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Obbligazione doganale: responsabilità e prova

Una società è stata coinvolta in un caso di importazione con dazi e IVA evasi a causa di documenti falsi. Le corti di merito l’avevano assolta, ritenendo non provata la sua consapevolezza. La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione, stabilendo che il giudice inferiore aveva ignorato prove cruciali che indicavano un coinvolgimento della società. La sentenza chiarisce che la responsabilità per l’obbligazione doganale si estende a chiunque fornisca dati errati, se era o doveva essere a conoscenza della falsità, e che la consapevolezza può essere provata anche tramite indizi.

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Pubblicato il 25 luglio 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Obbligazione Doganale: Chi Paga se i Dati in Dogana Sono Falsi?

Quando si importa merce, la corretta dichiarazione del suo valore è fondamentale per calcolare dazi e IVA. Ma cosa succede se la dichiarazione è falsa e la catena di importazione coinvolge più intermediari? Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce sulla vasta portata della responsabilità per l’obbligazione doganale, sottolineando che non ci si può nascondere dietro una presunta ignoranza, specialmente quando gli indizi di irregolarità sono evidenti. Questo caso analizza la responsabilità di una società che, pur non avendo presentato direttamente la dichiarazione, aveva fornito la documentazione poi risultata errata.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore moda si trovava al centro di una complessa operazione di importazione di calzature e abbigliamento dalla Cina. L’Agenzia delle Dogane, a seguito di controlli, scopriva che il valore dichiarato della merce era significativamente inferiore a quello reale, grazie a fatture falsificate. Di conseguenza, l’Agenzia emetteva un avviso di accertamento per recuperare i maggiori dazi e l’IVA, ritenendo la società responsabile in solido.

La catena di intermediazione era particolarmente articolata: la società aveva incaricato un’altra azienda, la quale a sua volta aveva affidato le operazioni a uno spedizioniere doganale. Quest’ultimo aveva presentato la dichiarazione doganale errata. La società si difendeva sostenendo la propria totale estraneità e inconsapevolezza della frode. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale le davano ragione, affermando che l’Agenzia non aveva fornito prove sufficienti della sua consapevolezza.

La Decisione della Corte di Cassazione sull’obbligazione doganale

L’Agenzia delle Dogane ricorreva in Cassazione, lamentando l’errata applicazione delle norme comunitarie e una motivazione insufficiente da parte dei giudici di merito. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando la sentenza precedente e rinviando il caso alla Commissione Tributaria Regionale per un nuovo esame.

Secondo la Corte, il giudice di secondo grado ha commesso un grave errore nel non considerare una serie di elementi fattuali decisivi che, nel loro insieme, indicavano un quadro di consapevolezza o, quanto meno, di colpevole negligenza da parte della società.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha basato la sua decisione su diversi pilastri argomentativi, criticando aspramente l’approccio superficiale della corte territoriale.

In primo luogo, è stata sottolineata l’errata applicazione dell’articolo 201 del Codice Doganale Comunitario. Questa norma stabilisce che l’obbligazione doganale sorge al momento dell’accettazione di una dichiarazione. Se tale dichiarazione contiene dati errati, la responsabilità non ricade solo sul dichiarante, ma si estende anche a “le persone che hanno fornito detti dati necessari alla stesura della dichiarazione, e che erano o avrebbero dovuto ragionevolmente essere a conoscenza della loro erroneità”.

I giudici di legittimità hanno ritenuto la motivazione della sentenza d’appello “gravemente omissiva” perché non aveva valutato elementi cruciali:
1. Discrepanze documentali: Sul certificato di origine della merce compariva il nome della società come destinatario finale, mentre sulle fatture falsificate figurava un altro soggetto. Questa incongruenza avrebbe dovuto insospettire un operatore diligente.
2. Coinvolgimento diretto: Una filiale della società, gestita da un “institore” (un manager con pieni poteri), era stata oggetto di un’indagine penale collegata ai medesimi fatti. Presso la sede della filiale erano stati rinvenuti timbri e documenti in bianco usati per le falsificazioni. L’operato di un dirigente di tale livello è direttamente imputabile all’azienda.
3. Anomalia della catena di rappresentanza: La complessa e stratificata catena di incarichi per arrivare allo spedizioniere doganale, in assenza di una procura diretta e chiara, rappresentava di per sé un’anomalia che meritava un’attenta valutazione.

La Corte ha chiarito che la consapevolezza non deve essere provata con una confessione, ma può emergere da un insieme di indizi gravi, precisi e concordanti, che la corte di merito aveva il dovere di esaminare.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per tutte le aziende coinvolte in catene di approvvigionamento internazionali. La responsabilità per l’obbligazione doganale è ampia e non si ferma a chi materialmente compila la dichiarazione. Ogni soggetto della filiera ha un dovere di diligenza e controllo sulla documentazione che fornisce o utilizza. Ignorare segnali di allarme o affidarsi a catene di intermediari poco trasparenti può comportare una responsabilità diretta per il pagamento di dazi e sanzioni. La Corte stabilisce che, per liberarsi da responsabilità, non basta affermare di non sapere, ma bisogna dimostrare di non aver potuto ragionevolmente sapere, un onere della prova ben più gravoso.

Chi è responsabile per l’obbligazione doganale se la dichiarazione si basa su dati falsi?
Secondo la sentenza, la responsabilità ricade sul dichiarante (diretto o indiretto) e può estendersi anche alle persone che hanno fornito i dati necessari per la dichiarazione, se erano o avrebbero dovuto ragionevolmente essere a conoscenza della loro erroneità (art. 201, comma 3, CDC).

Una società può essere ritenuta responsabile per le irregolarità commesse da un intermediario nella catena di importazione?
Sì. Se la società ha fornito la documentazione o ha partecipato, anche indirettamente, alla preparazione dei dati errati, può essere considerata debitrice. La condotta di un suo dipendente o dirigente con poteri di rappresentanza (come un institore) è direttamente attribuibile alla società.

Come si determina se una società ‘doveva ragionevolmente sapere’ dell’irregolarità nella dichiarazione doganale?
La consapevolezza non richiede una prova diretta, ma può essere dedotta da un insieme di elementi indiziari. La sentenza evidenzia che la corte deve valutare tutte le circostanze, come discrepanze nei documenti, il coinvolgimento di filiali o dipendenti in indagini penali correlate e la presenza di una catena di rappresentanza anomala e non trasparente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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