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Occupazione di fatto: la Cassazione sul canone COSAP

Una società della grande distribuzione è stata condannata a pagare il canone COSAP per l’installazione di segnaletica stradale non autorizzata. La società ha impugnato la decisione, sostenendo di essere una semplice locataria e non l’occupante diretto. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che l’obbligo di pagamento sorge in capo a chi realizza un’occupazione di fatto, a prescindere da contratti di locazione. La Corte ha inoltre sanzionato diversi vizi procedurali del ricorso.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Occupazione di fatto e COSAP: chi paga per la segnaletica non autorizzata?

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha chiarito importanti principi in materia di occupazione di fatto del suolo pubblico e del conseguente obbligo di pagamento del canone COSAP. Il caso riguardava una nota società della grande distribuzione che contestava la richiesta di pagamento del canone per l’installazione di segnaletica stradale non autorizzata. La decisione finale sottolinea come la responsabilità del pagamento ricada su chi materialmente occupa lo spazio, indipendentemente da eventuali contratti di locazione, e ribadisce il rigore formale richiesto per i ricorsi in Cassazione.

I Fatti di Causa: Dalla Segnaletica Stradale al Contenzioso

Una società di riscossione tributi, per conto di un Comune, emetteva diversi avvisi di accertamento nei confronti di una società della grande distribuzione per il mancato pagamento del COSAP relativo agli anni dal 2013 al 2017. L’oggetto del contendere era l’installazione di segnaletica stradale non autorizzata su aree pubbliche.

In primo grado, il Tribunale accoglieva le ragioni della società, annullando gli avvisi. Le motivazioni erano duplici: per il periodo fino al 2015, si riteneva che il Comune non avesse ancora approvato un regolamento COSAP valido; per gli anni successivi, si sosteneva che la società fosse una semplice locataria dei suoli e non la proprietaria, quindi non il soggetto tenuto al pagamento.

La Decisione della Corte d’Appello

La società di riscossione impugnava la sentenza di primo grado. La Corte d’Appello ribaltava la decisione, accogliendo parzialmente l’appello e condannando la società della grande distribuzione al pagamento di circa 12.500 euro.
I giudici d’appello hanno ritenuto che un regolamento comunale sul COSAP esistesse già dal 1998, ponendosi in continuità con quello successivo. Inoltre, hanno considerato irrilevante il contratto di locazione, affermando che, in assenza di un formale atto di concessione, la società doveva essere considerata un’occupante di mero fatto del suolo e, come tale, tenuta al pagamento del canone.

Il Ricorso in Cassazione e l’occupazione di fatto

La società della grande distribuzione ricorreva in Cassazione, affidandosi a quattro motivi principali, tra cui la presunta violazione delle norme procedurali sull’ammissione di nuovi documenti in appello e un’errata interpretazione del suo ruolo, che la qualificava come responsabile di una occupazione di fatto.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, fornendo importanti chiarimenti su ciascun motivo sollevato.

1. Specificità del ricorso: Il primo motivo è stato respinto per mancanza di specificità. La ricorrente non aveva adeguatamente localizzato e riprodotto gli atti processuali su cui basava le proprie censure, violando un requisito formale essenziale del ricorso in Cassazione.
2. Natura dell’errore: Gli altri motivi, sebbene formalmente presentati come violazioni di legge, miravano in realtà a ottenere un riesame del merito della vicenda e della valutazione delle prove. La Cassazione ha ribadito che il suo ruolo non è quello di un terzo grado di giudizio sui fatti, ma di controllo sulla corretta applicazione del diritto.
3. La doppia ratio decidendi: Un punto cruciale della decisione riguarda l’inammissibilità del motivo legato al contratto di locazione. La Corte d’Appello aveva basato la sua decisione su una duplice argomentazione (ratio decidendi): il contratto era inefficace per il periodo contestato e, in ogni caso, si riferiva ad aree diverse. La ricorrente, nel suo ricorso, non aveva contestato specificamente entrambe le ragioni. Secondo un principio consolidato, quando una decisione si fonda su più ragioni autonome, è necessario impugnarle tutte, altrimenti il ricorso è inammissibile.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

L’ordinanza in esame offre due insegnamenti fondamentali. Il primo, di natura sostanziale, è che ai fini del pagamento del COSAP, ciò che rileva è l’occupazione di fatto del suolo pubblico. Chiunque materialmente utilizzi uno spazio pubblico senza titolo è tenuto al pagamento del canone, e non può esimersi invocando un contratto di locazione che lo lega a un terzo.

Il secondo insegnamento è di carattere processuale e conferma il rigore con cui la Corte di Cassazione valuta i requisiti di ammissibilità dei ricorsi. La precisione e la completezza nell’esposizione dei motivi, così come la necessità di contestare tutte le autonome ragioni che sorreggono la decisione impugnata, sono elementi imprescindibili per poter accedere a un esame di merito.

Chi è tenuto a pagare il canone COSAP in caso di occupazione di suolo pubblico senza autorizzazione?
Secondo la Corte, l’obbligo di pagamento ricade sul soggetto che realizza materialmente l’occupazione, definito come ‘occupante di mero fatto’, a prescindere dalla titolarità di un diritto reale sul bene o dall’esistenza di un atto formale di concessione.

Un contratto di locazione può escludere la responsabilità per il pagamento del COSAP?
No. La Corte ha ritenuto irrilevante il contratto di locazione prodotto dalla società, in quanto l’obbligazione di pagamento del canone sorge direttamente dalla relazione di fatto con lo spazio pubblico occupato, non da rapporti contrattuali tra privati.

Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso può essere dichiarato inammissibile per diverse ragioni procedurali, come evidenziato in questa ordinanza. Tra le cause principali vi sono la mancanza di specificità dei motivi (quando non si indicano chiaramente le violazioni e gli atti su cui si fondano) e la mancata impugnazione di tutte le autonome ‘rationes decidendi’ (ragioni giuridiche) su cui si basa la sentenza del giudice precedente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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