Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15871 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15871 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6217/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA), che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimato- sul controricorso incidentale proposto da
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO
INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
ricorrente incidentale- avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. del FRIULI-VENEZIA GIULIA n. 370/2015 depositata il 28/09/2015. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31/05/2024
dalla Consigliera NOME COGNOME.
Considerato che:
RAGIONE_SOCIALE, con provvedimento notificato in data 20/12/2012, ha irrogato alla RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi RAGIONE_SOCIALE), con riferimento al periodo d’imposta 2012, sanzioni per complessivi Euro 60.805,20 ex art. 7, comma 4bis , d.lgs. 18/12/1997, n. 471, in ragione dell’omessa trasmissione della lettera di intenti , secondo quanto disposto dall’art. 1, comma 1, lett. c), d.l. 29/12/1983, n. 746, convertito con modificazioni dalla legge 27/03/1984, n. 17.
Sul ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE si è pronunciata la Commissione Tributaria Provinciale di Udine, accogliendo il ricorso proposto dalla contribuente, con sentenza n. 266/02/2014 del 06/05/2014.
Tale sentenza è stata confermata dalla Commissione Tributaria Regionale per il Friuli Venezia Giulia, con sentenza n. 370/08/15 depositata in data 28/09/2015 , che ha rigettato l’appello proposto dal l’RAGIONE_SOCIALE.
La parte soccombente ha, quindi, proposto ricorso in cassazione, con un motivo.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso, illustrato da apposita memoria, con la quale è stato proposto ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi, seguiti dalla riproposizione di sei motivi assorbiti.
Con la memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ. RAGIONE_SOCIALE ha reiterato la richiesta di applicazione del cd. favor rei , l’applicazione della sanzione prevista dall’art. 7, comma 4 -bis d.lgs. n. 471 del 1997 come modificato dall’art. 15 d.lgs. 24/09/2015, n. 158.
Ritenuto che:
Con l’unico motivo di ricorso l’RAGIONE_SOCIALE ha contestato la violazione e la falsa applicazione dell’art. 7, comma 4 -bis, d.lgs. n. 471 del 1997, dell’art. 10 legge n. 212 del 2000 e dell’art. 6, comma 5 -bis, d.lgs. n. 472 del 1997 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
1.1. La ricorrente contesta la parte in cui la CTR ha affermato che: « la mancata comunicazione in via telematica RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni di intento, nonostante la loro regolare esistenza e annotazione, non può essere sanzionata alla stregua della loro totale assenza e RAGIONE_SOCIALE altre ipotesi di evasione. Il principio comunitario di proporzionalità e quello costituzionale di eguaglianza sostanziale, impediscono che il contribuente venga sottoposto alla irrogazione di sanzioni eccessivamente gravose rispetto alla violazione commessa. Non può non ritenersi oggettivamente, logicamente, secondo l’id quod plerumque accidit, del tutto sproporzionata una sanzione pecuniaria (come quella in esame) per la violazione di semplici adempimenti formali che non hanno comportato né danni, né pericolo di danni, per l’erario.»
1.2. Ad avviso della parte ricorrente la decisione contrasta con l’art. 7, comma 4 -bis, d.lgs. n. 471 del 1997, nella versione vigente ratione temporis (anteriore alla riforma ex art. 20 d.lgs. n. 175 del 2014), in base al quale è punito con la sanzione prevista dal terzo comma della medesima norma (pari al duecento per cento dell’i mposta) il cedente o prestatore che omette l’invio, nei termini previsti, della comunicazione di cui all’art. 1, comma 1, lett. c), ultimo periodo, d.l. n. 746 del 1983. Secondo tale norma la sanzione
consegue all’omesso invio della lettera di intenti, senza che rilevi l’eventuale irregolarità della cessione o prestazione e la conseguente evasione dell’imposta, in quanto quest’ultima ipotesi è espressamente disciplinata nell’art. 7, comma 3, d.lgs. n. 471 del 1997.
1.3. L’omissione in cui è incorsa la società contribuente integrava una violazione non meramente formale, in quanto incideva sulle attività di controllo effettuate dagli uffici dell’amministrazione finanziaria. Difatti, la ratio era quella di esercitare forme di controllo, sulla posizione degli emittenti della dichiarazione di intenti, con riferimento al profilo della capienza del plafond e per le caratteristiche generali. La dichiarazione di intenti, infatti, assolve all’esigenz a di impedire l ‘eccessiva en tità di imposta a credito in capo al soggetto che, per effetto della propria qualifica di esportatore abituale, risulti fisiologicamente nell’impossibilità di compensare l’imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dai propri fornitori. A tal fine, pertanto, entro i limiti di ammontare RAGIONE_SOCIALE esportazioni realizzate nell’anno solare precedente ( plafond fisso) o nei dodici mesi precedenti ( plafond mobile), l’esportatore abituale è legittimato a richiedere ai propri fornitori l’emissione di fattura in regime di non imponibilità, mediante dichiarazioni di intenti.
1.4. La rilevanza della comunicazione omessa, quale ausilio per il controllo RAGIONE_SOCIALE esportazioni e deterrente verso i tentativi di frode nei confronti dell’erario , trova conferma nell’art. 1, comma 382, legge n. 311 del 2004, dove è previsto che l’RAGIONE_SOCIALE metta a disposizione degli altri organi preposti al controllo in materia di IVA -e in particolare della Guardia RAGIONE_SOCIALE Finanza e dell’RAGIONE_SOCIALE -i dati contenuti nelle comunicazioni ricevute.
1.5. La ricorrente evidenzia, inoltre , come l’art. 10, comma 3, legge n. 212 del 2000 preveda la non punibilità solamente dei comportamenti che si traducano in una « mera violazione formale senza alcun debito d’imposta».
1.6 . La previsione contenuta nell’art. 6, comma 5 -bis, d.lgs. n. 472 del 1997 stabilisce, poi, la non punibilità RAGIONE_SOCIALE violazioni che, oltre a non incidere sulla determinazione della base imponibile e dell’imposta, nonché sul versamento del tributo, non pregi udicano l’attività di controllo dell’amministrazione finanziaria. Si tratta di requisiti applicabili alternativamente, con la conseguenza che la violazione formale può essere integrata anche nell’ipotesi in cui manchi solo uno di essi.
1.7. Ai fini dell ‘applicazione della norma sanzionatoria, secondo la parte ricorrente, è irrilevante la verifica postuma in ordine al fatto che l’omessa comunicazione non abbia inciso, in concreto, sull’attività di controllo.
1.8 . In merito alla sproporzione tra l’entità del tributo e la sanzione la ricorrente evidenzia la particolare attenzione posta dal legislatore agli scambi commerciali tra gli Stati membri della Comunità europea e come l’incremento RAGIONE_SOCIALE attività fraudolente perpetRAGIONE_SOCIALE, in materia di IVA, negli scambi intracomunitari e basate sull’interposizione fittizia abbia impegnato sia la Commissione europea che le competenti autorità nazionali. Di conseguenza la valutazione in punto di adeguatezza, necessità e proporzionalità deve essere operata in relazione all’obiettivo considerato.
1.9 . La lettura dell’art. 7 d.lgs. n. 471 del 1997 evidenzia che: a) la sanzione prevista nel terzo comma (dal cento al duecento per cento dell’imposta) è richiamata per le violazioni previste tanto nel comma 4 che nel comma 4-bis, ma solo nel primo caso è prevista un’attenuante che è, invece, assente nella seconda ipotesi, cioè quella che viene in rilievo nel presente giudizio; b) per tutte le ipotesi in cui il legislatore ha rilevato RAGIONE_SOCIALE attenuanti alle violazioni commesse ha previsto esimenti o riduzioni (v. commi 1, 2 e 5), mentre per i commi 3 e 4 bis non ha previsto alcunché; c) nel sistema sanzionatorio è già presente una previsione punitiva per chi omette le comunicazioni (art. 11 d.lgs. n. 471 del 1997).
1.10 . È errata l’affermazione contenuta nella sentenza della CTR con la quale è stata contestata l’illegittimità degli atti impugnati per il principio comunitario di proporzionalità, in relazione alla Direttiva 388/77/CE, che non detta disposizioni sanzionatorie in materia di IVA, lasciando tale compito agli Stati membri.
RAGIONE_SOCIALE con il controricorso ha contestato l’ammissibilità del ricorso in cassazione, che ignora la doppia pronuncia in fatto ad opera di entrambi i giudici di merito in ordine alla circostanza che l’omessa comunicazione telematica non abbia arrecato alcun pregiudizio all’azione accertatrice , con la conseguente violazione dell’art. 348 -ter , quarto comma, cod. proc. civ.
2.1. La controricorrente ha, poi, rilevato come anche nella sentenza della CTP di Udine fosse stato evidenziato che il mancato inoltro telematico della dichiarazione di intenti non aveva comportato alcun pregiudizio all’attività di controllo dell’amministrazione finanziaria, considerato che: « l’Ufficio, ancor prima dell’invio del questionario, era a perfetta conoscenza del contenuto della dichiarazione, della data di ricevimento della controparte e di tutte le operazioni effettuate nel periodo dal 2/2/2007 al 31/12/2007.» Ha poi rilevato come la conferma della sentenza della CTP -con il rigetto dell’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE fosse motivata, da un lato, dalla (ritenuta) inapplicabilità dell’art. 7, comma 4-bis, d.lgs. n. 471 del 1997 per violazione del principio comunitario di proporzionalità e di quello costituzionale di uguaglianza sostanziale e, dall’altro lato, dall’applicazione RAGIONE_SOCIALE esimenti di cui agli artt. 10, comma 3, legge n. 212 del 2000 e 5, comma 5bis , d.lgs. n. 472 del 1997 (per la mancanza di pregiudizio all’azione accertatrice (oltre che per mancanza di evasione dell’imposta).
2.3. RAGIONE_SOCIALE ha poi eccepito come il primo motivo di ricorso non scalfisca la seconda ratio decidendi della pronuncia impugnata,
incentrata sull’applicazione RAGIONE_SOCIALE esimenti di cui agli artt. 10, comma 3, legge n. 212 del 2000 e 6, comma 5-bis, d.lgs. n. 472 del 1997.
2.4. Ha contestato l’inapplicabilità al caso di specie della sanzione prevista nell’art. 7, comma 4 -bis , d.lgs. n. 471 del 1997 per violazione del principio comunitario di proporzionalità.
2.5. Ha infine indicato che la normativa sanzionatoria è stata modificata in senso favorevole al contribuente, evidenziando che la sanzione dovrebbe essere ridotta, in applicazione del principio del favor rei , ad Euro 250. Tale richiesta è stata reiterata anche nella memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ.
Insieme al controricorso RAGIONE_SOCIALE ha proposto altresì ricorso incidentale condizionato, affidandosi a due motivi e ha riproposto i sei motivi assorbiti.
3.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale viene contestato l’omesso esame dell’eccezione di inammissibilità dell’appello, poiché firmato da persona priva del potere di rappresentare l’amministrazione finanziaria: l’atto d’appello è sottoscritto dal capo dell’ufficio legale, con semplice dizione relativa alla « firma su delega del Direttore Provinciale (NOME COGNOME)» . Ad avviso della ricorrente in via incidentale si tratta di atto sottoscritto da persona diversa da chi ha la rappresentanza dell’RAGIONE_SOCIALE. Nell’ordine di servizio n. 38/2011 prodotto dall’U fficio in primo grado sub doc. 1 si legge che il Direttore Provinciale, indicate le attività delegate ai funzionari, precisa di riservarsi in via esclusiva i poteri di firma degli atti e documenti di seguito indicati … tra cui « Atti d’appello, anche incidentale e relative memorie».
La parte ricorrente contesta, quindi, la nullità della decisione derivante dall’omissione, richiamando l’art. 112 cod. proc. civ. e l’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso incidentale è stata contestata in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. – la violazione e falsa applicazione dell’art. 42, primo comma,
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 56, primo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dell’art. 68, d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300 e degli artt. 5 e 6, legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché degli artt. 60 e 71, d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300 e degli artt. 19, 27, 28 e 52 d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, in quanto l’atto di recupero e gli atti di causa sono stati sottoscritti da un soggetto diverso dal capo dell’Ufficio. È stata contestata altresì l’impossibilità di verificare che i sottoscrittori fossero muniti di apposita, preventiva, espressa e motivata delega e la necessità di verificare che gli stessi fossero dotati di qualifica dirigenziale.
La parte, contrariamente a quanto sostenuto dalla CTP, ritiene insufficiente il deposito dell’atto dispositivo RAGIONE_SOCIALE deleghe di firma, ritenendo che queste ultime dovessero essere nominative, a differenza di quella prodotta agli atti dall’RAGIONE_SOCIALE, dove sono indicati solamente due funzionari. Rileva, poi, che l’atto di delega presenta cancellature di numerose righe e che non può attribuire il potere di sottoscrizione degli atti impositivi, in ragione della sua genericità. Contesta, poi, che la delega avrebbe dovuto essere prodotta preventivamente per consentire il controllo prima della fase contenziosa e che non sia provato che il delegato fosse munito dei necessari requisiti e, in particolare, che avesse superato l’esame che gli consentisse l’assunzione di incarichi direttivi (C. c ost. n. 37 del 2015). Infine, gli atti prodotti in giudizio sono illegittimi, in quanto sottoscritti mediante l’apposizione della firma meccanografica.
La ricorrente ha riproposto anche sei motivi dedotti in appello ed ivi rimasti assorbiti e, in particolare: la nullità dell’atto impugnato per carenza di motivazione ex art. 16 d.lgs. n. 472 del 1997 e la violazione dell’art. 16, comma 7, d.lgs. n. 472 del 1997 , l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 4 -bis, d.lgs. n. 471 del 1997 in relazione al contrasto con gli artt. 3, 25, 27, 35, 38, 41 e 53 Cost., la violazione dell’art. 5 d.lgs. n. 472 del 1997 , la mancata
applicazione dell’art. 11, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 471 del 1997 e la violazione dell’art. 7, comma 4, d.lgs. n. 472 del 1997, considerato che la manifesta sproporzione tra l’entità del tributo cui si riferisce la violazione avrebbe dovuto portare alla riduzione alla metà del minimo (Euro 30.402,60), con possibile definizione a un terzo (Euro 10.134,20).
Il motivo di ricorso principale proposto dall’RAGIONE_SOCIALE è fondato e va accolto nei termini di cui in motivazione.
5.1. In via preliminare occorre dare atto dell’infondatezza RAGIONE_SOCIALE eccezioni di inammissibilità sollevate da RAGIONE_SOCIALE nel controricorso, inerenti alla violazione della cd. doppia conforme e alla considerazione che il motivo di ricorso proposto dall’RAGIONE_SOCIALE non intacca la seconda ratio decidendi incentrata sul riscontro RAGIONE_SOCIALE esimenti di cui agli artt. 10, comma 3, legge n. 212 del 2000 e 6, comma 5bis , d.lgs. n. 472 del 1997. Sotto il primo profilo occorre evidenziare come la ricorrente in via principale non abbia, formalmente, proposto, quale motivo di ricorso, un vizio riconducibile all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. , quinto ,
proc. civ. , alla luce di quanto previsto nell’art. 348 -ter comma, cod. proc. civ., nella versione che regola, ratione temporis il presente procedimento.
5.2. Con riferimento alla seconda eccezione proposta da RAGIONE_SOCIALE la parte ricorrente in via principale ha articolato un unico motivo di ricorso, con il quale contesta, in relazione all’art. 360, terzo comma, num. 3, cod. proc. civ. la violazione dell’art. 7, comma 4 -bis, d.lgs. n. 471 del 1997, art. 10 legge n. 212 del 200 e art. 6, comma 5-bis, d.lgs. n. 472 del 1997.
In merito all’art. 10, comma 3, legge n. 212 del 2000 la ricorrente in via principale ha evidenziato come l’omissione rilevante nel presente procedimento non costituisca una violazione meramente formale (v. pag. 6-7 del ricorso).
Anche in merito alla violazione de ll’art. 6, comma 5 -bis , d.lgs. n. 471 del 1997 la parte ricorrente ha parimenti preso posizione (v. pag. 67 del ricorso in via principale), evidenziando che: « rispetto all’applicazione della norma sanzionatoria in questione, pertanto, proprio in quanto finalizzata a prevenire fattispecie illecite, appare irrilevante l’eventuale verifica ‘postuma’ erroneamente compiuta e valorizzata dalla CTR -in ordine al fat to che l’omessa comunicazione in concreto abbia o meno recato ostacolo all’attività di controllo dell’Amministrazione fi nanziaria, trattandosi -volendo utilizzare una terminologia penalistica -di illecito di pericolo ‘astratto’ o ‘presunto’ e non di pericolo concreto.»
5.3. Venendo all’esame del motivo di ricorso principale l ‘art. 1, comma 381, legge 31 dicembre 2004, n. 311 stabilisce che: « All’articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17, è aggiunto il seguente periodo: «Nella prima ipotesi, il cedente o prestatore deve comunicare all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE entRAGIONE_SOCIALE, esclusivamente per via telematica entro il giorno 16 del mese successivo, i dati contenuti nella dichiarazione ricevuta .»
L’art. 7, comma 4 -bis, d.lgs. n. 471 del 1997 (introdotto dall’art. 1, comma 383, legge 30/12/2004, n. 311, prima RAGIONE_SOCIALE modifiche apportate dall’art. 15, lettera g), d.lgs. 24/09/2015, n. 158, sulle quali v. infra ) prevede che: « È punito con la sanzione prevista nel comma 3 il cedente o il prestatore che omette di inviare, nei termini previsti, la comunicazione di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), ultimo periodo, del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17, o la invia con dati incompleti o inesatti. »
Questa Corte, in merito alla violazione contestata nel caso di specie, ha precisato che l’omessa comunicazione della dichiarazione di intenti da parte del fornitore non costituisce una violazione meramente formale, affermando che: « Va rilevato, invece, che
l’obbligo di comunicazione della dichiarazione di intenti si correla all’esigenza di consentire un efficace controllo sull’applicazione della disciplina in tema di Iva e, in particolare, del regime di riscossione dell’imposta relativa ad operazioni di cess ione intraunionale o all’esportazione e, per tale ragione, la sua inosservanza non può dare luogo ad una violazione meramente formale, in quanto tale non punibile (cfr., in merito a fattispecie analoga di omessa annotazione e registrazione della dichiarazione di intento, Cass. n. 22178 del 27/09/2013; Cass. n. 12847 del 22/06/2015; Cass. n. 19738 del 12/07/2021).
Non viene, dunque, in rilievo una mera irregolarità dichiarativa attinente alle modalità di comunicazione del documento, suscettibile di dare luogo ad una violazione meramente formale, bensì una inosservanza degli obblighi di dichiarazione e verifica in capo al fornitore, idonei ad ostacolare l’attività di controllo. » (Cass. 28/07/2022, n. 23695).
Sempre la pronuncia appena richiamata rileva che: « Orbene, la CTR non si è attenuta a tali principi poiché anche ai fini della distinzione tra violazioni formali e meramente formali ha articolato un giudizio in concreto ed ex post anziché valutare l’idoneità ex ante della condotta tenuta. »
L’art. 7, comma 4 -bis, d.lgs. 471 del 1997 sanziona, quindi, un comportamento astrattamente idoneo a porre in difficoltà l’amministrazione nella propria attività di controllo, secondo un giudizio da compiere ex ante . Nella specie la CTR ha, invece, tenuto conto della conoscenza della dichiarazione di intenti risultante da un questionario che risulta essere stato fatto dall’amministrazione nel 2012, cioè cinque anni dopo il rilascio della dichiarazione di intenti e l’omessa comunicazione di quest’ultima all’ RAGIONE_SOCIALE da parte di NOME.
Il giudice di seconde cure si è, quindi, attenuto a un mero controllo ex post , in contrasto con la ratio della previsione violata e dei principi affermati nella giurisprudenza di questa Corte.
5.4. Occorre, tuttavia, evidenziare che nel controricorso e nella memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ. RAGIONE_SOCIALE abbia invocato l’applicazione della norma sanzionatoria successiva più favorevole.
Tale possibilità può essere avanzata anche nella presente sede, considerato che secondo quanto rilevato da questa Corte: « In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, la sopravvenuta revisione del sistema sanzionatorio tributario, introdotta dal d.lgs. n. 158 del 2015 e vigente dal 1° gennaio 2016 a norma dell’art. 32 del medesimo d.lgs., è applicabile retroattivamente in forza del principio del “favor rei”, a condizione che il processo sia ancora in corso e che perciò non sia ancora definitiva la parte sanzionatoria del provvedimento impugnato.» (Cass., 30/03/2021, n. 8716). Nel caso esaminato dalla pronuncia appena richiamata la parte aveva invocato l’applicazione del cd. favor rei nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ., in una fattispecie definita con sentenza della commissione tributaria regionale pubblicata nel 2013, cioè in data anteriore all’entrata in vigore del
d.lgs. n. 158 del 2015.
Anche nel caso di specie la sentenza della CTR è stata depositata in data 28/09/2015, cioè prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 158 del 2015, con la conseguenza che il giudice del rinvio, attenendosi al principio secondo cui « la modifica dell’art. 7, comma 4 bis, d.lgs. n. 471 del 1997 ad opera dell’art. 20 d.lgs. n. 175 del 2014, poi ulteriormente novellato con riguardo al regime sanzionatorio dall’art. 15 d.lgs. n. 158 del 2015, non ha comportato una abolitio attesa la persistente illiceità del fatto e, quanto alla condotta del cedente/prestatore, la continuità strutturale tra l’originaria previsione e le modifiche sopravvenute che hanno riguardato un mutamento di ordine solo quantitativo degli adempimenti richiesti;
tuttavia, mentre va esclusa l’applicazione retroattiva della disciplina introdotta dalla prima novella in forza dell’esplicita norma transitoria contenuta nell’ultimo comma dell’art. 20 d.lgs. n. 175 del 2014, è applicabile, per il principio del favor rei e in assenza di norme derogatorie dei principi generali di cui all’art. 3 d.lgs. n. 472 del 1997, il regime sanzionatorio più lieve introdotto con l’art. 15 d.lgs. n. 158 del 2015 » (Cass., 28/07/2022, n. 23695), provvederà all’applicazione in concreto dell e disposizioni più favorevoli per il contribuente.
La fondatezza del ricorso principale conduce all’esame dei motivi di ricorso incidentale condizionato.
6.1. Il primo motivo di ricorso incidentale è in parte infondato e in parte inammissibile.
È infondato in relazione alla pretesa inammissibilità conseguente al fatto che l’appello è stato sottoscritto dal capo dell’ufficio legale. Difatti, questa Corte ha affermato che: « In tema di contenzioso tributario, gli artt. 10 e 11, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 riconoscono la qualità di parte processuale e conferiscono la capacità di stare in giudizio all’ufficio locale dell’agenzia RAGIONE_SOCIALE entRAGIONE_SOCIALE nei cui confronti è proposto il ricorso, organicamente rappresentato dal direttore o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi con ciò stesso delegata in via generale, sicché è validamente apposta la sottoscrizione dell’appello dell’ufficio finanziario da parte del preposto al reparto competente, anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione del potere d’impugnare la sentenza. » (Cass., 21/03/2014, n. 6691). Considerato che nel caso di specie non è contestata l’appartenenza all’ufficio competente del capo dell’area legale e che quest’ultimo trae la propria rappresentanza direttamente dagli artt. 10 e 11 d.lgs. n. 546 del 1992 -cioè da norme avanti rango di legge -ne discende
che l’eventuale riserva di firma da parte del direttore dell’ufficio sugli atti d’appello non comport a il venir meno del potere di rappresentanza del capo dell’area legale.
È inammissibile nella parte in cui deduce l’omessa pronuncia su un fatto processuale (Cass. 28/03/2014, n. 7406).
6.2. È in parte infondato e in parte inammissibile anche il secondo motivo di ricorso incidentale, incentrato sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 42, primo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 56, primo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dell’art. 68, d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300 e degli artt. 5 e 6, legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché degli artt. 60 e 71, d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300 e degli artt. 19, 27, 28 e 52 d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, in quanto l’atto di recupero e gli atti di causa sono stati sottoscritti da un soggetto diverso dal capo dell’Ufficio.
È stata contestata altresì l’impossibilità di verificare che i sottoscrittori fossero muniti di apposita, preventiva, espressa e motivata delega e la necessità di verificare che gli stessi fossero dotati di qualifica dirigenziale.
Il motivo è inammissibile, per difetto di specificità, laddove la parte ricorrente non precisa quali fossero gli altri atti di causa sottoscritti in assenza di delega.
Il motivo è, inoltre, infondato nella misura in cui viene contestata l’assenza di delega nominativa in ordine all’atto di irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni ai sensi dell’art. 16, comma 7, d.lgs. n. 472 del 1997.
La ricorrente dà atto che nel caso di specie è stata depositata dall’ufficio la delega di firma, di cui viene, tuttavia, contestata l’assenza di espressa indicazione nominativa del firmatario dell’avviso di accertamento. Tale contestazione si rivela, tuttavia, infondata, considerato non solo che il procedimento di irrogazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni è autonomamente disciplinato dagli artt. 16-18 d.lgs. n. 472 del 1997 (arg. ex Cass., 20/09/2020, n. 20864), ma anche che questa Corte ha precisato da tempo che pure nelle ipotesi
disciplinate nell’ art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973 e art. 56 d.P.R. n. 633 del 1973 la delega (di firma) può essere contenuta in un ordine di servizio interno, senza che sia necessaria l’indicazione nominativa del funzionario delegato, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale (« La delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni – poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa. », Cass., 19/04/2019, n. 11013; v. anche Cass. 26/02/2020 n. 5177).
7. Con riferimento ai motivi assorbiti indicati a pag. 28 ss. del controricorso occorre evidenziare, secondo quanto già precisato da questa Corte, che: « Nel giudizio di legittimità introdotto a seguito di ricorso per cassazione non possono trovare ingresso, e perciò non sono esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non si sia pronunciato per averle ritenute assorbite in virtù dell’accoglimento di un’eccezione pregiudiziale, con la conseguenza che, in dipendenza della cassazione della sentenza impugnata per l’accoglimento del motivo attinente alla questione assorbente, l’esame RAGIONE_SOCIALE ulteriori questioni oggetto di censura va rimesso al giudice di rinvio, salva l’eventuale ricorribilità per cassazione avverso la successiva sentenza che abbia affrontato le suddette questioni precedentemente ritenute supeRAGIONE_SOCIALE. » (Cass., 16/06/2022, n. 19442).
Considerata sia la fondatezza del motivo di ricorso principale e l’infondatezza del ricorso incidentale, sia l’ammissibilità dell’istanza di applicazione del favor rei ad opera della controricorrente (e quindi dell’art. 15 d.lgs. n. 158 del 2015) , la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Friuli-Venezia Giulia, affinché decida, in diversa composizione, anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il ricorso principale nei termini di cui in motivazione e rigetta quello incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo di ricorso principale accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Friuli-Venezia Giulia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 31/05/2024.