Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10206 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10206 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 17/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 2992/2016, proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1497/03/2015 della Commissione tributaria regionale della Puglia, depositata il 29 giugno 2015; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 marzo 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME impugnò innanzi alla C.T.P. di Bari, con distinti ricorsi poi riuniti, gli avvisi di accertamento con i quali l’Amministrazione finanziaria aveva rideterminato i suoi redditi ai fini Irap, Irpef e Iva per gli anni 2006, 2007 e 2008.
La pretesa impositiva traeva origine da un processo verbale di contestazione redatto dalla Guardia di finanza all’esito del rilievo dell’omessa presentazione della dichiarazione annuale da parte del contribuente, donde erano scaturite indagini su movimentazioni bancarie a lui riconducibili.
La Commissione adìta respinse l’impugnazione.
Il successivo appello dell’COGNOME fu parzialmente accolto con la sentenza indicata in epigrafe.
I giudici regionali disattesero tutti i rilievi del contribuente, rilevando tuttavia che medio tempore era intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, che aveva dichiarato illegittima la presunzione di maggior reddito fondata sui prelievi bancari operati dai professionisti intellettuali; disposero pertanto che il credito erariale fosse rideterminato al netto degli importi in tal modo accertati, ponendo il relativo onere a carico dell’Amministrazione.
La sentenza d’appello è stata impugnata dal contribuente con ricorso per cassazione affidato a sette motivi. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000, lamentando che i giudici d’appello avrebbero ritenuto legittimo l’avviso concernente l’anno di imposta 2006 quantunque emesso prima che fossero trascorsi sessanta giorni dalla redazione del p.v.c.
Osserva, in particolare, che la sentenza impugnata avrebbe errato nel ritenere idonea la giustificazione addotta sul punto dall’ Amministrazione -che aveva giustificato il mancato rispetto del termine con il prossimo verificarsi della decadenza di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 e con la rilevanza dell’importo recuperato a tassazione e delle sanzioni -trattandosi di causa a lei stessa imputabile.
1.1. La censura è inammissibile per come formulata.
Il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 rappresenta una garanzia per il contribuente e, laddove non rispettato, comporta -nel concorso con gli altri presupposti di legge -la nullità dell’avviso di accertamento.
Ai fini della validità dell’atto impositivo anche in caso di mancato rispetto del termine, la norma indicata, nel testo vigente all’epoca dei fatti, faceva salvi i «casi di particolare e motivata urgenza»; a tale riguardo, la costante giurisprudenza di questa Corte ha richiesto la sussistenza di elementi idonei a generare un pericolo di compromissione del credito erariale, la cui dimostrazione spetta all’amministrazione finanziaria e che, in caso di contestazione da parte del contribuente, vanno vagliati da ll’organo giudicante secondo un giudizio prognostico ex ante (così, fra le altre, Cass. n. 29987/2022).
1.2. Ed invero, a tale riguardo l’Amministrazione aveva indicato come evidenzia lo stesso contribuente riportando stralci dell’avviso impugnato (pagg. 12 e 13 del ricorso) -l’approssimarsi della scadenza
del termine ex art. 43 del d.P.R. n. 600/1973 e «la rilevanza degli elementi recuperati a tassazione con il presente atto e delle sanzioni irrogate».
Tali circostanze -che non necessitavano di riscontri probatori, perché consistevano in dati materiali e obiettivi -sono state ritenute idonee dai giudici d’appello a giustificare il mancato rispetto del termine dilatorio.
1.3. Nel criticare tale statuizione, il ricorrente si è limitato a contestare la ragione consistente nell’approssimarsi del termine di decadenza, ma nulla ha allegato quanto all’ulteriore circostanza rappresentata dall’Ufficio, relativa all’entità del credito e delle sanzioni .
Il motivo, dunque, non scalfisce l’intera ratio decidendi della sentenza impugnata e, per tale ragione, non supera il vaglio di ammissibilità.
Il secondo mezzo denunzia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Secondo il ricorrente, la C.T.R. avrebbe omesso di pronunziarsi sul suo motivo di appello con il quale deduceva la nullità degli avvisi relativi agli anni di imposta 2007 e 2008, in quanto ottenuti attraverso indagini finanziarie svolte in mancanza di preventiva autorizzazione del Comandante di zona della Guardia di finanza o del Direttore regionale dell’Agenzia delle entrate.
2.1. Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha infatti reso compiuta motivazione sul punto (pag. 8), dando esplicitamente atto dell’utilizzo, da parte degli agenti accertatori, di elementi acquisiti dalla Guardia di Finanza nel contesto di attività di polizia giudiziaria autorizzate dal Pubblico ministero; tali ultimi , com’è noto, sono pienamente utilizzabili in sede tributaria, anche ove, in ipotesi, difetti la relativa autorizzazione, che
è posta a garanzia delle indagini penali (v. ad es. Cass. n. 15994/2019; Cass. n. 22788/2017).
Non vi è stata, pertanto, alcuna omessa pronunzia in relazione al corrispondente motivo di gravame.
Anche il terzo motivo denunzia nullità della sentenza in relazione all’art. 112 cod. proc. civ.
Ad avviso del ricorrente, in particolare, la C.T.R. avrebbe omesso di pronunziarsi sul motivo di gravame concernente l’ invalidità degli stessi avvisi di cui alla precedente censura, conseguente alla mancata prova, da parte del l’Ufficio , della riferibilità a sé dei conti correnti intestati ai suoi genitori e fatti oggetto di indagine.
3.1. Anche tale motivo è inammissibile per come formulato.
Questa Corte ha più volte affermato che è configurabile la decisione implicita di una questione connessa a una prospettata tesi difensiva laddove questa risulti superata, benché non espressamente trattata, dall ‘ incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logicogiuridico, la sua irrilevanza o infondatezza; in questo caso, la reiezione implicita della tesi difensiva «è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività» (così Cass. n. 12131/2023; nello stesso senso si vedano, in precedenza e fra le altre, Cass. n. 24953/2020; Cass. n. 7406/2014).
3.2. La sentenza impugnata, nel decidere sui motivi di gravame concernenti la possibile invalidità degli atti impositivi per ragioni
inerenti alle verifiche svolte, ha espressamente condiviso gli accertamenti svolti sul punto dai giudici di primo grado, discostandosene solo in merito all’utilizzabilità dei prelevamenti su conto corrente nei confronti dei lavoratori autonomi, oggetto della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014.
Così statuendo, la C.T.R. ha evidentemente reso una decisione implicita di rigetto delle doglianze del contribuente concernenti l’accertamento sulle movimentazioni bancarie, che quest’ultimo avrebbe dunque dovuto censurare per ragioni diverse da quella dedotta.
Con il quarto motivo il ricorrente denunzia un ulteriore profilo di nullità della sentenza, dolendosi del fatto che i giudici d’appello avrebbero omesso di specificare le ragioni per le quali avevano ritenuto di condividere la sentenza di primo grado in punto al rilievo di tardività della documentazione da lui prodotta a confutazione delle presunzioni invocate dall’Ufficio.
Il quinto motivo, riferito alla medesima circostanza, denunzia violazione dell’art. 32, comma quarto, del d.P.R. n. 600/1973 , per il caso in cui si volesse ritenere che, sul punto, i giudici d’appello abbiano reso una decisione implicita.
Il sesto motivo denunzia nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.
La censura è riferita alle due che precedono; il ricorrente assume, infatti che, omettendo l’esame della documentazione da lui prodotta, la C.T.R. sarebbe anche contravvenuta all’invocata norma processuale, che fa obbligo al giudice di statuire in base alle prove proposte dalle parti.
Infine, con il settimo motivo il ricorrente denunzia nuovamente la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.,
dolendosi del fatto che la C.T.R. non abbia statuito sul motivo di appello con il quale deduceva l’invalidità degli avvisi di accertamento per aver l’Ufficio disconosciuto il valore probatorio di due scritture private da lui prodotte, idonee a giustificare la movimentazione bancaria contestata perché dimostravano che essa ultima era riferibile ad operazioni estranee alla sua attività professionale.
7.1. Il quarto e il quinto motivo, meritevoli di scrutinio congiunto per la loro connessione, sono fondati.
Invero, in sede di appello il contribuente aveva formulato una doglianza (riportata alle pagg. 28-30 del ricorso) con la quale contestava la sentenza di primo grado nella parte che affermava l’inutilizzabilità dei documenti da lui invocati a superamento della presunzione richiamata dall’Ufficio, ritenendoli tardivamente prodotti.
Sul motivo in questione, la C.T.R. ha così statuito: « i giudici di prime cure hanno scrupolosamente scandagliato la documentazione esibita d’Ufficio dal contribuente, dettagliandone, per ogni anno di imposta, gli importi, accogliendo in parte le eccezioni proposte dallo stesso, con la motivazione ivi riportat a, alla quale l’appellante in questo giudizio d’appello non ha contrapposto significative contestazioni ».
7.2. Siffatta argomentazione omette, all’evidenza, di considerare il contenuto dello specifico motivo di gravame, risolvendosi in un’asserzione apodittica e perciò inidonea ad integrare il ‘minimo costituzionale’ prescritto dall’art. 132 cod. proc. civ.
I giudici d’appello, infatti, non hanno minimamente illustrato le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, né hanno chiarito le ragioni per le quali sono pervenuti alla determinazione che hanno espresso.
7.3. Né, per vero, appare sufficiente il richiamo alla pronunzia di primo grado, poiché la stessa è stata oggetto di specifica censura, da parte del ricorrente, che ne ha dedotto il contrasto con l’art. 32, comma primo, num. 2), del d.P.R. n. 600/1973, e la sentenza impugnata ha totalmente omesso di pronunziarsi su tale specifico profilo di doglianza.
Le censure meritano dunque accoglimento.
7.4. In tale statuizione resta assorbito l’esame del sesto mezzo, che attiene al medesimo capo della decisione, al quale rivolge critiche sotto altri profili, e quello del settimo, che ha ad oggetto alcuni soltanto dei documenti prodotti dal ricorrente a confutazione dell’accertamento -le scritture private che consentirebbero di ricondurre la documentazione bancaria a operazioni estranee alla sua attività professionale, disconosciute dall’Ufficio e rispetto ai quali la sentenza impugnata non svolge alcuna considerazione, se non l’apodittico rilievo del quale si è già dato conto.
8. In conclusione, il ricorso va accolto in relazione al quarto e al quinto motivo, con rigetto dei primi tre ed assorbimento dei restanti.
La sentenza impugnata è cassata con rinvio al giudice a quo il quale, in relazione al rilevato omesso esame, procederà al riesame della vicenda e alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso in relazione al quarto e al quinto motivo, rigettati i primi tre e assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e rinvia, in relazione ai motivi accolti, alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 20 marzo 2025.