Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 28874 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 28874 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13078/2023 R.G. proposto
da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che l a rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che la rappresenta e difende
Oggetto: Canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche (COSAP) Presupposti -Soggetto obbligato – Controversie relative all’ammontare del canone in ragione dell’estensione della porzione di suolo pubblico occupata – Accertamento
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
Ud. 18/09/2025 CC
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO MILANO n. 3907/2022 depositata il 12/12/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 18/09/2025 dal Consigliere AVV_NOTAIO. NOME AVV_NOTAIONOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 3907/2022, pubblicata in data 12 dicembre 2022, la Corte d’appello di Milano, nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE ha parzialmente accolto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Como n. 876/2020 pubblicata il 4 novembre 2020, e, per l’effetto, ha condannato RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE della somma di € 12.489,42 a titolo di COSAP per gli anni dal 2013 al 2017.
RAGIONE_SOCIALE aveva originariamente adito il Tribunale di Como chiedendo l’annullamento dell’avviso di accertamento n. 1575 del 19 settembre 2018 – pari a complessivi euro 5.974,00 – emesso a titolo di COSAP, per l’installazione di segnaletica stradale non autorizzata, nel periodo compreso fra il giorno 1° gennaio 2013 e il 31 dicembre 2013.
A questa prima opposizione aveva fatto seguito un’altra, relativa ad altri avvisi di accertamento per gli anni 2014, 2015, 2016 e 2017.
Costituitasi RAGIONE_SOCIALE in entrambi i giudizi e disposta la riunione dei medesimi, il Tribunale di Como aveva annullato tutti gli avvisi di accertamento delle violazioni, osservando che:
-quanto agli avvisi di accertamento relativi a violazioni anteriori all’anno 2015, gli stessi erano stati illegittimamente emessi,
non essendo stato ancora approvato il Regolamento Cosap, dal Comune di Como, ai sensi dell’art. 63 D. Lgs. n. 446/1997;
-quanto agli avvisi di accertamento relativi al periodo dall’anno 2015, l’attrice era solo locataria e non anche proprietaria dei suoli.
3. La Corte d’appello, ha, in primo luogo, accolto il motivo di appello con il quale RAGIONE_SOCIALE evidenziava che il Comune di Como aveva adottato un precedente regolamento nel 1998, rispetto al quale il Regolamento del 2025 si poneva in continuità.
La Corte ha disatteso l’eccezione di violazione dell’art. 345 c.p.c. sollevata dall’odierna ricorrente , osservando che il profilo dell ‘assenza di adozione di un Regolamento prima dell’anno 2015 era stato rilevato d’ufficio dal Tribunale unicamente nella sentenza e quindi senza provocare il contraddittorio delle parti, giustificandosi in tal modo la tardiva produzione del Regolamento del 1998.
La Corte d’appello, poi, ha ritenuto fondato anche il motivo di appello col quale veniva dedotta l’irrilevanza del contratto di locazione valorizzato invece dal giudice di prime cure.
La Corte territoriale, infatti, ha osservato:
-in primo luogo, che, in assenza di un formale atto concessorio proveniente dal Comune di Como, RAGIONE_SOCIALE doveva ritenersi occupante di mero fatto del suolo, come tale tenuta al pagamento del COSAP;
-in secondo luogo, che il contratto di locazione prodotto dall’odierna ricorrente non solo aveva efficacia solo dal 1° gennaio 2015 -e quindi non poteva essere riferito all’occupazione per gli anni precedenti ma anche risultava riferito ad aree e strade diverse rispetto a quelle per le quali era stato chiesto il canone.
La Corte d’appello ha invece ritenuto di dove procedere ad una rideterminazione dell’ammontare del canone, accogliendo in parte le argomentazioni dell’odierna ricorrente sia in relazione alle tariffe applicate -rilevando che non risultavano prodotte le tariffe stabilite dal Regolamento del 1998 -sia in relazione alla reiterazione della pretesa di versamento del canone per il medesimo periodo di riferimento.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Milano ricorre RAGIONE_SOCIALE.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE 5. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
-La controricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., la violazione dell’art. 345 c.p.c.
Si censura la decisione di prime cure nella parte in cui la stessa ha ritenuto ammissibile la produzione in appello del Regolamento comunale approvato nel 1998, argomentandosi che:
-la questione non è stata rilevata dal giudice di prime cure solo in sede di decisione ma era stata già sollevata dalla stessa ricorrente in una propria precedente memoria, senza che l’odierna controricorrente sollevasse contestazioni ex art. 115 c.p.c.;
-in ogni caso il documento prodotto ‘non reca alcun indizio della sua riconducibilità a fonti ufficiali, perdendo l’autorevolezza che, invece, il Giudice di secondo grado gli ha riconosciuto’ ;
-la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che vi sia continuità tra il Regolamento del 2015 e quello prodotto in
appello dall’odierna controricorrente ed anzi, ‘in assenza di altre indicazioni, bisogna ritenere che l’approvazione del testo nel 2015 sia intervenuta proprio per colmare il vuoto normativo esistente, in mancanza di prova dei presunti rinnovi e integrazioni asseritamente intervenuti negli anni’ .
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c.
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte territoriale sarebbe incorsa in un ‘fraintendimento’ , confondendo il profilo della disciplina del COSAP con la disciplina della pubblicità, in tal modo giungendo all’erronea conclusione per cui la ricorrente era occupante di fatto, laddove la ricorrente si sarebbe unicamente avvalsa di manufatti collocati da un terzo.
Si censura ulteriormente la decisione impugnata, in quanto la stessa non avrebbe considerato che l’odierna controricorrente non aveva mai contestato l’esistenza di un contratto di locazione.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la ‘Contraddittorietà della motivazione’ .
Si censura la decisione impugnata, in quanto la stessa, pur richiamando i principi enunciati da questa Corte in materia, avrebbe contraddittoriamente affermato che soggetto passivo del canone era l’odierna ricorrente e non il soggetto effettivo occupante d i fatto.
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c.
Si impugna la decisione della Corte d’appello ambrosiana nella parte in cui la stessa ha proceduto ad una rideterminazione dell’ammontare del canone, accogliendo in parte le argomentazioni dell’odierna ricorrente.
Secondo quest’ultima, ‘tali aspetti sono stati superficialmente trattati ed evasi’ , in quanto, in primo luogo, la Corte d’appello non avrebbe valutato né le indicazioni documentali in ordine alle dimensioni dei cartelli pubblicitari né le censure in ordine alla errata utilizzazione del criterio dei metri quadrati anziché del criterio dei metri lineari e, in secondo luogo, pur avendo correttamente rilevato che non risultavano prodotte le tariffe stabilite dal Regolamento del 1998, avrebbe espunto gli importi richiesti per gli anni 2013 e 2014 solo in relazione a due dei cinque avvisi pubblicitari..
Il ricorso è, nel complesso dei motivi in cui si viene ad articolare, inammissibile.
2.1. Quanto al primo motivo -che deve essere evidentemente ricondotto nell’alveo dell’art. 360, n. 4) e non dell’art. 360, n. 5), essendo dedotto un error in procedendo -la sua inammissibilità discende dal mancato rispetto, ad opera della ricorrente, del canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., non essendo né riprodotta né localizzata la memoria nella quale la medesima ricorrente asserisce di aver dedotto la illegittimità degli avvisi di accertamento in quanto emessi in relazione a periodi nei quali risultava assente il Regolamento Comunale Cosap.
Ancora più indeterminate, poi, risultano le deduzioni in ordine alle difformità che caratterizzerebbero i due Regolamenti -quello del 1998 e quello del 2015 -non avendo la ricorrente in alcun modo suffragato tali deduzioni con l’indicazione degli elementi testuali che varrebbero ad evidenziare la divaricazione tra le due discipline.
Rilevata l’inammissibilità del mezzo, vi è poi da osservare ulteriormente che la disciplina regolamentare comunale -a maggior ragione in quanto integrativa della disciplina generale della COSAP -costituisce atto normativo secondario (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n.
7715 del 09/03/2022; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2563 del 02/02/2009), di cui il giudice del merito ben avrebbe potuto e dovuto prendere cognizione -come in effetti ha fatto – senza risultare in ciò vincolato da alcuna preclusione processuale.
2.2. In relazione al secondo motivo, si deve rammentare che, affinché si venga ad integrare la violazione dell’art. 112 c.p.c., occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 12652 del 25/06/2020; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15255 del 04/06/2019; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 18491 del 12/07/2018; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21257 del 08/10/2014), ipotesi che si verifica quando il giudice non decida su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte, ovvero pronunci solo nei confronti di alcune parti, e non nel caso in cui il giudice d’appello proceda ad un inadeguato esame delle argomentazioni delle parti, atteso che tale ultima ipotesi integra un vizio di natura diversa, relativo all’attività svolta dal giudice per supportare l’adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio (Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 5730 del 03/03/2020; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017; Cass. Sez. L, Sentenza n. 1360 del 26/01/2016).
È invece proprio un inadeguato vaglio delle deduzioni difensive ciò che viene ad essere dedotto -genericamente e sotto la singolare etichetta di ‘fraintendimento’ (pag. 8) -con un mezzo di gravame che, nella sostanza, mira a sindacare inammissibilmente la ricostruzione e valutazione in fatto operata dalla Corte di merito, incorrendo poi in un’ulteriore violazione dell’art. 366 c.p.c., nel momento in cui invoca una condotta di non contestazione dell’odierna controricorrente, laddove il passaggio difensivo a tal fine riprodotto risulta del tutto
anodino ed assolutamente inadeguato a supportare una ricostruzione nei termini dedotti di applicabilità dell’art. 115 c.p.c.
2.3. Il terzo motivo risulta, invece, inammissibile nel momento in cui non esamina e non impugna una seconda ratio della decisione della Corte ambrosiana.
Quest’ultima, infatti, alla pag. 10, paragrafo II.C), muove un duplice rilievo in fatto – a riscontro de lle difese dell’odierna ricorrente imperniate sul suo essere mera locataria – osservando che il contratto di locazione prodotto dalla ricorrente medesima, da un lato, aveva efficacia solo dal 1° gennaio 2015 -e quindi non poteva interessare il periodo anteriore a tale data -e, dall’altro lato, risultava riferito ad aree e strade diverse rispetto a quelle per le quali era stato chiesta la corresponsione del canone.
Da ciò discende pianamente l’applicazione del principio per cui, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi , neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16314 del 18/06/2019).
A quanto sin qui osservato, del resto, si deve aggiungere un’ulteriore considerazione: nel momento in cui la Corte territoriale ha concluso -sulla base del giudizio in fatto poc’anzi ricostruito che l’odierna ricorrente non era conduttrice ma diretta occupante di fatto non essendovi né una concessione né un contratto di locazione -del tutto correttamente ha operato il richiamo all’orientamento espresso da questa Corte (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8628 del 07/05/2020),
risultando tale ultimo principio del tutto pertinente rispetto al caso in esame, contrariamente a quanto argomentato dalla ricorrente.
2.4. In ordine all’ultimo motivo, si osserva che il già operato richiamo ai principi che regolano la formulazione in sede di legittimità del vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c. vale di per sé a palesare la inammissibilità di un motivo che, dietro a formale deduzione della violazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, nel concreto mira a sollecitare un inammissibile sindacato sul merito della decisione e sulla valutazione del materiale probatorio da parte del giudice di merito, peraltro venendosi a basare su una serie di deduzioni in mero fatto il cui esame risulta precluso nella presente sede.
Nessuna ‘illogicità’ (pag. 12) o ‘superficialità’ (pag. 13) appare, del resto, ravvisabile nella decisione impugnata, la quale ha operato una parziale rideterminazione del canone, avendo rilevato -in relazione solo ad alcuni degli episodi – una inspiegabile discrasia nei coefficienti applicati da un anno all’altro , operando un giudizio in fatto che, evidentemente, ha escluso similare discrasia negli altri casi.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause
originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 3.400,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il giorno 18 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME