Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32252 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32252 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14681/2016 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-resistente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. dell’Emilia Romagna -BOLOGNA n. 2830/2015 depositata il 18/12/2015. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Emerge dagli atti di causa (sentenza in epigrafe e ricorso per cassazione) che, con atto n. CODICE_FISCALE la D.P. di Bologna dell’Agenzia delle entrate contestava a RAGIONE_SOCIALE sanzione pecuniaria di euro 360.000 per IVA non contabilizzata ai sensi dell’art. 6, comma 8, D.Lgs. n. 471 del 1997.
1.1. Riferisce la sentenza in epigrafe che ‘il fatto che aveva originato l’atto impositivo era correlato al pagamento di n. 5 fatture emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE per un imponibile di euro 3.600.000 con IVA al 10%, importo riferito ai lavori di costruzione di un centro commerciale denominato White Park commissionati dalla contribuente RAGIONE_SOCIALE alla società appaltatrice RAGIONE_SOCIALE. L’Ufficio non rit che per la tipologia delle opere realizzate l’imponibile assoggettabile all’aliquota IVA agevolata del 10% e pertanto ha proceduto alla relativa contestazione’. In buona sostanza, a tenore dell’atto di contestazione riportato alla lettera ‘in parte qua’ nel ricorso (p. 4), ‘le prestazioni indicate nelle fatture emesse da ‘RAGIONE_SOCIALE dovevano essere associate ad aliquota 20%. RAGIONE_SOCIALE quindi, si è resa coresponsabile con ‘RAGIONE_SOCIALE dell’irregolare emissione delle fatture sopra citate. La mancata regolarizzazione di dette fatture, ai sensi del comma 8 dell’art. 6 D.Lgs. n. 471/97, determina l’irrogazione ai sensi dell’art. 16 del D.Lgs. 472/97 della sanzione amministrativa pari al 100% dell’imposta non indicata nei documenti, pari ad euro 360.000,00 ‘.
La contribuente proponeva ricorso, respinto dalla CTP di Bologna con sentenza n. 166/17/14 in data 27 ottobre 2014.
La contribuente proponeva appello, rigettato dalla CTR dell’Emilia Romagna con la sentenza in epigrafe, sulla base, essenzialmente, per quanto rileva ai fini del presente giudizio, della seguente motivazione:
2) Nullità dell’atto impugnato per difetto di motivazione
Al riguardo deve premettersi che la motivazione dell’atto positivo svolge una inderogabile funzione di garanzia . ‘atto in oggetto spiega con abbondanza di argomentazioni le ragioni che fondano la pretesa tributaria, ravvisata in estrema sintesi nella contabilizzazione di numero 5 fatture ad IVA agevolata del 10% anziché a quella ordinaria del 20%.
Puntuale e meticoloso è il percorso motivazionale .
Il refuso relativo alla indicazione della sanzione con il richiamo errato all’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 544/992 è superato nella parte espositiva dell’atto laddove è testualmente precisato che ‘la mancata regolarizzazione di dette fatture … determina l’irrogazione ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. 472/97 della sanzione amministrativa …’ .
Quanto infine al contestato difetto di motivazione in merito all’elemento soggettivo dell’illecito, posto che ‘in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, ai fini dell’affermazione di responsabilità del contribuente , occorre che l’azione omissione causativa della violazione sia volontaria, ossia compiuta con coscienza e volontà, e colpevole, ossia compiuta con dolo o negligenza, la prova dell’assenza di colpa grava sul contribuente, esclusa la rilevabilità d’ufficio di una presunta carenza del dell’elemento soggettivo, sotto il profilo che la mancanza assoluta di colpa.
La tipologia delle opere realizzate e determinazione dell’IVA da applicare
a tipologia delle opere realizzate (multisala con sei sale a gradinata, una sala -giochi, un casinò ), realizzate fuori dal centro abitato , non rientrano tra quelle previste alla Tabella A, parte
terza, punto 127 septies e punto 127 quinquies, allegata al DPR n. 633/72.
Né le stesse possono essere assimilate al mercato di quartiere ovvero ad attrezzature culturali, essendosi trattato nella specie di un centro commerciale che ha caratteristiche strutturali e di impatto ambientale del tutto diverse dal tradizionale mercato .
Peraltro, come esattamente rilevato nella sentenza impugnata, il Comune di Cento, nel rilasciare alla società ricorrente il permesso di costruire, sono stati computati oneri di urbanizzazione secondaria non soggetti a scomputo, presupposto questo per usufruire dell’IVA agevolata. D’altronde le opere sono state realizzate in un contesto extraurbano e dunque anche per tale ragione non possono essere considerate di urbanizzazione secondaria.
5) Neutralità fiscale
Quanto alla asserita neutralità fiscale dell’operazione, deve osservarsi che l’irregolarità fiscale delle fatture con un’aliquota IVA minore rispetto a quella dovuta ha determinato un versamento di imposta ‘sensibilmente’ inferiore, con correlativo danno per l’Erario.
Propone ricorso per cassazione la contribuente con due motivi; l’Agenzia delle entrate si costituisce ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza. La contribuente deposita ampia memoria telematica in data 28 ottobre 2024, mediante la quale insiste per l’accoglimento del ricorso.
Considerato che:
Primo motivo: ‘Nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 36 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 10, comma 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, degli artt. 3 e 5 del D.Lgs. 18 novembre 1997, n. 472, e dell’art. 6 del D.Lgs. 19 novembre 1997, n. 471, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.’.
1.1. ‘Con specifico motivo di ricorso la società eccepì sin dal primo grado l’illegittimità del provvedimento impugnato perché
emesso in assenza dei requisiti oggettivo e soggettivo della condotta asseritamente sanzionata (pag. da 2 a 9 del ricorso in CTP). Lo stesso motivo fu pedissequamente riproposto con l’appello alla CTR: ‘. ‘Il Giudice d’appello, quanto alla sussistenza o meno nella fattispecie del requisito oggettivo della condotta sanzionata (antigiuridicità), ha completamente taciuto omettendo di prendere posizione sul punto così incorrendo nel lamentato vizio che rende nulla la sentenza qui opposta’. ‘ ‘thema decidendum’ costituito, nel caso in esame, non solo dalla esistenza dell’elemento soggettivo , ma anche dalla realizzazione da parte del medesimo agente dell’elemento oggettivo ‘. ‘A ben vedere, ad identica conclusione si giungerebbe anche considerando quella espressa sul punto dalla CTR come motivazione meramente apparente perché anche quest’ultima, essendo insufficientemente data, equivale ad una omessa motivazione ‘. ‘na espressa e chiara pronuncia della CTR sul punto’ era ‘del tutto risolutiva in favore della contribuente’, dovendo essa prima verificare se la condotta rientrava nell’art. 6, comma 8, D.Lgs. n. 471 del 1997 e ‘solo successivamente’ occuparsi dell’elemento soggettivo. ‘La condotta che l’ufficio ha inteso sanzionare non corrisponde affatto a quella definita come antigiuridica dall’art. 6, comma 8, del D.Lgs. n. 471/1997’. ‘L’obbligo di regolarizzazione riguarda tuttavia soltanto i vizi evidenti, non potendosi estendere a casi, come quello oggetto di contestazione, in cui l’erronea fatturazione dipende dall’erronea interpretazione del rapporto sottostante’.
1.2. Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
Esso è inammissibile anzitutto perché deduce cumulativamente, sotto l’unitario paradigma del n. 4 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c. (che tuttavia non si attaglia affatto alla prospettata denuncia di violazioni di legge) censure, non solo eterogenee, ma logicamente incompatibili, quali sono quella di omessa pronuncia e ad un tempo
di assenza di motivazione per mera apparenza e, oltre, di violazione di legge: l’omessa pronuncia, infatti, non può generare alcuna apparenza motivazionale e ed una motivazione meramente apparente, a sua volta, siccome effettivamente inesistente, non costituire la fonte rappresentativa di alcuna violazione di legge.
Esso, inoltre, lo è laddove, incorrendo in violazione dei principi di precisione ed autosufficienza del ricorso, non riproduce affatto le ragioni di doglianza devolute al primo Giudice e riproduce solo sinteticamente e per breve stralcio quelle devolute al secondo Giudice (cfr. in part. p. 13 ric.). Quanto in particolare, alle prime, non sopperisce neppure la parte del ricorso dedicata allo svolgimento del processo, che si limita ad indicare tra i motivi del ricorso introduttivo l”infondatezza dell’atto sanzionatorio impugnato per assenza degli elementi oggettivo e soggettivo’, senza il conforto della benché minima citazione letterale.
Il rilievo, ben lungi dall’essere formalistico, manifesta una dimensione sostanziale, a misura che la sentenza impugnata, nella ricostruzione dello svolgimento del processo, afferma avere la contribuente proposto ‘opposizione’ (‘recte’, impugnazione) avverso l’atto di contestazione ‘contestando’ ‘la sussistenza dei presupposti di fatto per ritenere applicabile la disciplina più favore in materia di IVA, l’assenza di colpa perché l’applicazione dell’aliquota agevolata era è stat precedut da una indicazione in tal senso emessa dal Comune di Cento, la neutralità dell’operazione ‘. Solo in riferimento all’appello attesta la CTR che la contribuente aveva ‘eccepi’ ‘2) nfondatezza dell’atto impositivo per assenza dei presupposti oggettivi e soggettivi’, peraltro, subito in appresso, specificando: ‘sotto il primo profilo le opere realizzate rientrerebbero nella categoria dei mercati di quartiere , trattandosi di struttura destinata all’utilizzo da parte degli abitanti di una certa zona del centro abitato; con riferimento al secondo si sono sottolineati sia in
numerosi contatti con l’autorità comunale deponenti per una lettura della norma più favorevole alla prospettazione del contribuente, sia la circostanza che l’applicazione di una aliquota ridotta non ha provocato alcun danno erariale in quanto l’operazione si è svolta tra soggetti IVA e dunque non ha generato alcun vantaggio fiscale’.
A fronte di siffatto particolareggiato riassunto compiuto dalla CTR delle ragioni di doglianza rassegnate dalla contribuente in primo ed in secondo grado, il motivo del ricorso per cassazione in disamina omette di identificare con dovuta precisione testuale le effettive devoluzioni ai rispettivi Giudici di merito, segnatamente dimostrando di aver contestato la sussistenza dell’elemento oggettivo dell’illecito, in specie, ma non solo, dinanzi alla CTR, per non essere la contribuente tenuta alla regolarizzazione di cui all’art. 6, comma 8, D.Lgs. n. 471 del 1991, esulando il caso di un vizio evidente. Ciò è a valere, come si sottolineava, anche ove si facesse riferimento al solo grado d’appello, posto che la CTR riferisce bensì della contestazione dell’elemento oggettivo, rapportandola tuttavia specificamente al fatto che ‘le opere realizzate rientrerebbero nella categoria dei mercati di quartiere’.
Alla luce di quanto precede, pertanto, il motivo disattende il costante principio secondo cui, ‘nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio
rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del ‘fatto processuale’, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi’ (cfr., da ult., Sez. 2, n. 28072 del 14/10/2021, Rv. 662554 -01). Ciò tanto più in quanto ‘la parte che, in sede di ricorso per cassazione, deduce che il giudice di appello sarebbe incorso nella violazione dell’art. 112 c.p.c. per non essersi pronunciato su un motivo di appello o, comunque, su una conclusione formulata nell’atto di appello, è tenuta, ai fini dell’astratta idoneità del motivo ad individuare tale violazione, a precisare -a pena di inammissibilità -che il motivo o la conclusione sono stati mantenuti nel giudizio di appello fino al momento della precisazione delle conclusioni’ (Sez. 3, n. 41205 del 22/12/2021, Rv. 663494 -01).
Il motivo, ad ogni buon conto, è, altresì e comunque, infondato.
La CTR, infatti, ha inequivocabilmente ritenuto la sussistenza dell’elemento oggettivo, per la ‘contabilizzazione di numero cinque fatture assoggettate ad IVA agevolata al 10% anziché a quella ordinaria del 20%’, in difetto di dovuta regolarizzazione, come emerge nella parte in cui afferma che ‘il richiamo errato all’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 544/1992 è superato nella parte espositiva dell’atto’, ove si fa riferimento alla ‘mancata regolarizzazione di dette fatture’.
Ciò – unitamente all’insieme delle ragioni che, a termini del par. 2 della sentenza impugnata, sorreggono la ‘determinazione dell’IVA da applicare’ secondo l’aliquota ordinaria, tra cui, in particolare, la non assimilabilità delle opere al ‘mercato di quartiere’ – rende conto del fatto che la CTR, nel trattare dell’elemento soggetto, non
ha affatto pretermesso l’oggettivo, espressamente ritenendo questo e quindi quello, viepiù (differentemente da quando dedotto nel motivo) alla stregua di una motivazione effettiva sia graficamente che soprattutto contenutisticamente.
Secondo motivo: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 3, della L. 2 luglio 2000, n. 212, degli artt. 3 e 5 del D.Lgs. 18 novembre 1997, n. 472, nonché dell’art. 6 del D.Lgs. 18 novembre 1997, n. 471, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.’.
2.1. L’introduzione è identica a quella del motivo precedente: ‘Con specifico motivo di ricorso la società eccepì sin dal primo grado l’illegittimità del provvedimento impugnato perché è messo in assenza dei requisiti oggettivo e soggettivo della condotta asseritamente sanzionata (pag. da 2 a 9 del ricorso in CTP). Lo stesso motivo fu pedissequamente riproposto con l’appello alla CTR: ‘. ‘Dunque il primo e pure il secondo Giudice furono chiamati a verificare se, nell’emettere il provvedimento sanzionatorio qui opposto, l’Ufficio avesse individuato un fatto antigiuridico posto in essere con condotta colposa dalla società che rientrasse nella previsione sanzionatoria di cui all’art. 6, comma 8, ‘. In termini identici al motivo precedente, quello attualmente in disamina indi così riprende: ‘Correttamente applicando le norme non doveva sfuggire alla CTR che la condotta ascritta alla società dall’Ufficio non corrisponde affatto a quella definita come antigiuridica dall’art. 6, comma 8, del D.Lgs. n. 471/1997 ‘. ”obbligo di regolarizzazione riguarda soltanto i casi evidenti non potendosi estendere a casi, come quello oggetto di contestazione, in cui l’errata fatturazione dipende dalla erronea interpretazione del rapporto sottostante ‘.
2.2. Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
È inammissibile in quanto – come il precedente, alla disamina del quale pertanto si rinvia -difetta di precisione ed autosufficienza.
È comunque infondato.
Ricorre bensì nella giurisprudenza di legittimità il principio enunciato da Sez. 5, n. 26183 del 12/12/2014, Rv. 633620 -01 – a termini del quale, in tema di IVA, l’art. 6, comma 8, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, in base al quale il cessionario di un bene o il committente di un servizio è tenuto a “regolarizzare” l’operazione imponibile posta in essere dal cedente o dal prestatore senza emissione di fattura o con fattura irregolare, implica il solo obbligo di verificarne la regolarità formale, con riferimento al dato cronologico della ricezione della fattura ‘nei termini di legge’ ed alla sussistenza dei suoi requisiti essenziali, individuati dall’art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e non esige invece il controllo sostanziale della corretta qualificazione fiscale dell’operazione, come si desume dalla circostanza che l’esenzione del cessionario/committente dall’irrogazione della sanzione pecuniaria è subordinata al pagamento della ‘maggiore imposta eventualmente dovuta’ proprio in base ai dati risultanti dallo stesso documento (aliquota, ammontare dell’imposta e dell’imponibile) e non a quello dell’intera imposta dovuta in base alla corretta valutazione della qualificazione fiscale dell’operazione.
Tale principio riposa sulla ‘ratio’ (siccome argomentata in motivazione da Sez. 5, n. 1841 del 18/02/2000, Rv. 534056 -01) che l’inclusione, fra i compiti del cessionario o committente, di un apprezzamento critico, su quanto l’emittente di fattura completa dichiari in ordine alla non imponibilità dell’operazione, trasformerebbe l’obbligato in rivalsa in un collaboratore con supplenza in funzioni di esclusiva pertinenza dell’Ufficio finanziario , introducendo una sorta di accertamento ‘privato’ in rettifica della dichiarazione del debitore d’imposta. Una dilatazione delle incombenze in discorso non sarebbe del resto coerente con il contestuale obbligo del soggetto tenuto alla regolarizzazione della fattura altrui di pagare l’imposta non versata o
versata in misura insufficiente. La tesi porterebbe ad esigere quel versamento prima che l’Ufficio abbia controllato ed eventualmente rettificato la suddetta dichiarazione di non tassabilità dell’operazione al cessionario o committente, solo perché debitore ‘finale’ in esito alla rivalsa, una ‘solutio’ di tipo anticipatorio e cautelativo rispetto a credito d’imposta non ancora esercitato .
Siffatta ‘ratio’, tuttavia, presuppone che il cessionario/committente sia ‘ passivo ‘ dinanzi alla -ossia, in definitiva, subisca la – disciplina fiscale dell’operazione individuata in autonomia come applicabile dal cedente/prestatore, in tal caso non potendo il primo trasformarsi, anticipatamente e sostitutivamente rispetto all’Autorità fiscale, in controllore del secondo. Nel caso in cui, invece, il cessionario/committente di per sé possieda elementi valutativi ulteriori rispetto alla fattura , pertinenti alla sua stessa sfera imprenditoriale in funzione dei rapporti contrattuali con il cedente/prestatore, il suo apprezzamento critico non può che elevarsi di conseguenza: donde il generale obbligo di verifica della regolarità (solo) formale della fattura ben può evolvere anche -in ragione e nei limiti di detti elementi -nell’attingimento del profilo di coerenza estrinseca della qualificazione fiscale dell’operazione.
In effetti, una tale prospettazione è ‘incidenter’ valorizzata in motivazione da Sez. 5, n. 24133 del 09/09/2024, Rv. 672205 -01, laddove leggesi che ‘l’espresso riferimento di Sez. 5, n. 26183 del 2014, ad una situazione di pacifico assoggettamento dell’operazione ad IVA porta ad escludere, ‘a contrario’, che il ‘cessionario/committente’ sia tenuto a compiere approfondimenti di merito, tanto più se impingenti sulla sfera del ‘cedente/prestatore”. Coerentemente, il principio di diritto estratto da Sez. 5, n. 24133 del 2024, afferma che ‘ escluso che sia altresì tenuto a compiere
approfondimenti di merito per individuare la corretta disciplina applicabile, giacché ciò si risolverebbe nell’esercizio, da parte di un soggetto privato, di funzioni investigative e valutative di pertinenza tipicamente dell’Amministrazione in sede di rettifica della dichiarazione del cedente/prestatore, quale unico ed effettivo debitore d’imposta’.
Ora, riprendendo le fila del discorso, valga rimarcare che, nel caso di cessionario/committente in possesso di elementi valutativi ulteriori rispetto alla fattura, in continuità con la giurisprudenza di questa Suprema Corte, nessun obbligo di ‘approfondimento’, alla luce delle conclusioni dianzi attinte, gli viene addossato, seguitando egli ad esser tenuto, come anticipato, ad mera verifica di conformità della fattura, quantunque non (più) solo intrinseca, alla luce cioè esclusivamente del suo quadro letterale, ma anche estrinseca, alla luce altresì di quegli elementi documentali che gli sono noti da cui discende la piana applicabilità di un determinato regime dell’IVA.
Tale è proprio il caso di specie, in cui, non a caso, a tenore dell’atto di contestazione (come detto riprodotto in ricorso), ‘RAGIONE_SOCIALE si è resa coresponsabile con ‘RAGIONE_SOCIALE‘. Ed invero l’emittente delle fatture, RAGIONE_SOCIALE agiva nella qualità di appaltatore in riferimento a ‘lavori di costruzione di un centro commerciale denominato White Park commissionati dalla contribuente’. Osserva al riguardo la CTR che – di per sé non corrispondente l’IVA agevolata a natura ed ubicazione delle opere – il Comune, nel concedere a quest’ultima il permesso di costruire, aveva computato ‘oneri di urbanizzazione secondaria non soggetti a scomputo, presupposto questo per usufruire dell’IVA agevolata’. Donde la contribuente direttamente, alla stregua di un motivato accertamento in fatto della CTR, possedeva le informazioni necessarie per individuare, sulla base di un puro e semplice riscontro documentale, il corretto
regime dell’IVA, derivandone che era dalla medesima esigibile la rettifica.
In definitiva, il ricorso è da integralmente rigettarsi, con le statuizioni consequenziali enunciate in dispositivo, mentre nessuna statuizione va assunta sulle spese processuali, non avendo l’Amministrazione intimata svolto difese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 7 novembre 2024.