Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 28490 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 28490 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18161/2021 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’ avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COMUNE PIOLTELLO rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE LOMBARDIA n. 3022/2020 depositata il 17/12/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/09/2025 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La CTR della Lombardia, con la sentenza n. 3022/11/2020, in parziale riforma della sentenza di primo grado in forza della quale erano stati rigettati i ricorsi proposti dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso gli avvisi di accertamento IMU emessi dal Comune di Pioltello per le annualità 2014, 2015, 2016 e 2017 relativi a un complesso industriale ed ad un immobile siti in detto comune, accoglieva l’impugnazione di parte contribuente limitatamente alla quantificazione delle sanzioni, rideterminate, unitariamente, nella complessiva somma di euro 210.000,00.
1.1. I giudici di appello, per quello che rileva in questa sede, nel premettere che la RAGIONE_SOCIALE, società che conduceva il locazione finanziaria una serie di immobili industriali di proprietà della società RAGIONE_SOCIALE, in quanto nel possesso degli immobili de quibus dal 2014, era tenuta alla denunzia IMU, osservavano che non risultava comprovata alcuna situazione dei degrado e di inutilizzabilità degli immobili e che non rilevava la richiesta di variazione della rendita catastale in data 2.11.2017 relativa alla particella catastale F-9; osservavano, infine, che in luogo del cumulo materiale delle sanzioni andavano irrogate sanzioni ex art. 12, comma 5, d.lgs. 472/1997 pari ad euro 210.000,00 ‘tenuto conto del numero delle violazioni e dalla loro palmare evidenza’.
Contro detta sentenza propone ricorso per cassazione, sulla base di otto motivi illustrati con successiva memoria, la suindicata società contribuente.
Il Comune RAGIONE_SOCIALE Pioltello resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la RAGIONE_SOCIALE deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., violazione dell’art. 112 c.p.c. assumendo che la CTR aveva omesso di valutare la specifica censura
in forza della quale era stato rilevato che trattandosi di immobili concessi in locazione finanziaria, la denunzia doveva essere presentata dalla RAGIONE_SOCIALE, invece, che dalla società che li aveva ricevuti in locazione finanziaria, prospettando il vizio di mancata corrispondenza fra il chiesto ed il pronunziato.
Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., violazione dell’articolo 112 c.p.c. per avere i giudici di appello trascurato di considerare che, in virtù del principio di non contestazione, in assenza di una modifica catastale, non vi era l’obbligo di una nuova dichiarazione anche da parte del terzo subentrante nella proprietà o possesso dell’immobile, con conseguente esclusione della necessaria applicazione della sanzione irrogata al 100%.
Con il terzo motivo rileva, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 5, d.lgs. 472/97 nonché degli artt. 8 e 13, comma 12-ter del d.l. 201/2011 quanto al computo delle sanzioni, dovendosi tenere conto solo delle sanzioni dovute per l’ipotesi di omesso versamento.
Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del d.l. 201/2011, degli artt. 5 e 8 del d.lgs. 504/92 nonché degli art. 3 e 6 della L. 241/1990 non avendo i giudici di appello considerato che per gli anni dal 2013 al 2017 talune porzioni immobiliari non era agibili in quanto abusive, con la conseguenza che in ragione della loro inutilizzabilità non andava applicata l’IMU.
Con il quinto motivo (e con il settimo motivo che ne costituisce una mera riproposizione in termini identici) lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., omessa valutazione di un fatto decisivo per avere i giudici di appello trascurato di considerare il dato storico rappresentato dal carattere abusivo di talune superfici immobiliari.
Con il sesto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del d.l. 201/2011, degli artt. 5 e 8 del d.lgs. 504/92 nonché degli art. 3 e 6 della L. 241/1990. Assume che i giudici di appello non avevano considerato che il Comune, in ragione del permesso di costruire in sanatoria e dei titoli edilizi per lavori di manutenzione straordinaria, avrebbe dovuto applicare la riduzione IMU.
Con l’ ottavo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 5 d.lgs. 504/1992 assumendo che erroneamente i giudici di appello avevano ritenuto infondata la censura relativa alla determinazione della base imponibile non tenendo conto che la particella fg. 9 p. 430, sub. 501 era stata soppressa e che a far tempo del 2 novembre 2017 risultava costituita dalla nuova particella F. 9 p.1024, precisando che detta modifica della rendita aveva efficacia retroattiva a partire dal 1.1.2017.
I primi due motivi -i quali possono essere esaminati congiuntamente in quanto fra loro logicamente connessi -vanno disattesi.
8.1. Occorre premettere -avendo la società ricorrente dedotto, in sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. la violazione dell’art. 112 c.p.c. (e, quindi, il vizio di ‘omessa pronunzia’) che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di omessa pronuncia, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c., ricorre solamente ove il giudice ometta completamente di adottare un qualsiasi provvedimento, anche solo implicito di accoglimento o di rigetto ma comunque indispensabile per la soluzione del caso concreto, sulla domanda o sull’eccezione sottoposta al suo esame, mentre il vizio di omessa motivazione, dopo la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia stato, ma sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico oppure si sia tradotto nella mancanza assoluta di motivazione, nella motivazione apparente, nella motivazione perplessa o incomprensibile o nel
contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili. (Cass. Sez. 5, 23/10/2024, n. 27551, Rv. 672731 – 01).
Osserva questo Collegio che, all’evidenza, non sussiste alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c. in quanto i giudici di appello hanno ritenuto che, sulla scorta della normativa vigente, la società ricorrente, in quanto in possesso dell’immobile, era tenuta a lla denunzia IMU a partire dall’anno 2014, non configurandosi alcun obbligo a carico della società proprietaria del bene tale da elidere l’obbligo dichiarativo gravante (a fini fiscali) sul locatario finanziario, ed hanno applicato, in relazione alle varie annualità, le sanzioni ai sensi dell’art. 12, comma 5, d.lgs. 472/1997, quantificando le stesse in complessivi euro 210.000,00.
8.2. In relazione agli obblighi dichiarativi ai fini IMU in ipotesi di locazione finanziaria va premesso che, seppur connotato da un (iniziale) contrasto interpretativo, l’orientamento della Corte si è venuto progressivamente a consolidare secondo una lettura del dato normativo, – che, avendo riguardato il d.lgs. n. 23 del 2011, art. 9, c. 1, è senz’altro riferibile alla (del tutto identica) disposizione di disciplina (d.lgs. n. 504 del 1992, art. 3, c. 2), – cui il Collegio intende dare continuità, alla cui stregua l’obbligazione d’imposta, al ricorrere di un contratto di locazione finanziaria, si consolida quale situazione giuridica soggettiva dell’utilizzatore sin dalla sottoscrizione del relativo contratto e, simmetricamente, viene a cessare con la scadenza (in difetto di riscatto) con la risoluzione, di quello stesso contratto (Cass., 13 marzo 2020, n. 7227; Cass., 19 novembre 2019).
Questa Corte ha, in particolare, rimarcato come la lettura del dato normativo di cui all’art. 9, c. 1, cit., – di deroga del presupposto impositivo dell’imposta municipale propria, quale costituito dal possesso degli immobili (d.lgs. n. 23 del 2011, art. 8, c. 2; v., in identici sostanziali termini, il d.lgs. n. 504, cit., art. 1, c. 2), – induca ad attribuire rilevanza, piuttosto che alla detenzione dell’utilizzatore,
in quanto tale, -detenzione che, difatti, difetta rispetto alla fattispecie dell’immobile da costruire che, ciò non di meno, forma oggetto di contratto e di imposizione, – al vincolo contrattuale che fonda la stessa detenzione qualificata che, pertanto, permane, – nella sua dimensione rilevante ai fini tributari, – sino a quando è in vita quel vincolo e, simmetricamente, viene a cessare al suo venir meno (per scadenza o risoluzione del contratto), con conseguente detenzione senza titolo. Si è, poi, osservato che, – rilevando la cd. ultrattività del contratto di durata, avente ad oggetto il godimento del bene altrui, all’interno del solo rapporto che lega le parti del contratto, – la disposizione normativa sopravvenuta in tema di TASI (art. 1, c. 672, cit.), cui non può riconoscersi un contenuto interpretativo della previgente disciplina dell’IMU, – che, difatti, viene contestualmente salvaguardata da quello stesso ius superveniens (I. n. 147 del 2013, art. 1, c. 703), – trova giustificazione in ragione della diversa natura, e dei distinti presupposti impositivi, che connotato i trattamenti impositivi oggetto di comparazione.
Posto che in tema di IMU, nel caso di immobile concesso in “leasing”, soggetto passivo dell’imposta, ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n. 23 del 2011, è certamente l’utilizzatore, essendo a costui attribuiti in via esclusiva dal contratto i benefici, gli obblighi e gli oneri normalmente spettanti al proprietario del bene, non può revocarsi in dubbio che anche gli obblighi dichiarativi debbano gravare sullo stesso.
L’art. 10, comma 4, del d.lgs. 504/1992 applicabile anche all’IMU stabilisce che: ‘I soggetti passivi devono dichiarare gli immobili posseduti nel territorio dello Stato, con esclusione di quelli esenti dall’imposta ai sensi dell’articolo 7, su apposito modulo, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui il possesso ha avuto inizio; tutti gli immobili il cui possesso è iniziato antecedentemente al 1 gennaio 1993 devono essere dichiarati entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno DATA_NASCITA. La dichiarazione ha effetto anche
per gli anni successivi sempreché non si verifichino modificazioni dei dati ed elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare dell’imposta dovuta; in tal caso il soggetto interessato è tenuto a denunciare nelle forme sopra indicate le modificazioni intervenute, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui le modificazioni si sono verificate’.
Orbene la modifica del soggetto passivo dell’imposta costituisce dato che incide sulla debenza del tributo, da comunicare certamente all’ente impositore.
Nel caso di specie, il contratto di leasing non risulta essere stato trascritto in Conservatoria e nemmeno annotato in Catasto, per essere conosciuto dall’ente impositore avrebbe dovuto necessariamente essere indicato nella specifica dichiarazione I.C.I. Invero, ai sensi dell’art. 37, comma 53, del d.l. n. 223 del 2006, conv. in l. n. 248 del 2006 è previsto che: ‘A decorrere dall’anno 2007, è soppresso l’obbligo di presentazione della dichiarazione ai fini dell’imposta comunale sugli immobili (ICI), di cui all’articolo 10, comma 4, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, ovvero della comunicazione prevista dall’articolo 59, comma 1, lettera l), n. 1), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446. Restano fermi gli adempimenti attualmente previsti in materia di riduzione dell’imposta. Fino alla data di effettiva operatività del sistema di circolazione e fruizione dei dati catastali, da accertare con provvedimento del direttore dell’Agenzia del territorio, rimane in vigore l’obbligo di presentazione della dichiarazione ai fini dell’ICI, di cui all’articolo 10, comma 4, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, ovvero della comunicazione prevista dall’articolo 59, comma 1, lettera l), n. 1), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446. Resta fermo l’obbligo di presentazione della dichiarazione nei casi in cui gli elementi rilevanti ai fini dell’imposta dipendano da atti per i quali non sono applicabili le procedure telematiche previste dall’articolo 3-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 463,
concernente la disciplina del modello unico informatico» (d.l. 4 luglio 2006, n. 223, art. 37, comma 53, conv. in l. 4 agosto 2006, n. 248, così come modificato dalla l. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 174)’.
Questa Corte ha già ripetutamente statuito che, in seguito all’informatizzazione del catasto, resa operativa con provvedimento direttoriale del 18 dicembre 2007, il contribuente non è più obbligato, per gli anni 2008 e seguenti, alla dichiarazione prevista dall’art. 10, comma 4, del d.lgs. n. 504 del 1992, soppressa dall’art. 37, comma 53, del d.l. n. 223 del 2006, conv. con modif. dalla l. n. 248 del 2006, tranne che nei casi previsti dal secondo e ultimo periodo di tale norma, afferenti agli elementi da cui derivi una riduzione di imposta e a quelli, rilevanti ai fini d’imposta, che dipendano da atti per i quali non sono applicabili le procedure telematiche previste dall’art. 3 bis del d.lgs. n. 463 del 1997 concernente la disciplina del modello unico informatico (Cass., 16 febbraio 2023, n. 4925; Cass., 22 dicembre 2022, n. 37505; Cass., 2 novembre 2018, n. 28043; Cass., 2 marzo 2017, n. 5362).
In forza di tali principi, la soppressione dell’obbligo dichiarativo concerne innanzitutto le unità immobiliari suscettibili di ascriversi alla pubblicità catastale che viene resa ostensibile agli enti locali, mentre, al di fuori di un siffatto contesto conoscitivo, permane l’obbligo di dichiarazione ‘nei casi in cui gli elementi rilevanti ai fini dell’imposta dipendano da atti per i quali non sono applicabili le procedure telematiche previste dall’articolo 3 -bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 463, concernente la disciplina del modello unico informatico’ (ai sensi del citato art. 37, comma 53, del d.l. n. 223 del 2006).
Ritenuta la sussistenza dell’obbligo dichiarativo in capo alla società utilizzatrice in forza di un contratto di leasing deve affermarsi il seguente principio di diritto: ‘In tema di IMU, nel caso di immobile concesso in leasing , soggetto passivo dell’imposta, ai sensi dell’art.
9 del d.lgs. n. 23 del 2011, è l’utilizzatore ed essendo lo stesso tenuto agli obblighi e gli oneri normalmente spettanti al proprietario del bene, non risultando il relativo rapporto da dati catastali conosciuti o conoscibili dall’ente impositore, è obbli gato alla presentazione della dichiarazione ai fini dell’ICI, di cui all’articolo 10, comma 4, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, la cui inosservanza comporta l’applicazione delle relative sanzioni’.
Il terzo motivo è da ritenere inammissibile in quanto dal contenuto aspecifico e per certi versi criptico e poco comprensibile: la parte assume, da un lato, che ‘il giudice di secondo grado ha accolto il sesto motivo di appello’ e per altro verso, in mo do del tutto contraddittorio, si suole del ‘mancato esame del sesto motivo di ricorso di appello’.
La società lamenta, quindi, del tutto genericamente un erroneo computo delle sanzioni, senza chiarire quale disposizione normativa sarebbe stata violata dai giudici di appello nello stabilire la misura complessiva delle stesse.
Con la memoria in data 28 luglio 2025 la società contribuente ha precisato che il giudice d’appello si sarebbe dovuto conformare al principio espresso dalla Suprema Corte secondo cui la sanzione per omesso versamento non è applicabile congiuntamente a quella per omessa dichiarazione, in ragione dell’assorbimento del secondo illecito nel primo, senza tuttavia chiarire per quale ragione sarebbe stata applicata una sanzione illegale sotto il profilo cennato. La CTR, invero, ha fatto applicazione dell’art. 12, comma 5, d.lgs. 472/1997 che stabilisce che: ‘Quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo’, quantificando le sanzioni dovute in complessivi euro 210.000,00, sicché la censura, sì come formulata, non inficia la ratio decidendi non risultando dimostrato che la CTR abbia applicato una ‘doppia’ sanzione.
10. Il quarto motivo è inammissibile o, comunque, infondato.
10.1. La società contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del d. l. 201/2011, degli artt. 5 e 8 del d.lgs. 504/92 nonché degli art. 3 e 6 della L. 241/1990 non avendo i giudici di appello considerato che per gli anni dal 2013 al 2017 talune porzioni immobiliari non era agibili in quanto abusive, con la conseguenza che i n ragione della loro inutilizzabilità, nota all’ente impositore, non andava applicata l’IMU.
10.2. Osserva questa Corte che la CTR ha così motivato:’ Mai dimostrata è ancora l’invocata situazione di degrado o di inagibilità degli immobili tale da non essere superabile neppure con interventi di valutazione a straordinaria nessuna dichiarazione o documentazione in proposito risulta presentata ex articolo 13 D.L. 201/2011 anzi la stessa perizia estimativa di parte dà atto che tutte le strutture sono in buono stato manutentivo ‘.
10.3. Orbene risulta di tutta evidenza dalla lettura della censura in questione che la parte, lungi dal prospettare una violazione di legge, cerca di inficiare le valutazioni di merito e la ricostruzione in fatto operata dalla CTR.
Occorre rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610). Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le
fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357). Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).
Dal tenore della sentenza impugnata risulta che la RAGIONE_SOCIALE ha operato un diffuso ed argomentato accertamento circa la totale assenza dello stato di asserito degrado, apparendo, quindi, evidente che la società contribuente più che dedurre una violazione di legge lamenta una non corretta valutazione delle prove, a fronte della scelta operata dal giudice di merito in relazione ai dati istruttori rilevanti e ritenuti decisivi; oggetto del giudizio che la ricorrente vorrebbe demandare a questa Corte non è, quindi, l ‘analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla valutazione del giudice di merito (Cass. 13/05/2022, n. 17744, Cass. 05/02/2019, n. 3340; Cass. 14/01/ 2019, n. 640; Cass. 13/10/ 2017, n. 24155; Cass. 04/04/ 2013, n.8315).
11. Il quinto ed il settimo (come detto fra loro identici) sono inammissibili atteso che nessuna omessa valutazione di dati storici decisivi deducibile ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. risulta ravvisabile.
Come è noto, l’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., nel testo riformulato dall’art. 54 del d. l. 22 giugno 2012, n. 83,
convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6), e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (tra le tante: Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054; Cass., Sez. 6^-3, 27 novembre 2014, n. 25216; Cass., Sez. 2^, 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., Sez. Lav., 21 ottobre 2019, n. 26764; Cass., Sez. 5^, 12 luglio 2021, nn. 19820, 19824, 19826 e 19827; Cass., Sez. 5^, 22 luglio 2021, n. 20963; Cass., Sez. 5^, 27 luglio 2021, n. 21431; Cass., Sez. 5^, 30 maggio 2022, n. 17359; Cass., Sez. Trib., 10 novembre 2023, n. 31327; Cass., Sez. Trib., 29 dicembre 2023, n. 36426; Cass., Sez. Trib., 6 febbraio 2024, n. 3404; Cass., Sez. Trib., 21 maggio 2025, n. 13573). L’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d. l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la
omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass., Sez. 1^, 14 settembre 2018, n. 26305; Cass., Sez. 6^-1, 6 settembre 2019, n. 22397; Cass., Sez. 5^, 11 maggio 2021, n. 12400; Cass., Sez. 5^, 24 luglio 2021, nn. 21457 e 21458; Cass., Sez. 5^, 20 dicembre 2022, n. 37346; Cass., Sez. 5^, 10 novembre 2023, n. 31327; Cass., Sez. 1^, 29 febbraio 2024, n. 5426) né l’omessa disanima di questioni o argomentazioni (Cass., Sez. 6^-1, 6 settembre 2019, n. 22397; Cass., Sez. 5^, 20 aprile 2021, n. 10285; Cass., Sez. 5^, 20 dicembre 2022, n. 37346; Cass., Sez. 5^, 10 novembre 2023, n. 31327; Cass., Sez. 1^, 29 febbraio 2024, n. 5426).
Nel caso in esame nessuna omessa valutazione di dati decisivi appare configurabile avendo la CTR, esaminate le complessive risultanze istruttorie, accertato con valutazione in fatto non censurabile in questa sede che non sussisteva alcuna prova di inagibilità di locali riferibile agli anni in contestazione.
Il sesto motivo è inammissibile per ragioni analoghe a quelle evidenziate in relazione al quarto motivo: nessuna violazione di legge viene dedotta, contestandosi unicamente la ricostruzione in fatto dei giudici di merito.
L’ ottavo motivo è, per contro, fondato.
13.1. La CTR, in relazione al profilo dedotto, si è limitata ad affermare che il motivo di gravame: ‘faceva leva sulla richiesta di variazione della rendita per la già citata nuova particella catastale e F-9, ma tale richiesta in data del 2-11-2017 non è stata accolta dal comune; dunque, non può influenzare la tassazione in nessuna annualità’.
Ma nel disattendere detta censura i giudici territoriali non si sono in alcun modo confrontati con l’orientamento consolidato, al quale va dato in questa sede continuità, secondo cui : «in tema di ICI, a seguito di rettifica del classamento operato dal contribuente con procedura DOCFA, la successiva attribuzione, da parte dell’ente impositore, della rendita catastale costituisce, una volta notificata,
la base imponibile anche per le annualità “sospese” suscettibili di accertamento ovvero di liquidazione e rimborso» (Cass., Sez. 5, n. 10126 del 2019, Rv. 653366 – 01; 1472/2018; n. 4613/2018; n.7652/2018; n. 2918/2017; Sez. un., n. 3160 del 2011).
Va soggiunto, infine, che nella memoria conclusiva la parte in relazione alla questione oggetto di causa relativa alla ‘pertinenzialità dell’area di 22 mila mq. graffata all’immobile’ ed alla ‘applicazione del regime dei c.d. imbullonati’ ha affermato che i giudici non avevano considerato che ‘la censura era diretta a contrastare la gravata sentenza nella parte in cui riteneva che la graffatura catastale era successiva agli accertamenti e, in ogni caso, la contribuente non aveva neanche provato il carattere pertinenziale delle aree’, assumendo che in realtà sia la documentazione versata in atti che la graffatura erano elementi idonei a dimostrare l’asservimento delle aree all’opificio.
14.1. A parte l’assenza del requisito di autosufficienza (non risultando chiarito quanto sarebbe stato dedotto il profilo ed in relazione a quali dati istruttori ritualmente prodotti) va evidenziato che la parte prospetta una questione ‘nuova’ che non risu lta avere costituito oggetto dei motivi di ricorso per cassazione.
14.2. Va, invero, ribadito che la memoria ex art. 378 c.p.c. non può integrare i motivi del ricorso per cassazione, poiché assolve all’esclusiva funzione di chiarire ed illustrare i motivi di impugnazione che siano già stati ritualmente – cioè, in maniera completa, compiuta e definitiva – enunciati nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, con il quale si esaurisce il relativo diritto di impugnazione. Vedi (Cass. n. 8949/2023; 17983/2020; 26332/2016; 3471/2016; 26670/2014 nonché S.U. 11097/2006).
15. In conclusione, in accoglimento dell’ottavo motivo di ricorso, disattesi gli altri, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della
Lombardia, in diversa composizione, che dovrà anche liquidare le spese del presente grado del giudizio.
P.Q.M.
la Corte accoglie l’ottavo motivo ricorso, disattesi gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data 9 settembre 2025
Il Presidente (NOME COGNOME)