Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 543 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 543 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7865/2016 R.G. proposto da COGNOME elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. COGNOME COGNOME dal quale è rappresentata e difesa
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa «ope legis»
-resistente- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DEL LAZIO n. 4984/1/15 depositata il 23 settembre 2015
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 18 dicembre 2024 dal Consigliere COGNOME NOME
FATTI DI CAUSA
In data 29 novembre 2010 la Direzione Provinciale I di Roma dell’Agenzia delle Entrate notificava a NOME COGNOME un avviso di accertamento ex art. 41 -bis del D.P.R. n. 600 del 1973 mediante il
quale contestava alla contribuente l’omessa dichiarazione di redditi di lavoro dipendente percepiti nell’anno 2004, operando le conseguenti riprese fiscali ai fini dell’IRPEF.
La contribuente impugnava l’atto impositivo dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che respingeva il suo ricorso.
La decisione veniva successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che con sentenza n. 4984/1/15 del 23 settembre 2015 rigettava l’appello della parte privata.
Avverso tale sentenza la Umana ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate si è limitata a depositare un mero , ai soli fini della partecipazione all’eventuale udienza di discussione.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è denunciata la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973.
1.1 Si sostiene che avrebbe errato la CTR nel non dichiarare .
1.2 Viene, inoltre, rimproverato al collegio di secondo grado di non aver tenuto conto di quanto previsto dall’art. 1, comma 4, lettere b), b -bis ) e d), del menzionato D.P.R., il quale stabilisce che sono esonerati dall’obbligo della dichiarazione:
-«le persone fisiche non obbligate alla tenuta di scritture contabili che possiedono soltanto redditi esenti e redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta nonché redditi fondiari per un importo
complessivo, al lordo della deduzione di cui all’art. 10, comma 3 -bis , del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non superiore a lire 360.000 annue»;
-«le persone fisiche non obbligate alla tenuta di scritture contabili che possiedono soltanto redditi esenti, redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta e il reddito fondiario dell’abitazione principale e sue pertinenze purché di importo non superiore a quello della deduzione di cui all’articolo 10, comma 3 -bis , del citato testo unico delle imposte sui redditi»;
-«i possessori di redditi di lavoro dipendente e assimilati, indicati agli articoli 46 e 47, comma 1, lettere a) e d), del citato testo unico delle imposte sui redditi, compresi quelli soggetti a tassazione separata, certificati dall’ultimo sostituto di imposta, che, oltre tali redditi, possiedono soltanto redditi esenti e redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta e quello derivante dall’abitazione principale e sue pertinenze purché di importo non superiore alla deduzione di cui all’articolo 34, comma 4 -quater , dello stesso testo unico».
1.3 In particolare, alla Commissione regionale sarebbe sfuggito che la RAGIONE_SOCIALE aveva regolarmente presentato la certificazione unica del dipendente (CUD) per l’anno 2004, come risultava dagli atti di causa.
Con il secondo motivo, anch’esso proposto ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è lamentata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 del D.P.R. n. 600 del 1973.
2.1 Si contesta alla CTR di aver tralasciato di considerare che, in base alla surrichiamata disposizione normativa, l’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi di cui trattasi non incombeva sulla contribuente, bensì sui datori di lavoro, i quali lo avevano assolto mediante la trasmissione dei relativi modelli CUD prodotti in giudizio.
2.2 In ogni caso, la stessa contribuente, pur non essendovi tenuta, aveva presentato i predetti modelli all’Agenzia delle Entrate.
I due motivi, che si prestano a un esame congiunto per la loro stretta connessione, sono infondati.
3.1 La CTR laziale ha accertato in fatto che la Umana omise di presentare la dichiarazione dei redditi relativi all’anno 2004, sicchè il potere di accertamento da parte dell’Amministrazione Finanziaria era esercitabile entro il 31 dicembre 2010, ai sensi dell’art. 43, comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973, trattandosi di redditi che avrebbero dovuto essere dichiarati nel 2005.
Conseguentemente, poiché la notifica dell’atto impositivo era stata effettuata il 29 novembre 2010, doveva escludersi che alcuna decadenza si fosse verificata nel caso di specie.
3.2 Non si ravvisa nella riferita statuizione l’ «error in iudicando» che le viene addebitato, atteso che la norma applicata dai giudici «a quibus» , nel testo vigente «ratione temporis» , effettivamente prevede che, nei casi di omessa presentazione della dichiarazione, l’avviso di accertamento può essere notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.
3.3 La ricorrente obietta che la dichiarazione dei redditi era stata regolarmente presentata e che tale circostanza emergeva dagli atti di causa.
3.4 Questo profilo di censura è palesemente inammissibile, risolvendosi in una non consentita contestazione dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dai giudici di merito, insindacabile nella presente sede di legittimità.
3.5 Giova, al riguardo, rammentare che le espressioni «violazione di legge» e «falsa applicazione di legge» adoperate dall’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. descrivono i due momenti in cui si sviluppa il giudizio di diritto, ovvero quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice della fattispecie
concreta e quello afferente all’applicazione della norma stessa, una volta rettamente individuata e interpretata.
3.6 Più precisamente, il vizio di violazione di legge si traduce nell’inesatta ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa astratta, risolvendosi nell’affermazione erronea dell’esistenza o inesistenza di una norma ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, mentre il vizio di falsa applicazione di legge consiste nel sussumere la fattispecie concreta in una norma che non le si addice, perché non idonea a regolarla, o nel trarre da tale norma, in relazione al caso particolare esaminato, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione.
3.7 Non rientra, invece, nell’àmbito applicativo dell’evocato paradigma processuale l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, la quale costituisce questione esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al controllo di legittimità (cfr. Cass. n. 9293/2023, Cass. n. 21844/2022, Cass. n. 14199/2021, Cass. n. 22084/2020).
3.8 Chiarito ciò, si osserva che il collegio regionale, superata la questione dell’eccepita inosservanza del termine per l’accertamento tributario, ha così motivato il rigetto dell’appello proposto dalla parte privata: «…la contribuente ha percepito redditi per lavoro dipendente da due diversi datori di lavoro e, come risulta dai relativi due Cud depositati, il secondo datore di lavoro non ha tenuto conto dei redditi erogati dal primo, talchè non ha operato i conguagli» ; pertanto, «la contribuente medesima era tenuta, ex art. 1 DPR 600/73, a presentare la Dichiarazione dei redditi, ai fini della tassazione cumulativa del reddito percepito, della corretta determinazione dell’imponibile e dell’imposta dovuta» .
3.9 La soluzione accolta dalla Commissione appare corretta «in iure» , ponendosi in linea con la giurisprudenza di questa Corte,
secondo la quale, in presenza di diversi redditi di lavoro dipendente, è obbligatoria la presentazione della dichiarazione fiscale ai fini dell’IRPEF qualora l’ultimo datore di lavoro non abbia proceduto a calcolare il conguaglio a debito nel CUD emesso nei confronti del lavoratore dipendente: in detta ipotesi non ricorrono, infatti, i presupposti per l’esonero del contribuente dall’obbligo di dichiarazione ex art. 1 del D.P.R. n. 600 del 1973, essendo questo limitato ai casi in cui il reddito di lavoro dipendente sia erogato da un solo datore e a quelli in cui l’ultimo o il principale datore di lavoro effettui, ai sensi dell’art. 23, comma 4, dello stesso decreto, il conguaglio con gli altri redditi percepiti dal dipendente nel corso dei precedenti rapporti intrattenuti (cfr. Cass. n. 25581/2017).
Deve, peraltro, escludersi, per quanto detto sopra, che in questa sede possa essere messa in discussione l’esattezza dell’accertamento svolto dai giudici di seconde cure in ordine alla mancata effettuazione del conguaglio ad opera del secondo datore di lavoro della Umana.
3.10 Anche per questa parte, quindi, le doglianze della ricorrente si rivelano prive di pregio.
Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Non v’è luogo a provvedere in ordine alle spese del presente giudizio, non avendo l’Agenzia delle Entrate svolto attività difensiva.
Stante l’esito dell’impugnazione, viene resa nei confronti della ricorrente l’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposta impugnazione, a norma del comma 1bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione