Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11430 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11430 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , ed RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore, rappresentate e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato;
– ricorrente
–
contro
NOME COGNOME,
– intimato
–
Avverso la sentenza della C.G.T. di 2^ grado della SiciliaCaltanissetta, n. 1815/23 depositata il 23 febbraio 2023.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La presente controversia ha ad oggetto una cartella di pagamento emessa dal Concessionario della Riscossione, a seguito del mancato versamento delle somme risultanti dall’atto di definizione n. TYQA4C1000067 (relativo all’accertamento n. TYQ04C101522, per l’anno d’imposta 2008) sottoscritto dall’odierno intimato, nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE. In particolare, il predetto atto si
NULLITA’ SENTENZA
perfezionava con il pagamento della prima rata, a cui non faceva seguito, però, alcun altro versamento. All’omesso versamento seguiva l’iscrizione a ruolo nei confronti della SSD Pallavolo Gela 2010 e dei soggetti coobbligati. La conseguente cartella di pagamento veniva notificata in data 16 giugno 2016 alla RAGIONE_SOCIALE, la quale non impugnava la cartella. La cartella intestata al COGNOME, in qualità di coobbligato ai sensi dell’art. 38 c.c., veniva invece notificata a quest’ultimo in data 24 aprile 2017. Con ricorso dinanzi alla CTP di Caltanissetta quest’ultimo impugnava la cartella. La CTP di Caltanissetta, con sentenza n. 1137/1/2018, accoglieva il ricorso. Proponeva appello l’Ufficio denunciando tra l’altro che il collegio giudicante di primo grado risultava composto da NOME COGNOMEPresidente), COGNOME NOME COGNOMERelatore) e COGNOME Renato (Giudice), mentre la sentenza veniva invece sottoscritta, nella qualità di Presidente, da NOME COGNOME. La C.G.T. di 2^ grado rigettava il gravame erariale, ritenendo fra l’altro che non trovasse riscontro quanto allegato in ordine alla nullità della sentenza poiché l’Ufficio non avrebbe prodotto e documentato nulla a sostegno di tale tesi.
2.Ricorre così in cassazione l’Agenzia della Riscossione, affidandosi a quattro motivi, mentre il contribuente è rimasto intimato.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo si deduce ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 132 e 161 c.p.c. (art. 360, n. 4, c.p.c.)’, di fatto ritenendosi affetta la pronuncia da travisamento della prova posto che la difformità fra il collegio ed il sottoscrittore della sentenza emergeva dallo stesso testo della pronuncia.
1.1. Il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione
per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, cod. proc. civ., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, cod. proc. civ., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale (Cass. SSUU 5792/2024).
Nella specie non ricorre, e neppure è prospettato ricorrere, tale fattispecie, in quanto non risulta da parte del giudice d’appello una lettura del fatto probatorio che rifletta quella fattane da una parte, ma semplicemente la conclusione del difetto di prova in ordine all’error in procedendo allegato dalla difesa erariale.
Peraltro, la Corte di cassazione, allorquando debba accertare se il giudice di merito sia incorso in “error in procedendo” rilevante ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ. (Cass. 20181/2019), è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa.
Orbene nella specie appare di palmare evidenza, dal mero esame della sentenza di primo grado, che mentre il collegio è indicato come composto da NOME COGNOME (Presidente), COGNOME NOME (Relatore) e COGNOME Renato (Giudice), la firma del presidente è a chiare lettere quella di ‘NOME COGNOME‘.
La giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente affermato che la decisione deliberata in camera di consiglio da un collegio diverso, in uno o più membri, rispetto a quello che ha assistito alla discussione, in violazione della previsione dell’art. 276 cod. proc. civ., è causa di nullità della sentenza, riconducibile al vizio di costituzione del giudice ai sensi dell’art. 158 cod. proc. civ. (Cass. n. 9369/2012; n. 15629/2005), che appunto qualifica tale vizio come causa di mera nullità.
Tale vizio, in particolare, non configura l’ulteriore e ben più grave fattispecie in cui sia denunciato il difetto assoluto di sottoscrizione, contemplato dall’art. 161, secondo comma, cod. proc. civ., che solo consente l’impugnazione anche oltre i termini decadenziali prescritti dal primo comma e comporta, ai sensi dell’art. 354 cod. proc. civ., la rimessione in primo grado versandosi in ipotesi di inesistenza della sentenza.
Infatti, la sottoscrizione del provvedimento collegiale da parte di un presidente il cui nominativo sia differente da quello indicato nell’epigrafe della sentenza, quando comunque coincida quella del relatore-estensore, non si pone alla stregua della mancanza di sottoscrizione, ma di sottoscrizione insufficiente e non mancante la cui sola ricorrenza comporta la non riconducibilità dell’atto al giudice (Cass. 31396/18), mentre una diversa interpretazione, che accomuni le due ipotesi con applicazione dell’art. 161, secondo comma, cod. proc. civ., deve ritenersi lesiva dei principi del giusto processo e della sua ragionevole durata (Cass., Sez. U., sent. n. 11021 del 2014; sul medesimo principio cfr. Sez. 5, sent. n. 9440 del 2017 in materia tributaria; Sez. L., sent. n. 8817 del 2017 in materia lavoristica). Sempre nel senso dell’inquadramento di situazioni analoghe nella nullità per difetto di costituzione del giudice valgano ad esempio il caso in cui la sentenza, sottoscritta dal presidente, manchi dei nominativi degli altri giudici componenti del collegio, con conseguente impossibilità di desumerne l’identità (Cass., Sez. 3, sent. n. 19214 del 2015), oppure quello in cui la sentenza monocratica sia redatta da giudice di verso da quello dinanzi al quale siano state precisate le conclusioni (Sez. U., sent. n. 26938 del 2013).
Anche sotto il profilo testuale, mancanza ed insufficienza hanno una diversa estensione semantica: l’insufficienza si predica di ciò che esiste, non di ciò che non esiste c’è. Infine anche sotto il profilo logico, mancanza e insufficienza non
sono categorie concettualmente assimilabili in un unicum indifferenziato. La mancanza di un elemento dell’atto significa assenza totale dell’elemento. L’insufficienza significa invece che l’elemento esiste ma è viziato: non è mancante, ma manchevole. Alla diversità concettuale corrisponde una diversità funzionale. Nel nostro caso, la mancanza di sottoscrizione impedisce la riconducibilità dell’atto al giudice collegiale. Laddove invece l’insufficiente sottoscrizione da parte del giudice collegiale non impedisce che (tramite la firma presente) la sentenza sia direttamente ascrivibile al giudice che l’ha pronunciata. I criteri ermeneutici testuale, logico e della ratio legis sono definitivamente rafforzati dal criterio ermeneutico dell’interpretazione costituzionalmente orientata, sorretta in particolare dal principio di ragionevole durata e del giusto processo, di cui all’art. 111 Cost. Pertanto, l’inquadramento del vizio in esame tra le ipotesi di nullità della sentenza, in applicazione del disposto di cui all’art. 161, primo comma, cod. proc. civ., può essere fatto valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie dei mezzi di impugnazione, dovendosi le relative cause convertite in mezzi di gravame e quindi dovendosi applicare i termini decadenziali prescritti dagli artt. 325-327 c.p.c.
e non comportando la rimessione in primo grado.
Da quanto precede emerge quindi definitivamente la mera nullità della sentenza e quindi, come premesso, il mero rinvio al giudice d’appello e non la rimessione in primo grado, ipotesi quest’ultima ascrivibile solo al caso di cui all’art. 161, secondo comma, c.p.c.
In conclusione, va affermato il seguente principio di diritto
‘La sentenza collegiale di primo grado che rechi la sottoscrizione dell’estensore, corrispondente al giudice indicato in epigrafe, nonché la sottoscrizione di un presidente non corrispondente a quello collegiale indicato in epigrafe, fatta salva l’ipotesi dell’errore materiale, è affetta da nullità per vizio di costituzione del giudice,
sanabile ai sensi degli artt. 158 e 161, primo comma, cod. proc. civ. Pertanto ove la stessa sia stata sul punto tempestivamente gravata d’appello, e il giudice di secondo grado non abbia rilevato il difetto, la sentenza d’appello impugnata in cassazione sul punto dev’essere cassata con rinvio’.
L’accoglimento del motivo, avente carattere pregiudiziale, assorbe gli altri e determina la cassazione della sentenza impugnata con rinvio al giudice d’appello che provvederà altresì alla liquidazione delle spese del giudizio.
P. Q. M.
La Corte, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia-Caltanissetta che, in diversa composizione, provvederà altresì alla liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, il 5 marzo 2025