Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8267 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8267 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/03/2025
IMU BENI MERCE OBBLIGO DICHIARATIVO -SANZIONI MOTIVAZIONE
sul ricorso iscritto al n. 17513/2022 del ruolo generale, proposto
DA
RAGIONE_SOCIALE (codice fiscale CODICE_FISCALE, con sede in Milano, INDIRIZZO in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME rappresentata e difesa, in ragione di procura speciale e nomina poste in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOMEcodice fiscale CODICE_FISCALE.
– RICORRENTE –
CONTRO
il COMUNE DI AGRATE BRIANZA (codice fiscale CODICE_FISCALE, con sede alla INDIRIZZO in persona del Sindaco pro tempore, NOME COGNOME autorizzato a stare in giudizio con deliberazione della Giunta comunale n. 119 del 14 luglio 2022, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale e nomina poste in calce al
contro
ricorso, dagli avv.ti NOME COGNOMEcodice fiscale CODICE_FISCALE) ed NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE.
-CONTRORICORRENTE – per la cassazione della sentenza n. 4819/17/2021 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 31 dicembre 2021.
UDITA la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio celebratasi in data 27 novembre 2024.
FATTI DI CAUSA
Oggetto di controversia è l’avviso di accertamento in atti con cui il Comune di Agrate Brianza liquidò la somma di 4.762,00 €, oltre accessori, in ragione del parziale versamento dell’IMU per l’anno d’imposta 2013 (secondo semestre), dovuta in relazione a due immobili posseduti dalla contribuente in detto Comune.
La suindicata Commissione rigettava l’appello proposto dalla società contro la sentenza n. 987/16/2000 della Commissione tributaria provinciale di Milano, affermando che:
-l’avviso di accertamento risultava motivato, contenendo tutte le indicazioni prescritte dagli artt. 7 della legge n. 212/2000 e 1, comma 162, della legge n. 269/2006 (il periodo di possesso dei beni anche nella loro percentuale, la loro specifica individuazione nei rispettivi dati catastali, il contestato parziale pagamento del relativo tributo, l’aliquota applicata), avendo così posto la contribuente nelle condizioni di conoscere la ‘ causa petendi ‘ ed il ‘ petitum’ della pretesa del Comune;
-« l’ente impositore si limitava a liquidare l’imposta sulla base dei dati e degli altri elementi desumibili dalle dichiarazioni a suo tempo presentate dalla contribuente e che «Per quanto
concerne la contestata mancata indicazione dei singoli versamenti considerati dal Comune va rilevato che il contribuente è tenuto a versare l’IMU complessivamente dovuta per tutti gli immobili posseduti in quel comune con conseguente rilevanza, in tali casi, dell’ammontare complessivo dell’importo dovuto a tale titolo dal singolo contribuente e non già della somma da lui versata, per la medesima causale, per ciascun immobile»;
-« l’onere motivazionale dell’Ente non si estende alla indicazione delle ragioni che giustificano la mancata applicazione delle eventuali ipotesi di esenzione; le delibere comunali sottese alla liquidazione del tributo in esame sono soggette a pubblicità legale e si presumono, pertanto, conosciute e sono, in ogni caso, conoscibili da parte del singolo contribuente; il Comune appellato non aveva, pertanto, l’onere di allegare la delibera di approvazione delle aliquote IMU»;
-la contribuente non aveva dimostrato l’esistenza dei presupposti previsti dalla legge per l’esenzione del tributo in esame, « tenuto conto che la lettera allegata in giudizio, data 20.1.2019, veniva redatta solo in epoca successiva la notifica dell’atto in esame; dal suo contenuto non è possibile comprendere se tali immobili siano stati effettivamente locati, anche solo temporaneamente, nel periodo in esame »; apparendo « del tutto inverosimile che tali beni, costruiti tra il 2005 e il 2007, venissero messi in vendita solamente nel periodo 20132015; è al contrario del tutto verosimile che tali immobili, nel periodo in esame, venissero locati anche solo per un breve periodo»;
la contribuente era «in ogni caso, decaduta dal godimento del beneficio in esame, ex. art. 2 comma 5 bis DL n. 102/2013, visto che la stessa non presentava conforme dichiarazione, entro i
termini previsti dalla legge, presso il Comune appellato » (così nella sentenza impugnata);
-l’art. 17 d.lgs. n. 472/1997 consente l’irrogazione immediata delle sanzioni in termini contestuali all’avviso, nella specie applicata in misura fissa in ragione del parziale pagamento dell’imposta e, dunque, senza necessità di specifica motivazione, trattandosi di atto vincolato;
stante la chiarezza della normativa in esame non vi era alcun dubbio sulla rimproverabilità del comportamento della contribuente.
Avverso tale pronuncia RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso per cassazione, notificato in data 30 giugno 2022, formulando quattro motivi d’impugnazione, poi illustrato con memoria ex art. 380bis. 1. c.p.c. depositata il 15 novembre 2024.
Il Comune di Agrate Brianza resisteva con controricorso notificato il 5 settembre 2022, depositando in data 14 novembre 2024 memoria ex art. 380bis .1. c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va rigettato per le seguenti ragioni.
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente ha dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 42 d.P.R. n. 600/1973 e 7 della legge n. 212/2000, contestando la valutazione del Giudice regionale nella parte in cui ha ritenuto l’avviso di accertamento motivato, lamentando che « il prospetto integrato nell’atto impositivo consiste nell’indicazione degli elementi matematici e catastali su cui si basa il calcolo dell’imposta asseritamente dovuta e senza tuttavia alcun riferimento agli estremi dei versamenti presi in considerazione», omettendo, quindi, « di specificare
compiutamente i presupposti del proprio calcolo» (v. pagina n. 7 del ricorso), così come non erano state allegate le delibere richiamate nell’avviso, né ne era stato riassunto il loro contenuto.
1.1. Il motivo risulta inammissibile per il suo assoluto difetto di autosufficienza, avendo la difesa della contribuente omesso di riassumere nei dati contestati il contenuto rilevante dell’avviso.
Va allora ribadito il consolidato principio espresso da questa Corte secondo cui « qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento -il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso -è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente (ndr. o quantomeno riassuma) i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo», occorrendo assolvere al duplice onere imposto dall’art. 366, primo comma, num. 6., c.p.c. di produrre agli atti il documento contestato e di indicarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso (così, tra le tante, Cass., Sez. T, 27 giugno 2023, n. 18387; Cass., Sez. T, 21 giugno 2023, n. 17840, che richiama cfr. Cass., Sez. V, 28 giugno 2017, n. 16147, Cass. Sez. V, 13 febbraio 2015, n. 2928, Cass., Sez. V, 4 aprile 2013, n. 8312; Cass., Sez. V, 19 dicembre 2022, n. 37170; Cass., Sez. 5 civ., 13 novembre 2018, n. 29093, che richiama Cass. Sez. VI/III, 28 settembre 2016, n. 19048 e, sul piano generale, Cass., Sez. U. civ., 27 dicembre 2019, n. 34469; Cass., Sez. T., 25 ottobre 2022, n. 31554, che richiama
Cass., Sez. V, 4 aprile 2013, n. 8312, Cass., Sez. V, 19 aprile 2013, n. 9536, Cass., Sez. V, 10 dicembre 2021, n. 39283, Cass., Sez. V, 6 novembre 2019, n. 28570, Cass., Sez. V, 14 marzo 2022, n. 8156, Cass., Sez. VI/V, 11 maggio 2022, n. 14905 ed ancora Cass., Sez. I, 19 aprile 2022, n. 12481; ancora, più recentemente, Cass., Sez. T. 10 giugno 2024, n. 16096).
1.2. Val la pena di aggiungere, stante (anche) la palese infondatezza del motivo, che la mancata indicazione dei versamenti eseguiti è tema che attiene non alla motivazione dell’atto, ma alla sua esattezza nel quantum debeatur , profilo questo che nemmeno risulta contestato, dovendosi escludere, a tal proposito, ogni indebita sovrapposizione del profilo relativo alla motivazione dell’atto impositivo (e, dunque, un requisito di validità dell’atto) con quello che, invece, attiene al riscontro probatorio dei fatti posti a fondamento della pretesa impositiva e cioè della causa petendi dell’atto.
In tale prospettiva non deve, infatti, essere confusa la motivazione dell’avviso con la dimostrazione (prova) dei fatti costitutivi della pretesa fiscale, giacchè «La motivazione dell’avviso di accertamento costituisce requisito formale di validità dell’atto impositivo, distinto da quello dell’effettiva sussistenza degli elementi dimostrativi dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, l’indicazione dei quali è disciplinata dalle regole processuali dell’istruzione probatoria operanti nell’eventuale giudizio avente ad oggetto detta pretesa» (Sez. 5 -, Ordinanza n. 4639 del 21/02/2020)» (così Cass., Sez. T., 14 maggio 2024, n. 13305, cui adde Cass., Sez. T. 10 giugno 2024, n. 16096).
In più occasioni è stato, poi, precisato che l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento deve ritenersi adempiuto mediante l’enunciazione del criterio sulla cui base la pretesa impositiva viene esercitata, con le specificazioni necessarie per
consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa e per delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, nella quale l’Amministrazione ha l’onere di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto, ed il contribuente ha la possibilità di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri (così Cass., Sez. T. 10 giugno 2024, n. 16096 cit.).
Più specificamente «In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l'” an ” ed il ” quantum ” dell’imposta. In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (Cass. 26431/2017) » (così, Cass., Sez. T, 2 maggio 2023, n, 11449 e 11443 e, nello stesso senso, Cass., Sez. T., 27 luglio 2023, n. 22702, che richiama Cass., 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., 30 gennaio 2019, n. 2555; Cass., 8 novembre 2017, n. 26431; Cass., 10 novembre 2010, n. 22841; Cass., 15 novembre 2004, n. 21571 ed ancora, tra le tante, Cass., Sez. V., 29 ottobre 2021, n. 30887; cui adde , in tema di IMU, Cass., Sez. T. 28 maggio 2024, n. 14890).
Infine, va ribadito che le delibere comunali relative all’applicazione del tributo ed alla determinazione delle relative
tariffe non rientrano tra i documenti che devono essere allegati agli avvisi di accertamento ai sensi dell’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, in quanto detto obbligo è limitato agli atti richiamati nella motivazione che non siano conosciuti o altrimenti conoscibili dal contribuente, ma non anche gli atti generali come le delibere del consiglio comunale che, essendo soggette a pubblicità legale, si presumono conoscibili (cfr. Cass., Sez. T, 16 febbraio 2023, n. 4939, nonché Cass., Sez. T., 29 maggio 2023 n. 38161 e Cass. Sez. T., 30 dicembre 2022, n. 38161; nello stesso senso, tra le tante, Cass., 21 novembre 2018, n. 30052; Cass., 3 novembre 2016, n. 22254; Cass., 13 giugno 2012, n. 9601; Cass., 16 marzo 2005, n. 5755, Cass., Sez. T, 25 novembre 2022, n. 34879; Cass., Sez. T, 11 giugno 2021, n. 16681, Cass., Sez. T., 11 agosto 2023, nn. 24589, 24554 ed altre).
1.3. La ricorrente riconosce che negli avvisi risultano contenuti gli elementi catastali e matematici su cui si è basato il calcolo dell’imposta, i quali integrano i criteri in base ai quali si è sviluppato il computo algebrico per quantificare la pretesa fiscale.
In tale contesto, la valutazione del Giudice regionale in ordine alla motivazione dell’avviso risulta essersi conformata ai predetti principi, rivelandosi, pertanto, corretta.
Con la seconda doglianza la società ha eccepito, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, c.p.c., l’omessa o apparente motivazione della sentenza impugnata in ordine all’asserita non spettanza dell’esenzione, rimproverando al Giudice regionale di non aver spiegato le ragioni per cui aveva ritenuto verosimile che i beni, costruiti tra l’anno 2005 ed il 2007, fossero stati locati, anche per un breve periodo, tenuto conto dell’epoca della loro vendita (anni 2013/2015).
2.1. Si tratta di censura infondata.
Sul piano dei principi va ricordato che questa Corte (a partire da Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053) ha ripetutamente precisato che deve ritenersi apparente la motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché munita di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, in modo tale da non consentire alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.
Resta, invece, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (v., su tali principi, tra le tante, Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass., Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16599; Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. Sez. U., 24 marzo 2017, n. 7667; Cass., Sez. U., 9 giugno 2017, n. 14430; Cass., Sez. U., 19 giugno 2018, n. 16159; Cass., Sez. U., 18 aprile 2018, n. 9558 e Cass., Sez. U., 31 dicembre 2018, n. 33679; Cass., 18 settembre 2019, n. 23216; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., Sez. T, 31 gennaio 2023, n. 2689; e da ultimo Cass., Sez. T., 29 luglio 2024, n. 21174).
Va poi aggiunto che il giudice del merito non deve dar conto di ogni argomento difensivo sviluppato dalla parte, non è tenuto cioè a discutere ogni singolo elemento o a argomentare sulla condivisibilità o confutazione di tutte le deduzioni difensive, essendo, invece, necessario e sufficiente, in base all’art. 132, secondo comma, num. 4, c.p.c., che esponga gli elementi in fatto e di diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo in tal modo ritenersi disattesi, per implicito, tutti gli argomenti non
espressamente esaminati, ma considerati subvalenti rispetto alle ragioni della decisione (cfr. Cass., Sez. T, 19 maggio 2024, n. 12732; Cass., Sez. VI/T, 2 febbraio 2022, n. 3108, che richiama Cass., Sez. II, 25 giugno 2020, n. 12652; Cass., Sez. I, 26 maggio 2016, n. 10937; Cass., Sez. VI, 17 maggio 2013, n. 12123 e anche Cass., Sez. I, 31 luglio 2017, n. 19011, Cass., Sez. I, 2 agosto 2016, n. 16056 e Cass., Sez. T., 24 giugno 2021, n. 18103).
Nella specie, la motivazione -per come sopra riportata sussiste e la valutazione circa la ritenuta inverosimiglianza di un così lungo periodo (circa dieci anni) di non redditività dei beni prima della loro vendita esprime, in realtà, un giudizio, che può ritenersi plausibile o meno, ma certamente non viziato sul piano della motivazione.
Con la terza censura l’istante ha lamentato, con riferimento al paradigma censorio di cui all’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 2, comma 1, d.l. n. 102/2013 e 53 Cost., per non aver la Commissione accertato l’esenzione dei beni -merce in questione, assumendo sul punto che la relativa dichiarazione non costituisce requisito necessario e che essa è sempre emendabile, avendo valore dichiarativo e non costitutivo.
3.1. Si tratta di doglianza priva di ogni fondamento.
L’art. 2 d.l. n. 102/2013 prevede l’esenzione dall’imposta municipale per i fabbricati costruiti e destinati dall’impresa costruttrice alla vendita, fintanto che permanga tale destinazione e non siano in ogni caso locati.
Ai sensi del comma 5bis dello stesso articolo «Ai fini dell’applicazione dei benefici di cui al presente articolo, il soggetto passivo presenta, a pena di decadenza entro il termine ordinario per la presentazione delle dichiarazioni di variazione relative
all’imposta municipale propria, apposita dichiarazione, utilizzando il modello ministeriale predisposto per la presentazione delle suddette dichiarazioni, con la quale attesta il possesso dei requisiti e indica gli identificativi catastali degli immobili ai quali il beneficio si applica. Con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze sono apportate al predetto modello le modifiche eventualmente necessarie per l’applicazione del presente comma».
Dalla lettura della disposizione normativa sopra indicata emerge, dunque, che condizione necessaria per l’ottenimento del beneficio fiscale in oggetto è l’obbligo dichiarativo; si tratta, invero, di un preciso e specifico onere formale, espressamente previsto a pena di decadenza.
L’effetto decadenziale stabilito dalla norma esclude ogni ipotesi di emendabilità della dichiarazione fiscale.
Nella fattispecie è pacifico che « la contribuente ometteva di dichiarare la natura di beni merce » (così a pagina n. 2 del ricorso), come espressamente riconosciuto dalla ricorrente, rendendo così compiuta e non più rimediabile la fattispecie decadenziale, soprattutto dopo la notifica dell’atto impositivo.
Va, dunque, dato seguito sul punto alla ribadita giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’omessa della dichiarazione, nei termini decadenziali previsti, comporta la non spettanza del beneficio in oggetto (cfr., anche da ultimo, Cass., Sez. T., 28 maggio 2024, n. 14890, che richiama Cass., Sez. VI/T., 6 ottobre 2020, n. 21465, Cass., Sez., VI/T, 17 febbraio 2022, n. 5190 e la giurisprudenza ivi citata).
Con la quarta ed ultima ragione di contestazione la società ha denunciato, sempre con riferimento al parametro dell’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 7 e 16 d.lgs.
n. 457/1997, per non aver accertato l’illegittimità dell’applicazione delle sanzioni, lamentando, sul punto, il difetto di motivazione.
4.1. Anche tale censura non ha alcun fondamento.
Questa Corte ha chiarito che «In tema di sanzioni amministrative tributarie, nel caso in cui la sanzione, collegata al tributo cui si riferisce, sia irrogata – ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 17 ( Irrogazione immediata ) -con atto contestuale all’avviso di accertamento o di rettifica, essa è da intendersi motivata per relationem alla pretesa fiscale che sia definita nei suoi elementi essenziali, sì da giustificare la sanzione per essa irrogata e contenuta nel medesimo atto» (così Cass., Sez. V., 4 maggio 2021, n. 11610, che richiama Cass. 5 agosto 2016, n. 16484, Cass. 1° agosto 2019, n. 20733, Cass. 18 febbraio 2020, n. 4070; da ultimo, Cass., Sez. T., 26 luglio 2024, n. 20999).
La misura fissa della sanzione applicata per il parziale versamento non rendeva poi esigibile alcuna motivazione sulla sua entità, in quanto normativamente stabilita.
La valutazione del Giudice regionale si è uniformata a tali principi, il che giustifica il rigetto del motivo.
4.2. Va solo aggiunto, a fronte del rilievo della ricorrente secondo il quale l’Amministrazione sarebbe « tenuta a dimostrare ed allegare quantomeno la coscienza e volontà dell’azione in termini di rimproverabilità sotto il profilo del dolo o quantomeno negligenza» (v. pagina n. 24 del ricorso), che in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5 applicando alla materia fiscale il principio generale sancito dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3 stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta, anche, la consapevolezza del contribuente, al quale deve potersi imputare un
comportamento quanto meno negligente, ancorché non necessariamente doloso. È, insomma, sufficiente una condotta cosciente e volontaria, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o di un intento fraudolento), atteso che la norma pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, gravandolo dell’onere di provare il contrario (cfr. Cass., 30 gennaio 2020, n. 2139; Cass., 15 maggio 2019, n. 12901; Cass., 13 settembre 2018, n. 22329; Cass., 17 marzo 2017, n. 6930, cui adde Cass., Sez. T., 28 marzo 2022, n. 9942 e, tra ultime, Cass., Sez. T., 29 ottobre 2024, n. 27934).
La pacifica sussistenza condotta volontaria nel parziale pagamento dell’imposta rendeva, dunque, esigibile, alla luce dei predetti principi, da parte della contribuente la dimostrazione di aver agito con la dovuta diligenza, profilo questo, in termini altrettanto pacifici, non allegato, né provato, essendosi la contribuente limitata a riferire del tutto genericamente che « per mero errore materiale ometteva di dichiarare la natura dei beni merce » (v. pagina n. 2 del ricorso).
Alla stregua delle riflessioni sopra svolte, il ricorso va, dunque, respinto.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate nella misura di cui al dispositivo.
Va, infine, dato atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte della ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso.
Condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in favore del Comune di Agrate Brianza nella misura di 2.000,00 € per competenze, oltre al rimborso forfettario ed accessori ed alla somma di 200,00 € per esborsi.
Dà atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento da parte della ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
Così deciso in Roma in data 27 novembre 2024.