall’art. 76 del citato decreto, comporta l’applicazione della sanzione anche per gli anni successivi al primo;
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la protratta inottemperanza all’obbligo di presentare la denuncia non provoca la decadenza, per decorso del tempo, del potere del Comune di accertare le superfici non dichiarate che continuino ad essere occupate o detenute, ovvero gli altri elementi costituenti il presupposto della tassa; Data pubblicazione 02/06/2025
-in materia di TARSU, quindi l’omessa dichiarazione integra una ulteriore violazione per ogni anno che si perpetua e la sanzionabilità non resta limitata alla prima annualità (cfr. su tali principi; Cass. n. 25063/2019, Cass. n. 26334/2017, Cass. n. 18133/2009 e Cass. 18122/2009).
Correttamente, dunque, sono stati considerati evasi gli obblighi dichiarativi per gli anni 2010 e 2011.
Errato risulta, infine, il riferimento alla prescrizione, trattandosi di termine normativamente stabilito dall’art. 1, comma 161, della legge n. 296/2006 a pena di decadenza, con diverso dies a quo .
2.6. Resta assorbito nelle valutazioni che precedono l’esame dell’ottavo motivo, con cui l’istante ha dedotto, ancora in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4., c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. e quindi la nullità della sentenza per l’omessa pronuncia sull’errata classificazione della superficie accertata, non avendo considerato le aree esenti da imposta perché destinate a deposito o a spazi di manovra di automezzi o non utilizzate e quindi non suscettive di produrre rifiuti.
L’accertata violazione dell’obbligo dichiarativo ha, difatti, escluso, a monte, ogni ipotesi di sottrazione dalla tassazione delle aree ritenute esenti.
3. Con la quinta ragione di contestazione il contribuente ha eccepito, con riguardo all’art. 360, primo comma, num. 4., c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. e, quindi, la nullità della sentenza per l’omessa pronuncia sull’illegittimità della sanzione per la mancata denuncia e del cumulo materiale delle sanzioni, contestazioni questa che erano state mosse in primo grado e ribadite in appello. Numero sezionale 1023/2025 Numero di raccolta generale 14816/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
3.1. Il motivo è fondato.
L’orientamento progressivamente consolidatosi in tema di ICI, ma con applicazione valevole anche in tema di Tares, è nel senso di riconoscere il principio affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 11432/2022; conf. Cass. n. 22477/2022), secondo cui in ipotesi di più violazioni per omesso o insufficiente versamento dell’imposta relativa ad uno stesso immobile, conseguenti a identici accertamenti per più annualità successive, si applica il regime della continuazione attenuata di cui all’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 472 del 1997, che consente di irrogare un’unica sanzione con il relativo aumento.
In particolare, per effetto dell’art. 12, comma 5, in ipotesi di violazioni riguardanti periodi di imposta diversi, l’Ufficio in sede di notifica dell’atto di irrogazione deve procedere alla ricostruzione di un’unica serie progressiva, che comprende anche le violazioni precedentemente considerate e contestate, e deve tenere conto, nel determinare l’importo della sanzione, di quello già indicato nell’originario atto notificato.
L’art. 12, comma 5, citato ha introdotto lo stesso principio in campo processuale, stabilendo che, quando siano pendenti più giudizi, non riuniti, anche dinanzi a giudici diversi e sempre con riferimento ad una serie di violazioni suscettibili di
unificazione, il giudice a cui è devoluta la cognizione dell’ultimo degli atti di irrogazione per una delle violazioni coinvolte può procedere, a seguito di ricognizione di tutte le sentenze intervenute nei singoli processi non riuniti, ad una ricostruzione unitaria, ove ne sussistano i presupposti, dell’intera serie di violazioni, secondo le regole fissate dall’art. 12, rideterminando quindi la sanzione unica applicabile (in senso conforme circolare del Ministero delle Finanze n. 138 E del 5 luglio 2000 e circolare n. 180 del 1998). Numero sezionale 1023/2025 Numero di raccolta generale 14816/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
Da tale disposizione discende che in fase processuale, qualora l’Amministrazione non abbia provveduto all’applicazione del cumulo previsto dall’art. 15 citato, è il giudice che deve provvedere stabilendo il quantum dovuto dal contribuente, risultando evidente che l’attribuzione di tale potere-dovere, nelle ipotesi di pendenza di più giudizi, presuppone il suo riconoscimento anche nelle ipotesi in cui i diversi ricorsi siano stati oggetto di riunione, in quanto sarebbe illogico ritenere che il giudice sia chiamato all’opera di quantificazione della sanzione nei termini di cui all’art. 12 citato nel caso di giudizio non riunito afferente ad una violazione suscettibile di riunione e non lo sia nel caso di unico giudizio, risultando in tale ultima ipotesi di più immediata soluzione circa l’individuazione dell’unica sanzione a cui deve essere sottoposto il contribuente (cfr. Cass. n. 2284/2023; Cass. 12433/2023; Cass. 28758/2023, nonché Casas. n. 7710/2024; Cass. 10971/2024).
3.2. La pronuncia del Giudice regionale non è coerente con l’applicazione di tale principio, il che comporta l’accoglimento del motivo.
Con la sesta doglianza il contribuente ha lamentato, sempre con riguardo all’art. 360, primo comma, num. 4.,
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c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. e quindi la nullità della sentenza per l’omessa pronuncia sulla questione di illegittimità costituzionale dell’imposizione fiscale in ragione dell’intervenuta abrogazione della Tarsu. Data pubblicazione 02/06/2025
4.1. Il motivo è inammissibile siccome diretto unicamente a prospettare una questione di legittimità costituzionale di una norma, la quale non può essere configurata come vizio del provvedimento impugnato idoneo a determinarne l’annullamento da parte della Corte.
Resta, infatti, riservata al potere decisorio del giudice la facoltà di sollevare o meno la questione dinanzi alla Corte costituzionale ben potendo la stessa essere sempre proposta, o riproposta, dall’interessato, oltre che prospettata d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, purché essa risulti rilevante, oltre che non manifestamente infondata, in connessione con la decisione di questioni sostanziali o processuali ritualmente dedotte nel processo (cfr. Cass. n. 14666/2020; Cass. n. 8033/2023).
4.2. Non vi è poi ragione di dubitare della legittimità costituzionale del regime TARSU anche per gli anni (2010/2011) oggetto di imposizione.
La ricognizione normativa della fattispecie è stata, infatti, varie volte riepilogata da questa Corte ed è stato chiarito che il regime transitorio previsto dall’art. 49 d.lgs. n. 22 / 1997 (e dall’art. 11 d.P.R. attuativo n. 158/1999), onde evitare ogni soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta del d.lgs. n. 152/2006 (v. art. 264,comma 1, lett. i )), è stato mantenuto in vigore sino all’adozione (col d.l. n. 201/2011, art. 14, conv. in legge n. 214/2011) di un nuovo tributo comunale (sui rifiuti e
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sui servizi, cd. TARES) secondo la cui disciplina (solo) a decorrere dal 1° gennaio 2013 “sono soppressi tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, compresa l’addizionale per l’integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza” (art. 14, comma 46; v. peraltro, altresì, il d.l. n. 102/2013, art. 5, comma 4quater , conv. in legge n. 124/2013). Numero di raccolta generale 14816/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
In particolare, la Corte ha precisato che:
-il regime fiscale della Tarsu, prevista dal d.lgs. n. 507/1993, è stato sostituito dalla TIA 1 (tariffa di igiene ambientale, introdotta dall’art. 49 d.lgs. n. 22/1997 cd. decreto Ronchi), a sua volta sostituita dalla TIA 2 (tariffa integrata ambientale, di cui all’art. 238 d.lgs. n. 152/2006 cd. codice dell’ambiente);
l’art. 238 d.lgs. n. 152/2006, che ha istituito la nuova “tariffa” sui rifiuti TIA 2, destinata a sostituire quella di cui all’art. 22 d.lgs. n. 22/1997, ha poi previsto, al comma 1, che: «La tariffa di cui all’articolo 49 del decreto legislativo è soppressa a decorrere dall’entrata in vigore del presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 11», il quale recita che «Sino alla emanazione del regolamento di cui al comma 6 e fino al compimento degli adempimenti per l’applicazione della tariffa continuano ad applicarsi le discipline regolamentari vigenti»;
– poiché tale regolamento ministeriale non è stato adottato (entro il prorogato termine del 30 giugno 2010), sono rimaste in vigore, ed applicate dai Comuni nei rispettivi territori sia la TARSU che la TIA 1, prevista dall’art. 22 d.lgs. n. 22/1997, alla quale, per effetto dell’art. 1, commi 183 e 184, della legge
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n. 296/2006 (Finanziaria 2007), sono stati estesi i criteri di determinazione della TARSU; Numero di raccolta generale 14816/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
l’art. 5, comma 2quater , d.l. n. 208/2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 13/2009, ha, infine, disposto che, «Ove il regolamento di cui al comma 6 dell’articolo 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, non sia adottato dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (entro il 30 giugno 2010), i Comuni che intendano adottare la tariffa integrata ambientale (TIA) possono farlo ai sensi delle disposizioni legislative e regolamentari vigenti»;
dunque, inutilmente decorso il termine del 30 giugno 2010, è stata prevista la facoltà per gli enti locali di adottare delibere di passaggio dalla TARSU alla TIA 2, con effetto dal 10 gennaio 2011 (per tale excursus , tra le tante: Cass. n. 22223/2016; Cass. n. 11035/2019; Cass. n. 17032/2021);
da ultimo, poi, l’art. 14, comma 7, d.lgs. n. 23/2011, ha disposto che: «Sino alla revisione della disciplina relativa ai prelievi relativi alla gestione dei rifiuti solidi urbani, continuano ad applicarsi i regolamenti comunali adottati in base alla normativa concernente la tassa sui rifiuti solidi urbani e la tariffa di igiene ambientale. Resta ferma la possibilità per i Comuni di adottare la tariffa integrata ambientale»;
da dette disposizioni poteva, allora, conseguire (al più) il divieto di passare dall’una all’altra forma di imposizione – e, con questo, una preclusione alla modifica dei regolamenti di TARSU e TIA 1, – ma non anche l’abrogazione delle discipline istitutive di dette forme di prelievo in difetto della (compiuta) realizzazione della TIA 2 (istituita col d.lgs. n. 152/2006) (cfr Cass. 13337/2024, che richiama Cass., Sez. n. 14670/2023, Cass. n. 21423/2023 e Cass. n. 22694/2023; Cass. n.
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17271/2017; Cass. n. 31286/2018; Cass. n. 8650/2019; Cass. n. 33224/2019; Cass. nn. 34283, 34284, 34285, 34286 e 34287/2019; Cass. n. 7849/2020; Cass. n. 30120/2021; Cass. n. 19110/2022). Numero di raccolta generale 14816/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
Con la settima censura il ricorrente ha denunciato, sempre con riguardo all’art. 360, primo comma, num. 4., c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. e quindi la nullità della sentenza per l’omessa pronuncia sull’eccezione concernente il mancato accesso ai luoghi ed il correlativo motivo di impugnazione concernente la violazione del principio del contraddittorio.
5.1. Effettivamente non vi è stata pronuncia sul motivo di appello, richiamato nel ricorso, che non può reputarsi questione assorbita, stante la natura autonoma ed in tesi pregiudiziale del tema.
Come sopra, all’omissione di pronuncia può porsi ora porsi rimedio, non occorrendo accertamenti in punto di fatto.
5.2. Ed allora, come ricordato anche dalla Corte costituzionale con la pronuncia del 21 marzo 2023, n. 47, la giurisprudenza della Corte di Cassazione, come consolidatasi a seguito della sentenza a sezioni unite civili n. 24823/2015, ha interpretato «il diritto nazionale, allo stato della legislazione, nel senso che non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto», escludendo, pertanto, «che possa attribuirsi valenza generale alla previsione dell’art. 12, comma 7, statuto contribuente, perché questa disposizione, come emerge dal suo tenore
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testuale, va delimitata ai soli accertamenti conseguenziali ad accessi, ispezioni e verifiche presso i luoghi di riferimento del contribuente, senza che possa estendersi anche alle verifiche ‘a tavolino’ ( ex multis, Corte di cassazione, sezione quinta, sentenza 13 dicembre 2022, n. 36502; analogamente, Corte di cassazione, sezione sesta, ordinanza 29 luglio 2022, n. 23729; sezione quinta, ordinanza 6 aprile 2020, n. 7690; sezione sesta, ordinanza 3 luglio 2019, n. 17897)». Data pubblicazione 02/06/2025
Il Giudice delle leggi ha riconosciuto che «la mancata generalizzazione del contraddittorio preventivo con il contribuente, fin qui limitato a specifiche e ben tipizzate fattispecie, risulta ormai distonica rispetto all’evoluzione del sistema tributario, avvenuta sia a livello normativo che giurisprudenziale».
Nondimeno, la Corte Costituzionale ha ritenuto che «dalla pluralità dei moduli procedimentali legislativamente previsti e dal loro ambito applicativo, emerge con evidenza la varietà e la frammentarietà delle norme che disciplinano l’istituto e la difficoltà di assumere una di esse a modello generale, come suggerisce il giudice a quo» e che «il principio enunciato dall’art. 12, comma 7, statuto contribuente la partecipazione procedimentale del contribuente -ancorché esprima una esigenza di carattere costituzionale, non può essere esteso in via generale tramite una sentenza di questa Corte», per cui di fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio endoprocedimentale ha assunto e può assumere in ambito tributario, spetta al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali evidenziati, il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al
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contraddittorio con i contribuenti» (così Corte Cost. n. 47/2023). Numero di raccolta generale 14816/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
5.3. Resta, dunque, confermata l’insussistenza, in tema di Tares, di un obbligo di contradditorio endoprocedimentale, come anche del non necessario previo accesso ai luoghi per le relative rilevazioni, che risultava facoltativamente previsto dall’art. 73, affidando l’attività preaccertativa ivi indicata all’esercizio discrezionale dell’amministrazione, come si desume dall’uso del predicato «può».
Con la nona ed ultima doglianza il contribuente ha eccepito, pure in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4., c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. e quindi la nullità della sentenza per l’omessa pronuncia da parte del giudice di primo grado sulla nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione nella parte relativa agli interessi, non essendo stati indicati il tasso ed il metodo di calcolo.
6.1. Effettivamente non vi è stata pronuncia sul punto, sollecitata nelle controdeduzioni in appello (v. pagina n. 16) ed al riguardo valgono le considerazioni che seguono.
Ricorre a tal proposito il principio di diritto espresso da questa Corte secondo cui in tema di avviso di accertamento o di liquidazione di maggiori imposte dovute dal contribuente, l’obbligo di motivazione relativo alla pretesa per interessi è assolto attraverso l’indicazione dell’importo monetario richiesto, della relativa base normativa – che può anche essere desunta implicitamente dalla specifica individuazione della tipologia e della natura degli accessori reclamati ovvero dal tipo di tributo cui accedono – e della decorrenza dalla quale sono dovuti, senza necessità di indicare i singoli saggi
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periodicamente applicati o le modalità di calcolo (cfr. Cass. 28742/2023, che richiama Cass. Sez. Un. n. 22281/2022). Numero di raccolta generale 14816/2025 Data pubblicazione 02/06/2025
Alla stregua delle osservazioni svolte il ricorso va accolto solo in relazione al quinto motivo di ricorso, mentre gli altri vanno respinti, il che comporta la cassazione della pronuncia impugnata e, occorrendo accertamento in fatto in merito alla determinazione delle sanzioni in applicazione del cumulo giuridico, la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio – in diversa composizione -anche per liquidare le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
la Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio – in diversa composizione -anche per liquidare le spese del presente grado di giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 febbraio 2025 .
IL PRESIDENTE NOME COGNOME