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Obbligo di regolarizzazione fatture: i limiti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 32252/2024, ha chiarito i contorni dell’obbligo di regolarizzazione fatture a carico del committente. Nel caso specifico, una società era stata sanzionata per non aver corretto delle fatture ricevute con IVA agevolata per la costruzione di un centro commerciale, opera non rientrante nel beneficio. La Corte ha stabilito che, sebbene il committente non debba svolgere complesse indagini fiscali, è tenuto a un controllo di coerenza sostanziale quando possiede documenti, come il permesso di costruire, che rendono palese l’errata applicazione dell’aliquota IVA. Il ricorso della società è stato quindi respinto, confermando la sanzione.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Obbligo di regolarizzazione fatture: i limiti e le responsabilità del cliente

L’obbligo di regolarizzazione fatture rappresenta un caposaldo del sistema IVA, ponendo in capo al cliente un ruolo di controllo per prevenire evasioni e irregolarità. Ma fin dove si spinge questa responsabilità? Deve il committente trasformarsi in un ispettore fiscale per ogni fattura ricevuta? La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 32252/2024, offre un importante chiarimento, tracciando una linea di demarcazione tra il controllo puramente formale e una verifica di coerenza sostanziale basata sulla documentazione già in possesso del contribuente.

I fatti del caso: una sanzione per IVA agevolata

Il caso trae origine da un atto di contestazione dell’Amministrazione Finanziaria nei confronti di una società a responsabilità limitata. L’ente impositore aveva irrogato una sanzione pecuniaria di 360.000 euro per la mancata regolarizzazione di cinque fatture relative ai lavori di costruzione di un centro commerciale. La società appaltatrice aveva emesso tali fatture applicando l’aliquota IVA agevolata del 10%, ma secondo l’Amministrazione, la tipologia delle opere (multisala, sala giochi, casinò) e la loro ubicazione extraurbana non consentivano di beneficiare del regime di favore, rendendo dovuta l’aliquota ordinaria del 20%. Di conseguenza, la società committente è stata ritenuta corresponsabile per non aver proceduto alla regolarizzazione prevista dall’art. 6, comma 8, del D.Lgs. n. 471/1997.

Il percorso giudiziario e le doglianze della società

La società ha impugnato l’atto sanzionatorio, ma i suoi ricorsi sono stati respinti sia in primo grado dalla Commissione Tributaria Provinciale sia in appello dalla Commissione Tributaria Regionale. Giunta in Cassazione, la ricorrente ha lamentato principalmente la violazione di legge e il difetto di motivazione delle sentenze precedenti. Sosteneva che l’obbligo di regolarizzazione fatture dovesse limitarsi ai soli vizi evidenti e formali, senza estendersi a complesse valutazioni sull’interpretazione del rapporto sottostante, come la corretta qualificazione fiscale di un’opera edilizia. Secondo la sua tesi, non sussistevano né l’elemento oggettivo (l’antigiuridicità della condotta) né quello soggettivo (la colpa) per giustificare la sanzione, poiché l’errore derivava da una valutazione interpretativa dell’appaltatore.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, fornendo un’interpretazione evolutiva dell’obbligo di regolarizzazione fatture. Gli Ermellini partono dal principio consolidato secondo cui il cliente è tenuto, di norma, a una verifica della regolarità formale della fattura, senza dover effettuare un controllo sostanziale sulla corretta qualificazione fiscale dell’operazione, che spetta primariamente all’emittente.

Tuttavia, la Corte introduce una distinzione cruciale. Questo principio vale quando il cliente è ‘passivo’, ovvero subisce la disciplina fiscale scelta dal fornitore senza possedere elementi aggiuntivi per valutarla. La situazione cambia radicalmente quando il cliente, come nel caso di specie, possiede elementi valutativi ulteriori, pertinenti alla sua sfera imprenditoriale e ai rapporti contrattuali, che gli consentono di apprezzare la coerenza della qualificazione fiscale.

Nel caso specifico, la società committente non era un soggetto ignaro. Era lei ad aver commissionato i lavori per il centro commerciale e, soprattutto, era in possesso del permesso di costruire rilasciato dal Comune. Proprio in tale permesso erano specificati ‘oneri di urbanizzazione secondaria non soggetti a scomputo’, una condizione che, secondo la CTR, era un presupposto incompatibile con l’applicazione dell’IVA agevolata. Pertanto, la società possedeva direttamente le informazioni documentali necessarie per individuare, con un semplice riscontro, l’errore nell’applicazione dell’aliquota. Il suo obbligo, quindi, non era più limitato a un controllo formale, ma si estendeva a una verifica di ‘coerenza estrinseca’ tra la fattura e la documentazione in suo possesso. Non era richiesto un ‘approfondimento’ di tipo investigativo, ma un mero e palese riscontro documentale che avrebbe dovuto portarla a rettificare l’imposta.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte Suprema ha stabilito che la responsabilità del cliente nell’obbligo di regolarizzazione fatture non è fissa, ma si modula in base alle informazioni concretamente a sua disposizione. Se il cliente possiede documenti che rendono palese e di immediata evidenza l’irregolarità della fattura (come un’aliquota IVA palesemente errata alla luce del permesso di costruire), non può rimanere inerte. In questi casi, il suo dovere di controllo si eleva da una mera verifica formale a una valutazione di coerenza sostanziale, la cui omissione legittima l’irrogazione della sanzione per mancata regolarizzazione.

Qual è l’estensione dell’obbligo di regolarizzazione di una fattura per il cliente?
L’obbligo del cliente si limita generalmente a una verifica della regolarità formale della fattura. Tuttavia, tale obbligo si estende a un controllo di coerenza sostanziale quando il cliente possiede elementi documentali, a lui noti e pertinenti alla sua sfera, che rendono palese l’errata qualificazione fiscale dell’operazione (ad esempio, un’aliquota IVA errata).

Quando un cliente è sanzionabile per un’errata aliquota IVA applicata dal fornitore?
Il cliente è sanzionabile se non procede alla regolarizzazione della fattura quando l’errore sull’aliquota è chiaramente individuabile sulla base di un semplice riscontro documentale in suo possesso. Nel caso di specie, il permesso di costruire conteneva informazioni sufficienti a far comprendere che l’IVA agevolata non era applicabile.

Il dovere di regolarizzazione impone al cliente di svolgere indagini fiscali complesse?
No, la Corte di Cassazione chiarisce che al cliente non è richiesto di svolgere ‘approfondimenti’ o funzioni investigative tipiche dell’Amministrazione Finanziaria. La sua responsabilità sorge solo quando l’irregolarità è palese e desumibile da documenti già in suo possesso, attraverso un puro e semplice riscontro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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