Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18361 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18361 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 05/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32166/2018 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’Avv. COGNOMECODICE_FISCALE unitamente all’Avv. COGNOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’Avv. COGNOME (CODICE_FISCALE) unitamente agli Avv. COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. Toscana n. 1486/2018 depositata il 23/07/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La CTR, con la sentenza in epigrafe indicata, decidendo in sede di rinvio per annullamento della precedente decisione con ordinanza della Corte di cassazione, n. 17516 del 2017, ha accolto gli appelli riuniti presentati da RAGIONE_SOCIALEsocietà delle entrate Pisa), con riforma delle decisioni di primo grado, e ha rigettato l’appello in riassunzione della RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza n. 76 del 2011 della CTR di Pisa;
ricorre in cassazione la società contribuente con sette motivi di ricorso, integrati da memoria;
resiste con controricorso, integrato da memoria, la RAGIONE_SOCIALE che chiede il rigetto del ricorso.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso risulta infondato e deve rigettarsi con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese e con il raddoppio del contributo unificato.
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente prospetta la violazione dell’art. 384 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; con il secondo motivo strettamente collegato al primo la ricorrente prospetta l’assenza della motivazione, o una motivazione solo apparente.
1. Per la sentenza oggi impugnata la Corte di Cassazione con la ordinanza di annullamento avrebbe già statuito sulla natura degli avvisi in rettifica quali atti in mera rettifica e non nuovi avvisi di accertamento. Per la ricorrente, invece, la sentenza della Cassazione avrebbe rimesso alla CTR l’accertamento della natura degli avvisi in rettifica.
Il motivo è infondato. Dalla lettura dell’ordinanza della Cassazione n. 17516 del 2017 emerge con chiarezza che la Corte aveva già
definitivamente deciso la natura degli avvisi di accertamento ‘rettificativi’ ritenendoli solo riduttivi della iniziale pretesa fiscale e non sostitutivi della prima pretesa. Infatti, espressamente l’ordinanza in oggetto evidenzia che ‘la CTR ha errato nel ritenere che l’emanazione degli avvisi in rettifica avesse determinato la caducazione degli avvisi di accertamento originari per il che si doveva ritenere cessata la materia del contendere. Il ricorso va dunque accolto e l’impugnata decisione va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria regionale della Toscana in diversa composizione che, adeguandosi ai principi esposti, procederà alle necessarie verifiche e deci derà nel merito’.
La cassazione della sentenza è chiaramente indice di decisione della questione e la rimessione al giudice del rinvio era disposta proprio per la decisione nel merito del ricorso, con superamento della dichiarata (errata) cessazione della materia del contendere.
Per la ricorrente la Corte di Cassazione non era a conoscenza del contenuto degli avvisi, per poterli valutare. Questa prospettazione risulta non corretta, in quanto la Cassazione, se così fosse, avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il ricorso per mancanza di autosufficienza. Infatti, come rilevato nelle controdeduzioni della Sepi s.p.a. nel ricorso in cassazione erano trascritti gli avvisi (la parte necessaria).
La sentenza oggi impugnata analizza la questione e motiva sul punto in modo adeguato rilevando come l’ordinanza della Cassazione aveva deciso la questione della natura degli avvisi in rettifica, ritenendo tale decisione vincolante.
In tema di motivazione meramente apparente della sentenza, questa Corte ha più volte affermato che il vizio ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost. art. 111, sesto comma), e cioè dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (in materia di processo civile ordinario) e dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992 (in materia di
processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta: «In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni in concilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali» (Sez. 1 – , Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022, Rv. 664120 – 01); in tale grave forma di vizio non incorre la sentenza impugnata, laddove i giudici di appello, statuendo sui motivi di appello hanno affermato che la decisone della Cassazione era vincolante e affermava la natura dei secondi avvisi solo integrativi e non sostitutivi (per riduzione della pretesa).
Con il terzo motivo la ricorrente prospetta il mancato esame di un fatto decisivo, art. 360, primo comma n. 5, ovvero il contenuto degli avvisi originari e quelli rettificativi. Questo motivo risulta logicamente assorbito per quanto detto sul primo motivo, ovvero la questione era stata decisa dalla Cassazione con l’ordinanza che aveva cassato la precedente decisione.
Con il quarto motivo la ricorrente contribuente prospetta la violazione dell’art. 2909 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
La decisione della CTR con la sentenza impugnata risulta corretta e adeguatamente motivata, in quanto con la sentenza passata in
giudicato (n. 44/31/ 2011) si era già deciso sulla mancanza di decadenza per l’anno 2002 (‘doverosità della dichiarazione delle modifiche intervenute -quanto ai criteri per la determinazione dei valori di mercato e del sistema di qualificazione delle aree (ossia la base imponibile degli immobili in oggetto)’. La motivazione della sentenza oggi impugnata, comunque, risulta idonea a ritenere dovuta la dichiarazione Ici, anche a prescindere dal giudicato sul punto.
Questa Corte di cassazione ha ritenuto configurabile il giudicato esterno anche nelle ipotesi di imposte periodiche, quando gli elementi considerati dalle decisioni passate in giudicato hanno carattere stabile o tendenzialmente permanente, mentre non riguarda gli elementi variabili destinati a modificarsi nel tempo (Sez. 5 -, Sentenza n. 25516 del 10/10/2019, Rv. 655438 -01; Sez. 5 – , Ordinanza n. 5766 del 03/03/2021, Rv. 660691 -01).
Nel caso in giudizio la questione decisa era relativa, non a questioni di diritto (come prospettato dalla ricorrente; Sez. 5 – , Ordinanza n. 5822 del 05/03/2024, Rv. 670813 -01; vedi anche Sez. 5, Sentenza n. 23723 del 21/10/2013, Rv. 628972 – 01), ma al presupposto di fatto della doverosa dichiarazione, in relazione alla modifica della natura dei terreni.
Comunque, a prescindere dal giudicato la questione è stata decisa comunque in via diretta dalla sentenza impugnata, anche senza la valutazione del giudicato, con la motivazione sopra vista, e come si specificherà nell’analisi del quinto motivo di ricorso.
Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente prospetta la violazione degli art. 10, d. lgs. n. 504 del 1992, 1, comma 161, l. n. 296 del 2006 e 14 d. lgs. 504 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
La ricorrente ritiene di non aver omesso la dichiarazione ICI e, in conseguenza, che gli avvisi di accertamento sono tardivi, per la decadenza dei cinque anni. Per il 2003 l’avviso doveva essere
notificato entro il 31 dicembre 2008 (quinto anno successivo alla data prevista per il versamento).
La contribuente in considerazione della vendita di alcuni terreni (nel 1999) aveva inviato la dichiarazione ICI il 23 giugno 2000, per le variazioni del 1999, valore dichiarato di euro 4.697.177,56.
Per gli anni successivi al 1999, per la ricorrente non ci sarebbero eventi tali da giustificare una nuova dichiarazione ICI. L’area in oggetto prima del 2004 era fabbricabile, non sussisteva, pertanto, obbligo di dichiarazione.
Per il 2004 la SEPI avrebbe dovuto inviare l ‘ avviso entro il 31 dicembre 2009.
L’assenza di obbligo di dichiarazione, per la contribuente, rende anche le sanzioni illegittime.
La destinazione urbanistica emergerebbe dal certificato storico di destinazione urbanistica dei terreni. La semplice variazione di valore delle aree non comporta obbligo di dichiarazione in quanto il Comune può desumere il valore dai dati della banca dati catastale.
La prospettazione della ricorrente non è fondata.
La sentenza impugnata ha evidenziato come sussisteva l’obbligo della dichiarazione ICI in quanto i terreni della contribuente ‘sono passati da area agricola ad area fabbricabile o hanno subito modifiche quanto al valore dell’area fabbricabile stessa. Del resto, l’Ufficio tributi del Comune di Pisa a veva avvisato la società della necessità di una nuova dichiarazione e l’avviso di accertamento notificato entro il 31 dicembre del 2009 appare tempestivo rispetto alla data del 31 dicembre 2004 entro cui la società RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto presentare la nuova dichiarazione’.
Infatti, il Comune con il nuovo regolamento urbanistico (con decorrenza dal 2002) aveva provveduto a modificare la destinazione d’uso di alcuni terreni della contribuente, con conseguente aumento di valore della base imponibile; ne consegue la logica obbligatorietà della dichiarazione ICI (proprio per la variazione della destinazione
d’uso di alcuni terreni. Per l’art. 10, quarto comma, d. lgs. 504 del 1992 la dichiarazione ICI ha effetto anche per gli anni successivi sempreché non si verifichino modificazioni dei dati od elementi dichiarati cui consegue un diverso ammontare dell’impos ta da versare.
Dall’anno di imposta 2002, in relazione al nuovo regolamento urbanistico, la contribuente avrebbe dovuto presentare la dichiarazione ICI e, quindi, anche per gli anni di imposta successivi, stante la mancata presentazione, nel 2002: «In tema di ICI, l’obbligo del contribuente di denunciare le modificazioni incidenti sul valore del cespite ex art. 10, comma 4, del d.lgs. n. 504 del 1992, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui le variazioni si sono avverate, non cessa allo scadere di tale termine, ma permane sino al momento in cui la dichiarazione non sia presentata, determinando per ciascun anno d’imposta un’autonoma violazione punibile ai sensi dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 504 del 1992» (Sez. 5, Sentenza n. 19877 del 05/10/2016, Rv. 641254 – 01).
Come rappresentato nel controricorso dallo stesso certificato di destinazione urbanistica emerge che i terreni della ricorrente avevano subito nel tempo importanti modifiche di destinazione d’uso (alcune particelle dal 28/07/01).
La modifica di destinazione d’uso per comportare l’obbligo di dichiarazione può logicamente interessare solo alcune particelle e non tutto il terreno di proprietà della ricorrente; basta che l’importo da versare in relazione alla precedente dichiarazione cambi (art. 10, quarto comma, d. lgs. 504 del 1992).
Infatti, «In tema di ICI, l’art. 37, comma 53, del d. l. n. 223 del 2006, conv. con modif. dalla legge n. 248 del 2006, ha disposto, con decorrenza dall’anno 2007, la soppressione dell’obbligo della dichiarazione (quindi, venuto meno a partire dall’anno 2009), sicché la decadenza dalla pretesa impositiva deve essere riferita, in virtù
dell’art. 1, comma 161, della l. n. 296 del 2006, al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui il tributo avrebbe dovuto essere versato. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha confermato la decisione impugnata che, rispetto ad un avviso di accertamento riferito all’anno 2009, ha ritenuto maturata la decadenza dell’Amministrazione comunale dalla pretesa impositiva al momento della notifica dell’avviso avvenuta il 29 dicembre 2015)» (Sez. 5 -, Ordinanza n. 2321 del 25/01/2023, Rv. 666740 -01; vedi anche Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 28043 del 02/11/2018, Rv. 651830 01).
Nel caso in giudizio , invece, l’obbligo della dichiarazione ICI comporta un diverso termine di decadenza, il quinto anno, dal 31 dicembre dell’a nno successivo (anno in cui andrebbe presentata la dichiarazione per il periodo antecedente) a quello di imposta. Gli anni di imposta in considerazione sono, del resto, antecedenti all’abrogazione dell’obbligo di dichiarazione.
Anche il sesto motivo (logicamente connesso al quinto. Omesso esame di un fatto decisivo, art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) risulta infondato. L’obbligo sopra visto della dichiarazione esclude in radice la sussistenza del vizio denunciato. Come visto alcuni terreni erano comunque variati nella destinazione.
Anche l’ultimo motivo risulta infondato (omesso esame di un fatto decisivo in relazione alla prova del valore venale del terreno, art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.). La ricorrente prospetta una omessa valutazione della consulenza di parte.
Il motivo risulta infondato in quanto la sentenza analizza la consulenza insieme a tutte le altre prove e con valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità, evidenzia come sono «del tutto ingiustificati e immotivati i valori periziati dalla parte ricorrente». Ed ancora: «Nella perizia prodotta dalla società ricorrente vengono dati valori al mq grandemente inferiori che vengono meramente affermati senza alcuna oggettiva prova documentale o dimostrazione
logica che dia contezza del criterio di computo utilizzato e che, pertanto, sono del tutto inattendibili».
La sentenza impugnata analizza, quindi, le prospettazioni della contribuente, ma non le ritiene fondate; evidenzia sul punto i criteri utilizzati area per area per la stima. Non si tratta, pertanto, di omessa pronuncia o di omessa valutazione di una prova decisiva, ma di valutazione di merito delle prove, insindacabile in questa sede: « In tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento» (Sez. 2 – , Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019, Rv. 655229 – 01).
9, Infine, nella memoria la contribuente cita le decisioni di questa Corte n. 25340 del 2017 e n. 11433 del 2023 che non sono pertinenti al caso in odierno giudizio che riguarda immobili con relativo obbligo di dichiarazione, come sopra analizzato specificamente.
…
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 24/01/2025.