Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14258 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14258 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/05/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
– SEZIONE TRIBUTARIA –
OGGETTO
composta dai seguenti magistrati:
NOME COGNOME
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere – rel.
Ud. 12.02.2025 1/02/2025
TARI
ha deliberato di pronunciare la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10223/2021 del ruolo generale, proposto
DA
COGNOME NOME (codice fiscale CODICE_FISCALE, nato l’8 agosto 1946 a Priverno (LT), ivi residente in INDIRIZZO rappresentato e difeso, in ragione di procura speciale e nomina poste in calce al ricorso, dal l’avv. NOME COGNOMEcodice fiscale CODICE_FISCALE).
– RICORRENTE –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE, con sede legale in Supino (FR), alla INDIRIZZO in persona del legale rappresentante pro tempore, NOME COGNOME rappresentata e difesa, in ragione di procura speciale e nomina
Numero registro generale 10223/2021
poste in calce al controricorso, dal l’avv. NOME COGNOMEcodice fiscale CODICE_FISCALE. Numero sezionale 1026/2025 Numero di raccolta generale 14258/2025 Data pubblicazione 28/05/2025
– CONTRORICORRENTE – RICORRENTE INCIDENTALE – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del LazioSezione distaccata di Latina -n. 2945/18/2020, depositata il 12 ottobre 2020 e non notificata.
UDITA la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME all’udienza camerale del 12 febbraio 2025.
FATTI DI CAUSA
Oggetto di controversia è l’avviso di accertamento indicato in atti con cui RAGIONE_SOCIALE -concessionaria del servizio di riscossione del Comune di Priverno -liquidava la Tari relativa agli anni di imposta 2014/2015 per omessa denuncia e versamento dell’imposta in relazione agli immobili posseduti dal ricorrente.
La Commissione tributaria regionale del Lazio -Sezione distaccata di Latina -rigettava sia l’appello principale avanzato dal contribuente, che quello incidentale interposto dalla concessionaria contro la sentenza n. 1578/5/2017 della Commissione tributaria provinciale di Latina, considerando, per quanto ora occupa in relazione ai motivi di impugnazione, quanto segue.
In ordine all’appello principale, osservava che la circostanza della mancata presa di posizione della concessionaria sui motivi di impugnazione logicamente subordinati non equivaleva ad ammissione delle allegazioni di controparte, né comportava un restringimento del tema decisorio;
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il d.lgs. n.507 del 1993 consente al contribuente di limitarsi a denunciare le sole variazioni intervenute successivamente alla presentazione della dichiarazione originaria, senza dover rinnovare la propria dichiarazione anno per anno, ma l’omessa o incompleta dichiarazione integrava una ulteriore violazione per ogni anno d’imposta, che si perpetua negli anni successivi; Numero di raccolta generale 14258/2025 Data pubblicazione 28/05/2025
-presupposto impositivo dell’imposta in esame è l’occupazione o la conduzione di locali e di aree scoperte adibiti a qualsiasi uso privato e che è onere del contribuente dimostrare la sussistenza delle condizioni per beneficiare di eventuali riduzioni della superficie tassabile o dell’esenzione dal pagamento della tassa;
del tutto generica e, quindi, inammissibile era la censura relativa alla mancata indicazione delle modalità di calcolo degli interessi.
Quanto all’appello incidentale, il Giudice regionale reputava che la violazione della medesima obbligazione tributaria per più anni di imposta comportava, secondo quanto chiarito dalla Corte di legittimità, l’applicazione della sanzione anche per gli anni successivi al primo, con applicazione però dell’istituto della continuazione di cui all’art. 12, comma 5, d.lgs. n. 472/1997, per cui, essendo le infrazioni di pari gravità, la sanzione doveva essere commisurata all’importo stabilito per la violazione più antica aumentata di un quarto per tutte le altre, sicchè corretta si presentava sul punto la decisione del primo Giudice.
NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione avverso la suindicata sentenza, con atto notificato in data 9 aprile 2021, formulando cinque motivi di impugnazione,
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notificando poi controricorso al ricorso incidentale proposto dalla società concessionaria. Data pubblicazione 28/05/2025
RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso notificato in data 19 maggio 2021, con cui articolava anche un motivo di ricorso incidentale, depositando, da ultimo (in data 30 gennaio 2025), memoria ex art. 380bis. 1. c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il contribuente ha eccepito, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 115 c.p.c., 23, comma 3, d.lgs. n. 546/1992 e, segnatamente, la nullità della sentenza per non aver applicato il principio di non contestazione.
L’istante ha, nello specifico, dedotto che la concessionaria non aveva preso posizione su nessuno dei motivi di impugnazione formulati dal contribuente nel ricorso originario, censurando la decisione impugnata per aver ritenuto valide le difese spiegate dalla concessionaria con la memoria di cui all’art. 32 d.lgs. n. 5456/1992, avente solo funzione illustrativa dei contenuti difensivi già articolati in sede di controdeduzione.
1.1. La censura non ha pregio.
Va, infatti, rammentato che, come più volte chiarito da questa Corte, nel processo tributario, caratterizzato dall’impugnazione di un atto affermativo della pretesa fiscale, il principio di non contestazione non implica a carico del creditore, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato (preteso) mediante l’atto impositivo, atto preesistente al processo nei quali i fatti costitutivi sono già stati allegati in
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modo difforme da quanto dal contribuente ritenuto in sede giudiziale (così, tra le tante, Cass. n. 16984/2023). Numero di raccolta generale 14258/2025 Data pubblicazione 28/05/2025
Difatti, il principio di non contestazione, applicabile anche al processo tributario, trova qui, comunque, un limite strutturale insito nel fatto che l’avviso di accertamento (o di rettifica) non è l’atto introduttivo del processo, quanto piuttosto l’oggetto (immediato) dello stesso.
La cognizione del giudice è, dunque, limitata dai profili che siano stati contestati col ricorso ed anche laddove, in base all’art. 23 d.lgs. n. 546/1992, l’attenzione sia rivolta alle difese dell’amministrazione resistente e si intenda sottolineare che la parte resistente deve all’atto della costituzione in giudizio esporre le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente», indicando «le prove di cui intende valersi» e proponendo «altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio», non per questo può trascurarsi di considerare che l’amministrazione fonda la pretesa su un atto preesistente al processo, nel quale i fatti costitutivi sono stati già allegati in modo ovviamente difforme da quanto ritenuto dal contribuente.
Ne consegue che l’onere di completezza della linea di difesa, che in concreto si desume dal suddetto art. 23, per quanto interpretato in coerenza col principio di non contestazione oggi desumibile dall’art. 115 c.p.c., non può essere considerato come base per affermare esistente, in capo all’amministrazione, un onere aggiuntivo di allegazione rispetto a quanto già dedotto nell’atto impositivo (cfr., tra le tante, Cass. n. 2196/2015; Cass. n. 12287/2018; Cass. n. 19806/2019; Cass. n. 22015/2020; Cass. n. 17698/2021; Cass. n. 36028/2022; Cass. n. 37844/2022, Cass. n.
9887/2023; Cass. n. 5429/2023; cui adde , ex multis , Cass. n. 22616/2024 e Cass. n. 3191/2025). Numero sezionale 1026/2025 Numero di raccolta generale 14258/2025 Data pubblicazione 28/05/2025
2. Con la seconda censura il ricorrente ha lamentato, con riferimento all’art. 360, primo comma. num. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 70 e 71 d.lgs. n. 507/1993, 34 d.l. n. 201/2011, nonché dell’art. 1, comma 685, della legge n. 147/2013, nella parte in cui la Commissione regionale aveva rilevato l’omessa dichiarazione, laddove la denuncia era stata presentata sin dall’anno 1984 per gli immobili soggetti a tassazione, ad eccezione delle aree non sottoposte ad imposta e cioè il terreno di pertinenza del fabbricato denunciato e tassato e delle aree scoperte adibite a deposito di attrezzature e scarti di ferro in attesa di rivendita, come dimostrato anche dal corredo fotografico prodotto.
Con la conseguenza che, trattandosi al più di denuncia infedele, operava il termine di decadenza triennale di cui all’art. 71 d.lgs. 507/1993, che era scaduto il 31 dicembre 1987.
2.1. Anche tali doglianze non possono essere accolte.
La stessa difesa del ricorrente riconosce che la dichiarazione presentata nell’anno 1984, « allorquando ha iniziato la sua attività artigianale» (v. pagina n. 3 del ricorso), non includeva l’area ritenuta pertinenziale al fabbricato.
Ciò premesso, va ricordato che l’art. 1, comma 641, della legge 147/13 (Tari) dispone che «Il presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla TARI le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, e le aree comuni
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condominiali di cui all’articolo 1117 del codice civile che non siano detenute o occupate in via esclusiva». Numero di raccolta generale 14258/2025 Data pubblicazione 28/05/2025
2.1.1. Sul punto l’orientamento di questa Corte ha espresso i seguenti principi, nel segno di una sostanziale e complessiva continuità normativa, di natura tributaria, tra Tarsu, Tia, Tares, Tari, aventi tutte struttura autoritativa e non sinallagmatica, con conseguente estensione dei principi informatori dell’imposizione e generale doverosità della prestazione, caratterizzata da una forte impronta pubblicistica (così Cass. n. 19631/2024, che richiama Cass. n. 21490/22; Cass. n. 8088- 8089/20).
Si è così affermato che:
ai sensi dell’art. 62, comma 3, d.lgs. n. 507/1993, la TARSU va applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, il che significa che tra le aree scoperte vanno tenute distinte quelle accessorie o pertinenze di locali già tassati, che sono, invece, escluse dalla tassa;
-l’iniziale disciplina delle superfici scoperte diverse da quelle accessorie alle civili abitazioni ha subìto una serie di successive modifiche in forza delle quali si è innanzitutto distinto tra aree operative, tassabili per intero, ed aree pertinenziali od accessorie a locali tassabili, escluse dal tributo a decorrere dall’anno 1997 (inizialmente a norma dell’art. 2, comma 4bis , d.l. 25 novembre 1996, n. 599, conv. dalla l. 24 gennaio 1997, n. 5);
sulla base di tale quadro normativo va quindi affermato che ai fini della tassabilità delle aree scoperte rileva
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esclusivamente la natura operativa delle stesse, intesa quale idoneità a produrre rifiuti ulteriori rispetto al locale e all’area principale già tassata e di cui, tenuto conto della destinazione funzionale, non rappresentano una mera estensione; Numero di raccolta generale 14258/2025 Data pubblicazione 28/05/2025
la tassazione è esclusa solo per le aree scoperte che, ai sensi del codice civile, presentano la condizione della pertinenza soggettiva e oggettiva rispetto al locale o all’area principale e purché non siano operative; l’operatività consiste nell’idoneità a produrre rifiuti ulteriori rispetto al locale e all’area principale che già versa il tributo e non rappresenta dunque un’ulteriore estensione dell’attività svolta;
per tutti i prelievi sui rifiuti opera, quindi, la presunzione di produttività che costituisce una condizione oggettiva fondata sulla mera disponibilità di un locale o area scoperta operativa idonea all’uso, ed ai fini dell’assoggettabilità a tributo rileva la mera idoneità di locali ed aree alla produzione di rifiuti, piuttosto che l’effettivo utilizzo del servizio;
rileva, non da ultimo, che la TARSU è dovuta, a norma dell’art. 62 d.lgs. n. 507/1993, per l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte (a qualsiasi uso adibite, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie ad abitazioni) e dei locali e delle aree che, per la loro natura o il particolare uso cui sono stabilmente destinate, o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità, non possono produrre rifiuti: tali esclusioni non sono, tuttavia, automatiche, perché ponendo la norma una presunzione ” iuris tantum” di produttività, superabile solo dalla prova contraria del detentore dell’area, dispone altresì che le circostanze escludenti la produttività e la tassabilità siano dedotte “nella denuncia originaria” o in quella “di variazione”, e siano debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi
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direttamente rilevabili o ad idonea documentazione (cfr. Cass. n. 13733/2023, che richiama Cass. n. 31460/2019; cui adde , tra le tante, Cass. n. 14718/23, Cass. n. 16265/2024 e Cass. 19631/2024); Data pubblicazione 28/05/2025
– sia pur con varianti lessicali che, nella disposizione di cui all’art. 14, comma 4, cit. (in tema di Tares), hanno trovato una più chiara formula espressiva -ov’è, dunque, evidente, che le «aree scoperte operative» ad ogni modo legittimano l’esercizio del potere impositivo, seppur aree in rapporto di connessione funzionale con «locali tassabili» – la fattispecie di esclusione in discorso è stata ricondotta dalla Corte, in precedenti arresti relativi al règime della Tarsu, – e con specifico riferimento alle aree destinate a parcheggio – alla disposizione di cui all’art. 62, comma 2, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, essendosi rilevato che detta disposizione, nell’escludere dall’assoggettamento al tributo i locali e le aree che non possono produrre rifiuti «per il particolare uso cui sono stabilmente destinati», chiaramente esige che sia provata dal contribuente non solo la stabile destinazione dell’area ad un determinato uso, ma anche la circostanza che tale uso non comporta produzione di rifiuti (v. Cass. n. 29538/2024, che richiama Cass. n. 18500/2017 e Cass. n. 5047/2015);
– in tema di Tares, si è rimarcato che la tassazione è esclusa solo per le aree scoperte che, ai sensi del codice civile, presentano la condizione della pertinenza soggettiva e oggettiva rispetto al locale o all’area principale e purché non siano operative; laddove l’operatività consiste nell’idoneità a produrre rifiuti ulteriori rispetto al locale e all’area principale che già versa il tributo e non rappresenta dunque un’ulteriore
estensione dell’attività svolta (v. Cass. n. 29538/2024 cit., che richiama Cass. n. 14718/2023); Numero sezionale 1026/2025 Numero di raccolta generale 14258/2025 Data pubblicazione 28/05/2025
il nesso di pertinenzialità non esclude, pertanto, ex se l’imponibilità laddove detto nesso involga un’area da considerarsi operativa siccome luogo di esercizio di un’attività funzionale allo svolgimento dell’attività (principale) cui si raccorda lo stesso nesso pertinenziale (v. Cass. n. 29538/2024 cit.);
il presupposto impositivo rimane, dunque, correlato alla occupazione o alla conduzione di locali ed aree scoperte, adibiti a qualsiasi uso privato, così che, pur valendo il principio secondo cui è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, è onere del contribuente dimostrare la sussistenza delle condizioni per beneficiare della riduzione della superficie tassabile ovvero dell’esenzione, trattandosi di eccezione rispetto alla regola generale del pagamento dell’imposta sui rifiuti urbani nelle zone del territorio comunale (cfr., tra le tante, Cass. n. 30505/2024, che richiama Cass., 15 maggio 2019, n. 12979; Cass., 22 settembre 2017, n. 22130).
2.1.2. Sulla scorta di tali principi va allora osservato che, per stessa ammissione del contribuente, la dichiarazione presentata nell’anno 1984 non includeva l’area scoperta, la quale, alla luce di quanto dedotto dal medesimo ricorrente, non poteva essere considerata pertinenziale ad abitazione civile, avendo l’istante rappresentato di aver presentato la denuncia « allorquando ha iniziato la sua attività artigianale» (v. pagina n. 3 del ricorso, in termini ripresi a pagina n. 23 del ricorso, in cui si ribadisce l’attività artigianale svolta, senza distinzione, sui beni in questione), con ciò quindi accreditando l’ordine di idee che nel fabbricato venisse svolta
attività artigianale, come implicitamente ritenuto dal Giudice regionale che non ha ritenuto, nemmeno in parte, la natura pertinenziale delle aree scoperte. Numero sezionale 1026/2025 Numero di raccolta generale 14258/2025 Data pubblicazione 28/05/2025
In tali termini, deve riconoscersi che, in mancanza di una specifica allegazione e dimostrazione della destinazione del fabbricato (o di parte di esso) a civile abitazione, non poteva fondarsi alcuna relazione pertinenziale della area accessoria (o di parte di essa asservita alla eventuale civile abitazione), per cui correttamente la Commissione non ha considerato l’ipotesi esonerativa, la quale -per quanto sopra detto – postulava l’allegazione prima e la prova poi qui mancanti – della sua relazione con un abitazione civile oppure la non operatività dell’area scoperta, prospettiva questa in realtà smentita dalla destinazione di tali aree scoperte (o parti di esse) « a deposito di attrezzatura in attesa di riparazione e/o scarti di ferro » (v. pagina n. 17 del ricorso).
Per tale via ed in conclusione, l’omissione dell’obbligo dichiarativo ha precluso ogni prospettiva di esonero.
2.2. In relazione alla seconda parte del motivo, poi, va evidenziato che erra l’istante nel collegare il termine decadenziale all’anno (1984) della dichiarazione, reputandolo scaduto al 31 dicembre 1987, così come non fondata è l’eccezione di prescrizione del diritto.
Ricorre, infatti, anche in tal caso, il principio più volte espresso da questa Corte secondo cui:
in tema di tassa sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, il d.lgs. n. 507/1993, consente al contribuente di limitarsi a denunciare le sole variazioni intervenute successivamente alla presentazione della dichiarazione originaria, senza dover rinnovare la propria dichiarazione anno per anno;
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-ad ogni anno solare corrisponde una obbligazione tributaria, per cui, qualora la denunzia sia stata incompleta, infedele, oppure omessa, l’obbligo di formularla si rinnova di anno in anno, con la conseguenza che l’inottemperanza a tale obbligo, sanzionata dall’art. 76 del citato decreto, comporta l’applicazione della sanzione anche per gli anni successivi al primo; Data pubblicazione 28/05/2025
la protratta inottemperanza all’obbligo di presentare la denuncia non provoca la decadenza, per decorso del tempo, del potere del Comune di accertare le superfici non dichiarate che continuino ad essere occupate o detenute, ovvero gli altri elementi costituenti il presupposto della tassa;
-in materia di TARSU, quindi l’omessa dichiarazione integra una ulteriore violazione per ogni anno che si perpetua e la sanzionabilità non resta limitata alla prima annualità (cfr. su tali principi; Cass. n. 25063/2019, Cass. n. 26334/2017, Cass. n. 18133/2009 e Cass. 18122/2009).
La valutazione del Giudice regionale si presenta, pertanto, corretta sul piano giuridico.
Con la terza doglianza il contribuente ha eccepito, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in ragione dell’omessa pronuncia sulla dedotta illegittimità dell’avviso per il mancato accesso ai luoghi ed il correlativo motivo di impugnazione concernente la violazione del principio del contraddittorio, oltre che per l’immotivata indicazione delle superfici tassabili, prive di una loro esatta individuazione.
3.1. Effettivamente non vi è stata pronuncia sul motivo di appello, richiamato nel ricorso, pur avendo il Giudice regionale esposto che l’appello del contribuente riguardava anche
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l’illegittimità dell’accertamento per il mancato accesso sui luoghi di causa. Numero di raccolta generale 14258/2025 Data pubblicazione 28/05/2025
Epperò, all’omissione di pronuncia può ora porsi rimedio, non occorrendo accertamenti in punto di fatto (cfr. sul principio, tra le tante, Cass. n. 2294/2024), considerando che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte l’obbligo generale di contraddittorio preventivo esiste unicamente per i tributi armonizzati, mentre per i tributi non armonizzati occorre una specifica previsione normativa (tra le tante: Cass., Sez. Un., n. 24823/2015; Cass., nn. 11283/2016, 11284/2016, 11285/2016 e 11286/2016; Cass., nn. 6757/2017 e 6758/2017; Cass., nn. 21616/2020 e 21618/2020; Cass. n. 27382/2020; Cass., n. 40482/2021; Cass., nn. 41041/2021, 41106/2021, 41110/2021, 41116/2021 e 41119/2021; n. 26447/2021; Cass. n. 11841/2022, in motiv.; Cass., Sez. 5^, 10 gennaio 2022, n. 366).
Come ricordato anche dalla Corte costituzionale con la pronuncia del 21 marzo 2023, n. 47, la giurisprudenza della Corte di cassazione, come consolidatasi a seguito della sentenza a sezioni unite civili n. 24823/2015, ha interpretato «il diritto nazionale, allo stato della legislazione, nel senso che non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto», escludendo, pertanto, «che possa attribuirsi valenza generale alla previsione dell’art. 12, comma 7, statuto contribuente, perché questa disposizione, come emerge dal suo tenore testuale, va delimitata ai soli accertamenti conseguenziali ad accessi, ispezioni e verifiche
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presso i luoghi di riferimento del contribuente, senza che possa estendersi anche alle verifiche ‘a tavolino’ ( ex multis, Corte di cassazione, sezione quinta, sentenza 13 dicembre 2022, n. 36502; analogamente, Corte di cassazione, sezione sesta, ordinanza 29 luglio 2022, n. 23729; sezione quinta, ordinanza 6 aprile 2020, n. 7690; sezione sesta, ordinanza 3 luglio 2019, n. 17897)». Data pubblicazione 28/05/2025
Il Giudice delle leggi ha riconosciuto che «la mancata generalizzazione del contraddittorio preventivo con il contribuente, fin qui limitato a specifiche e ben tipizzate fattispecie, risulta ormai distonica rispetto all’evoluzione del sistema tributario, avvenuta sia a livello normativo che giurisprudenziale».
Nondimeno, il Giudice delle leggi ha ritenuto che «dalla pluralità dei moduli procedimentali legislativamente previsti e dal loro ambito applicativo, emerge con evidenza la varietà e la frammentarietà delle norme che disciplinano l’istituto e la difficoltà di assumere una di esse a modello generale, come suggerisce il giudice a quo» e che «il principio enunciato dall’art. 12, comma 7, statuto contribuente la partecipazione procedimentale del contribuente -ancorché esprima una esigenza di carattere costituzionale, non può essere esteso in via generale tramite una sentenza di questa Corte», per cui di fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio endoprocedimentale ha assunto e può assumere in ambito tributario, spetta al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali evidenziati, il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al
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contraddittorio con i contribuenti» (così Corte Cost. n. 47/2023). Numero di raccolta generale 14258/2025 Data pubblicazione 28/05/2025
Resta, dunque, confermata l’insussistenza, in tema di TARI, di un obbligo di contradditorio endoprocedimentale, come anche del non necessario previo accesso ai luoghi per le relative rilevazioni, già facoltativamente previsto dall’art. 73 d.lgs. 507/1993, mentre l’art. 1, comma 646, della legge n. 147/2013 ha stabilito che «Per l’applicazione della TARI si considerano le superfici dichiarate o accertate ai fini dei precedenti prelievi sui rifiuti. Relativamente all’attività di accertamento, il comune, per le unità immobiliari iscritte o iscrivibili nel catasto edilizio urbano, può considerare come superficie assoggettabile alla TARI quella pari all’80 per cento della superficie catastale determinata secondo i criteri stabiliti dal regolamento di cui al marzo 1998, n. 138».
Con il quarto motivo l’istante ha eccepito, con riguardo al medesimo parametro di cui all’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c., 360, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. per l’omessa pronuncia sull’eccepita illegittimità dell’avviso a seguito dell’errata classificazione della superfice accertata, non avendo considerato le aree esenti da imposta perché destinate a deposito o a spazi di manovra di automezzi o non utilizzate e quindi non suscettive di produrre rifiuti.
4.1. Valgono sul punto le valutazioni svolte in relazione al secondo motivo.
L’accertata violazione dell’obbligo dichiarativo ha, difatti, escluso, a monte, ogni ipotesi di sottrazione dalla tassazione delle aree ritenute esenti.
Con la quinta doglianza il contribuente ha eccepito, pure in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4., c.p.c., la
violazione dell’art. 53 d.lgs. n. 546/1992 per aver dichiarato inammissibile perché generico il motivo di appello concernente la nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione nella parte relativa al metodo di calcolo della superfice tassabile, agli interessi, non essendo stati indicati il tasso ed il metodo di calcolo, oltre che in relazione alla tariffa applicata ed i coefficienti. Numero sezionale 1026/2025 Numero di raccolta generale 14258/2025 Data pubblicazione 28/05/2025
L’istante ha obiettato sul punto che il motivo si presentava specifico, avendo rappresentato il difetto di motivazione dell’avviso in quanto privo delle planimetrie, nonchè delle indicazioni del metodo di calcolo della superficie imponibile, del saggio degli interessi e del relativo computo, oltre che dei coefficienti tariffari applicati.
5.1. Anche in tal caso non vi è stata pronuncia sul motivo di appello, richiamato nel ricorso e, come sopra, all’omissione di pronuncia può ora porsi rimedio, non occorrendo accertamenti in punto di fatto e prendendo atto che la contestazione mossa dal contribuente è stata rivolta all’omessa allegazione delle planimetrie, alla mancata indicazione del metodo di calcolo delle superfici, del tasso di interessi applicato e del metodo di calcolo, nonché dei coefficienti tariffari applicati (v. pagina n. 24 del ricorso)
Alla luce di tali ragioni di impugnazione riceve allora applicazione il principio di diritto espresso da questa Corte secondo cui in tema di avviso di accertamento o di liquidazione di maggiori imposte dovute dal contribuente, l’obbligo di motivazione relativo alla pretesa per interessi è assolto attraverso l’indicazione dell’importo monetario richiesto, della relativa base normativa – che può anche essere desunta implicitamente dalla specifica individuazione della tipologia e della natura degli accessori reclamati ovvero dal tipo di tributo
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cui accedono – e della decorrenza dalla quale sono dovuti, senza necessità di indicare i singoli saggi periodicamente applicati o le modalità di calcolo (cfr. Cass. 28742/2023, che richiama Cass. Sez. Un. n. 22281/2022). Data pubblicazione 28/05/2025
Non solo. Va, al riguardo, altresì richiamato il principio più volte espresso da questa Corte secondo il quale va esclusa ogni indebita sovrapposizione del profilo che involge la motivazione dell’atto impositivo (e, dunque, un requisito di validità dell’atto) con quello che (diversamente) attiene al riscontro probatorio dei fatti posti a fondamento della pretesa impositiva ( causa petendi dell’atto), essendosi in più occasioni rimarcato che l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento deve ritenersi adempiuto mediante l’enunciazione del criterio sulla cui base la pretesa impositiva viene esercitata, con le specificazioni necessarie per consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa e per delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, nella quale l’Amministrazione ha l’onere di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto, ed il contribuente ha la possibilità di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri (v., ex plurimis , Cass. 16096/2024; Cass., 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., 30 gennaio 2019, n. 2555; Cass., 24 gennaio 2018, n. 1694; Cass., 8 novembre 2017, n. 26431; Cass., 5 luglio 2017, n. 16620; Cass., 14 dicembre 2016, n. 25709; Cass., 17 giugno 2016, n. 12658; Cass., 10 novembre 2010, n. 22841; Cass., 11 giugno 2010, n. 14094; Cass., 15 novembre 2004, n. 21571).
Con specifico riferimento alla TARSU, in termini valevoli per quanto sopra detto anche per la TARI, la Corte ha statuito che
la verifica dell’adeguatezza della motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica va condotta in base alla disciplina dettata, per l’accertamento dei tributi di competenza degli enti locali, dall’art. 1, comma 162, della legge n. 296 del 2006, sicché, ove la rettifica venga effettuata sulla base della variazione della superficie tassabile o della tariffa o della categoria, deve ritenersi sufficiente l’indicazione nell’atto della maggiore superficie accertata o della diversa tariffa o categoria ritenute applicabili, in quanto tali elementi, integrati con gli atti generali (quali i regolamenti o altre delibere comunali), sono idonei a rendere comprensibili i presupposti della pretesa tributaria, senza necessità di indicare le fonti probatorie e le indagini effettuate per rideterminare la superficie tassabile, potendo ciò avvenire nell’eventuale successiva fase contenziosa (v. Cass. n. 16096/2024 e Cass. n. 20620/2019). Numero sezionale 1026/2025 Numero di raccolta generale 14258/2025 Data pubblicazione 28/05/2025
Deriva dai suindicati principi l’infondatezza del motivo di censura relativo alla motivazione dell’avviso.
Con il ricorso incidentale la concessionaria ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 13 d.lgs. n. 471/1997 nella parte in cui il Giudice regionale ha disposto l’applicazione del cumulo giuridico per l’ipotesi di omesso versamento, tenuto conto dell’orientamento del giudice di legittimità che, invece, esclude l’applicazione della continuazione, non vertendosi in ipotesi di violazioni che incidono sulla base imponibile o sulla liquidazione, essendo stata l’imposta già liquidata.
6.1. Il motivo va respinto.
L’orientamento progressivamente consolidatosi in tema di ICI, ma con applicazione valevole anche in tema di TARI, è nel senso di riconoscere il principio affermato da questa Corte (cfr.
Cass. n. 11432/2022; conf. Cass. n. 22477/2022), secondo cui in ipotesi di più violazioni per omesso o insufficiente versamento dell’imposta relativa ad uno stesso immobile, conseguenti a identici accertamenti per più annualità successive, si applica il regime della continuazione attenuata di cui all’art. 12, comma 5, del d.lgs. n. 472 del 1997, che consente di irrogare un’unica sanzione con il relativo aumento. Numero sezionale 1026/2025 Numero di raccolta generale 14258/2025 Data pubblicazione 28/05/2025
In particolare, per effetto dell’art. 12, comma 5, in ipotesi di violazioni riguardanti periodi di imposta diversi, l’Ufficio in sede di notifica dell’atto di irrogazione deve procedere alla ricostruzione di un’unica serie progressiva, che comprende anche le violazioni precedentemente considerate e contestate, e deve tenere conto, nel determinare l’importo della sanzione, di quello già indicato nell’originario atto notificato.
L’art. 12, comma 5, citato ha introdotto lo stesso principio in campo processuale, stabilendo che, quando siano pendenti più giudizi, non riuniti, anche dinanzi a giudici diversi e sempre con riferimento ad una serie di violazioni suscettibili di unificazione, il giudice a cui è devoluta la cognizione dell’ultimo degli atti di irrogazione per una delle violazioni coinvolte può procedere, a seguito di ricognizione di tutte le sentenze intervenute nei singoli processi non riuniti, ad una ricostruzione unitaria, ove ne sussistano i presupposti, dell’intera serie di violazioni, secondo le regole fissate dall’art. 12, rideterminando quindi la sanzione unica applicabile (in senso conforme circolare del Ministero delle Finanze n. 138 E del 5 luglio 2000 e circolare n. 180 del 1998).
Da tale disposizione discende che in fase processuale, qualora l’Amministrazione non abbia provveduto all’applicazione del cumulo previsto dall’art. 15 citato, è il giudice che deve provvedere stabilendo il quantum dovuto dal
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contribuente, risultando evidente che l’attribuzione di tale potere-dovere, nelle ipotesi di pendenza di più giudizi, presuppone il suo riconoscimento anche nelle ipotesi in cui i diversi ricorsi siano stati oggetto di riunione, in quanto sarebbe illogico ritenere che il giudice sia chiamato all’opera di quantificazione della sanzione nei termini di cui all’art. 12 citato nel caso di giudizio non riunito afferente ad una violazione suscettibile di riunione e non lo sia nel caso di unico giudizio, risultando in tale ultima ipotesi di più immediata soluzione circa l’individuazione dell’unica sanzione a cui deve essere sottoposto il contribuente (cfr. Cass. n. 2284/2023; Cass. 12433/2023; Cass. 28758/2023, nonché Casas. n. 7710/2024; Cass. 10971/2024). Data pubblicazione 28/05/2025
La pronuncia del Giudice regionale è coerente con l’applicazione di tale principio, il che comporta il rigetto del ricorso incidentale.
Alla stregua delle osservazioni svolte sia il ricorso principale, che quello incidentale vanno rigettati.
Le spese del presente grado di giudizio vanno compensate tra le parti, in ragione della reciproca soccombenza.
Va, infine, dato atto che sussistono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte sia del ricorrente principale che di quello incidentale, di una somma pari a quella eventualmente loro dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso principale ed incidentale proposti.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale.
Numero registro generale 10223/2021
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Data pubblicazione 28/05/2025
Compensa tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Dà atto che sussistono i presupposti di cui all’art 13, comma 1quater , d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte sia del ricorrente principale che di quello incidentale, di una somma pari a quella eventualmente loro dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso principale ed incidentale proposti.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 febbraio 2025 .
IL PRESIDENTE NOME COGNOME