Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32476 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 32476 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 12098/2023 R.G. proposto da
Intesa San Paolo S.p.A. , rappresentata dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale rilasciata in data 2.4.2023, rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio digitale eletto agli indirizzi PEC: EMAIL
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate , in persona del direttore pro-tempore , domiciliata ope legis in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia n. 3100/2022, depositata il 21.11.2022; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26 settembre 2024 dalla dott.ssa NOME COGNOME
udito il P.M., dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito per la ricorrente, l’avv. NOME COGNOME udito per il controricorrente, l’avv. NOME COGNOME
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate, Direzione provinciale di Bari emetteva nei confronti del Banco di Napoli S.p.A. l’avviso di liquidazione n. 2014/003SC/000004786/0/003 (notificato il 10.10.2016) dell’importo di € 7.135,50, a titolo di imposta di registro ed altri diritti, relativo alla registrazione della sentenza n. 4786/2014 emessa dal Tribunale di Bari, all’esito di una lite in ordine ad un contratto di conto corrente. Nella detta sentenza, il Tribunale dichiarava la ‘nullità parziale del contratto di conto corrente oggetto di causa concluso tra le parti relativamente alle clausole regolanti gli interessi ultralegali, la capitalizzazione trimestrale, la commissione di massimo scoperto e le spese di tenuta conto e, per l’effetto, ridetermina il saldo nella somma complessiva di euro 73.654,45 a credito del correntista’, condannando poi l’istituto di credito al pagamento, in favore di parte attrice, ‘della somma di euro 194.713,28, oltre danno da svalutazione secondo ISTAT e interessi legali sulla somma rivalutata anno per anno, da corrispondersi dalla data della domanda giudiziale sino al soddisfo’. Il Banco di Napoli proponeva ricorso avverso l’avviso di liquidazione e la Commissione Tributaria Provinciale di Bari, con sentenza n. 2918/2017, rigettava il ricorso affermando che l’Ufficio aveva correttamente ritenuto ‘che la somma da restituire da parte della ricorrente non era stata o era da assoggettare ad IVA’.
2. L’istituto di credito impugnava la decisione della C.T.P. di Bari e la Corte di Giustizia di II grado della Puglia, con la sentenza indicata in epigrafe, confermava la decisione di primo grado sul presupposto che la sentenza del Tribunale di Bari si era limitata a pronunciare la nullità parziale di una singola clausola contrattuale,
con conseguente inapplicabilità del disposto dell’art. 8, comma 1, lett. e) della tariffa, parte prima allegata al d.P.R. n. 131 del 1986.
La banca ricorrente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Con le conclusioni scritte, il P.M. ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Ragioni della decisione
1.Con il primo motivo, si denuncia violazione dell’art. 36, comma 2, n. 4 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per omessa motivazione circa la necessità di applicare al caso di specie il principio di alternatività tra l’Iva e l’imposta di registro, questione che era stata devoluta alla cognizione del giudice del gravame per mezzo del primo motivo di appello.
Con il secondo motivo, si denuncia violazione della Nota II dell’art. 8 della Tariffa, parte prima e dell’art. 40 del d.P.R. n. 131 del 1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per essere stata erroneamente applicata l’imposta di registro in misura fissa ad un rapporto obbligatorio soggetto ad Iva.
Con il terzo motivo, la ricorrente censura la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 8, comma, lett. e), tariffa, parte prima, del d.P.R. n. 131 del 1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per avere la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado erroneamente ritenuto che l’imposta fissa non potesse applicarsi al caso della restituzione dell’indebito derivante dalla nullità di singole clausole del contratto di conto corrente.
Con il quarto motivo, si denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 8, comma 1, lett. e), tariffa, parte prima, del d.P.R. n. 131 del 1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado erroneamente ritenuto che l’imposta fissa non
potesse applicarsi al caso della restituzione dell’indebito derivante dalla nullità di singole clausole del contratto di conto corrente.
5.Vanno esaminati in via preliminare il secondo e quarto motivo, che conducono all’accoglimento del ricorso sul piano sostanziale e che portano all’assorbimento del primo e terzo motivo, che rappresentano doglianze di carattere solo processuale.
5.1. Le eccezioni preliminari della controricorrente possono essere disattese per manifesta infondatezza, atteso che, con il secondo e il quarto motivo, la banca ricorrente, fermo ed indiscusso l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito, si limita a censurare l’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa (tra le più recenti, cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 19651 del 16/7/2024, Rv. 671812-01).
5.2. In via generale, occorre premettere che l’art. 37, comma 1, del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 prevede che sono soggetti ad imposta di registro ‘gli atti dell’autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, i decreti ingiuntivi esecutivi, i provvedimenti che dichiarano esecutivi i lodi arbitrali e le sentenze che dichiarano efficaci nello Stato sentenze straniere». L’art. 8, comma 1, lett. b) e lett. e), della tariffa – parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 stabilisce la soggezione, rispettivamente, ad imposta in misura proporzionale del 3% per i provvedimenti ‘recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura» e ad imposta in misura fissa per i provvedimenti «che dichiarano la nullità o pronunciano l’annullamento di un atto, ancorché portanti condanna alla restituzione di denaro o beni, o la risoluzione di un contratto». Peraltro, la nota II al citato art. 8 della tariffa – parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 precisa che: «Gli atti di cui al comma 1, lettera b), (…) non sono soggetti all’imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di
corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 40 del testo unico’.
5.3. Ad avviso della Corte di Giustizia di secondo grado della Puglia, la declaratoria di nullità parziale di singole clausole contrattuali non giustificherebbe la sussunzione della fattispecie nella lettera e) del citato art. 8, comma 1, atteso che, la detta disposizione è di stretta interpretazione e che, nel caso di specie ‘alcuna caducazione (per nullità o annullamento) è conseguita dalla pronuncia giudiziale in contestazione che, come anticipato, nel rilevare la nullità di clausola contrattuale posta in violazione di norma imperativa (art. 1419 c.c.) ha conformato le posizioni giuridiche soggettive delle parti de rapporto secondo una disciplina che astrae dalla clausola nulla e che, per effetto di detta nullità, ha dato luogo ad un pagamento indebito (art. 2033 c.c.)’ (pag. 5 della sentenza impugnata).
5.4. Il principio affermato nella sentenza impugnata non può essere condiviso.
Secondo la giurisprudenza della S.C., in tema di imposta di registro, i provvedimenti dell’autorità giudiziaria recanti condanna al pagamento di somme o valori o alla restituzione di denaro devono essere assoggettati, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b), della tariffa – parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, ad imposta proporzionale, a meno che, oltre alla condanna al pagamento di una somma di denaro o all’imposizione di un obbligo restitutorio, non abbiano ad oggetto anche l’annullamento o la declaratoria di nullità di un atto: in quest’ultimo caso, infatti, l’imposta dovrà essere determinata in misura fissa, in applicazione dell’art. 8, comma 1, lett. e), della tariffa – parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 (Cass., Sez. 5^, 7 luglio 2017, n. 16814; Cass., Sez. 6^-5, 23 agosto 2017, n. 20315; Cass., Sez. 5^, 20 dicembre 2018, n. 32969; Cass., Sez. 5^, 8 ottobre 2020, n. 21702). Né rileva, in alcun modo, che il contratto di cui sia
dichiarata la nullità o pronunziato l’annullamento sia soggetto a registrazione in termine fisso (il riferimento è agli atti indicati nella tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131) o in caso d’uso (il riferimento è agli atti indicati nella tariffa – parte seconda allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, ivi comprese le operazioni soggette ad IVA, anche in regime di esenzione), dal momento che la disciplina contenuta nel citato art. 8, comma 1, lett. e), della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 prescinde da tale discriminazione in ordine all’assolvimento o meno della registrazione (e, quindi, al pagamento o meno dell’imposta di registro) per il contratto affetto da nullità o annullabilità.
5.5. Tanto premesso, come già recentemente affermato dalla S.C., con un precedente (richiamato anche dalla difesa della banca ricorrente) pienamente condiviso dal Collegio, si osserva che ‘la previsione dell’art. 8, comma 1, lett. e), della tariffa – parte prima allegata al citato d.P.R. n. 131 del 1986 non possa essere limitata alla sola fattispecie della dichiarazione di nullità totale del contratto (art. 1418 c.c.), per quanto si tratti dell’ipotesi più frequente nella prassi, ma debba comprendere anche – per l’assoluta identità di ratio , che renderebbe illogica una difforme regolamentazione, in assenza di una differenza qualitativa tra le due pronunzie – la fattispecie della dichiarazione di nullità parziale del contratto (art. 1419 c.c.), allorquando la ripetizione delle prestazioni eseguite contra legem postula la ulteriore sopravvivenza del contratto adeguato mediante la sostituzione automatica delle clausole nulle con la disciplina legale (art. 1419, comma 2, c.c.)’ ( Sez. 5 , Sentenza n. del 31/08/2022, Rv. 665745 – 01).
Ne discende che l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa anche nel caso di accertamento della nullità parziale del contratto prescinde dall’eventuale soggezione ad Iva delle
prestazioni che debbano essere restituite in forza della pronunzia giudiziale.
Nella pronuncia appena citata, è stato altresì precisato che: ‘Come è stato già affermato da questa Corte, sia pure con riguardo agli «atti di cui al comma 1, lettera c)», cioè agli atti giudiziari «di accertamento di diritti a contenuto patrimoniale», la nota II all’art. 8 della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 limita ai soli «atti di cui al comma 1, lettera b)», cioè agli atti giudiziari «recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura», l’esonero dall’imposta proporzionale di registro «per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 40 del Testo unico» (in termini: Cass., Sez. 5^, 11 febbraio 2021, n. 3459). Ciò in quanto, il principio di alternatività opera nei soli casi indicati dall’art. 8, comma 1, lett. b), della tariffa – parte prima allegata 5 al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 e questo principio, ancorché di natura generale, opera in relazione all’imposta controversa solo con riguardo agli specifici atti individuati tassativamente nella norma citata, e non è suscettibile di applicazione al di fuori delle ipotesi contemplate, stante, peraltro, il suo contenuto agevolativo, che lo rende di stretta interpretazione, alla strenua del chiaro disposto dell’art. 15 disp. prel. cod. civ. che esclude l’interpretazione estensiva delle norme speciali (in termini: Cass., Sez. 5^, 27 settembre 2017, n. 22502; Cass., Sez. 5^, 19 gennaio 2018, n. 1342). In definitiva, il preciso riferimento della nota II all’art. 8 della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 agli «atti di cui al comma 1, lettera b)» del medesimo art. 8 concerne in via esclusiva i provvedimenti giudiziari che accolgono la domanda di adempimento, dando attuazione coattiva alla prestazione dovuta in virtù del contratto di cessione di beni o di prestazione di servizi. Per cui, restando sempre quest’ultimo la
fonte delle obbligazioni di dare o di fare, il regime fiscale dell’operazione non muta in relazione alla coattività dell’adempimento. Diversa è la situazione in caso di dichiarazione di nullità o di pronunzia di annullamento: il contratto di cessione di beni o di prestazione di servizi è caducato ex tunc dalla pronunzia, ricognitiva o costitutiva, dell’autorità giudiziaria, le prestazioni adempiute sono private ab origine di titolo giustificativo e le parti sono abilitate alla relativa ripetizione (in natura o per equivalente) al fine di reintegrare lo status quo ante dei rispettivi patrimoni. In proposito, si deve rammentare che, a norma dell’art. 26 comma 2, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, in caso di operazioni con emissione di fattura, la dichiarazione di nullità delle cessioni di beni o delle prestazioni di servizi che siano effettuate nell’esercizio di imprese, arti o professioni (art. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1982 n. 633) non comporta la soggezione ad IVA delle conseguenti retrocessioni, posto che il cedente del bene o il prestatore del servizio ha soltanto il diritto di portare in detrazione ex art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 l’imposta corrispondente alla variazione mediante registrazione ex art. 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, mentre il cessionario o il committente che abbia già registrato l’operazione ai sensi dell’art. 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 deve, in tal caso, registrare la variazione a norma dell’art. 23 o dell’art. 24 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o al prestatore a titolo di rivalsa. Il che è coerente con il rilievo che le prestazioni restitutorie non costituiscono di per sé cessioni di beni o prestazioni di servizi poste in essere nell’esercizio di imprese, arti o professioni, ai fini della soggezione ad IVA. Pertanto, trattandosi di provvedimento di condanna alla restituzione di somme corrisposte in mancanza di valido titolo giustificativo, queste ultime non possono essere ricondotte alla nozione «di pagamento di corrispettivi o prestazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto
ai sensi dell’art. 40 del testo unico» di cui all’invocata nota II all’art. 8, comma 1, lett. b), del d.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 (in termini: Cass., Sez. 5^, 19 gennaio 2018, n. 1342) ‘.
5.6. Nel caso di specie, dalla trascrizione riportata nel ricorso della sentenza soggetta a registrazione, risulta come il Banco di Napoli S.p.A. aveva espressamente chiesto al Tribunale di Bari di ‘dichiarare la nullità parziale del contratto di apertura di credito (…), stante l’applicazione di interessi ultralegali, di interessi anatocistici con capitalizzazione trimestrale e di commissioni di massimo scoperto, con condanna della convenuta, previo accertamento dell’esatto dare -avere tra le parti, alla restituzione delle somme illegittimamente contabilizzate e trattenute (…), maggiorata degli interessi legali e rivalutazione monetaria, oltre al risarcimento de danni da determinarsi in via equitativa (…)’; è d’altronde pacifico in atti che sia stata dichiarata la nullità parziale delle clausole in questione.
Risulta evidente l’esercizio cumulativo dell’azione di nullità parziale del contatto di conto corrente (art. 1419 c.c.) e dell’azione di ripetizione di indebito (art. 2033 c.c.), con la conseguenza che, sul piano dell’efficacia della pronuncia giudiziale, gli effetti non possono essere diversi in ragione che la parte agisca per far dichiarare la nullità dell’intero contatto o delle sue singole clausole.
A tal proposito, si osserva che in caso di nullità di un contratto (così come nei casi di mancanza di una causa adquirendi in ragione della mancanza o della cessazione del vincolo originariamente esistente tra le parti) è esperibile l’azione di indebito oggettivo per la restituzione delle prestazioni eseguite in base ad esso e che, come da tempo affermato dalla S.C., lo stesso principio ‘ va enunciato ove la nullità non sia fatta valere in relazione all’intero contratto, ma a clausole contrattuali in base alle quali siano state effettuate specifiche prestazioni ed, eventualmente, controprestazioni a quelle funzionalmente collegate. Tali prestazioni e controprestazioni,
infatti, una volta accertata la nullità della clausola, rimangono prive di causa, non sono più legate dal vincolo di sinallagmaticità e danno, singolarmente, luogo ad indebiti oggettivi ‘ (Sez. 1, Sentenza n. del 08/11/2005, Rv. 586072 – 01).
Deve pertanto concludersi, così condividendosi quanto già affermato dalla citata sentenza n. 25610 del 2010, che ‘ non vi è alcuna differenza tra l’azione di nullità parziale e l’azione di nullità totale del contratto sul piano della giustificazione e dell’efficacia della pronuncia giudiziale, essendo comune la funzione di conformare secundum legem la regolamentazione dei rapporti tra le parti mediante la reciproca restituzione delle prestazioni o delle attribuzioni sine titulo’.
5.7. Il giudice d’appello non si è conformato a tali principi, avendo erroneamente ritenuto che la declaratoria di nullità parziale delle singole clausole contrattuali abbia ‘conformato le posizioni giuridiche soggettive delle parti del rapporto secondo una disciplina che astrae dalla clausola nulla’, conseguentemente valutando corretto l’operato dell’amministrazione che aveva ascritto la sentenza del Tribunale alla ‘categoria degli atti giudiziari che recano ‘condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegua di beni di qualsiasi natura’(art. 8, comma 1, lett. a) recte, lett. b), cit.)’ (pag. 5 della sentenza impugnata).
5.8. Per completezza, si osserva come, contrariamente rispetto a quanto evidenziato nella discussione dalla difesa di parte ricorrente, non si ravvisa alcun contrasto nella giurisprudenza di legittimità in merito all’applicabilità della previsione dell’art. 8, comma 1, lett. e) della citata tariffa anche alle ipotesi di declaratoria di nullità parziale del contratto (tale da giustificare l’invocata rimessione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione).
Infatti, anche con l’ordinanza Sez. 5, n. 26561 del 2022 (non massimata), diffusamente richiamata nella sentenza impugnata, si
dà applicazione ai principi affermati dalla Corte, in forza dei quali ‘la tassazione in misura fissa degli atti giudiziari è limitata ai casi in cui il provvedimento comporti una caducazione del titolo del precedente trasferimento e la condanna conseguente abbia contenuto e funzione meramente restitutori, mirando a ripristinare la situazione patrimoniale qua ante actum ‘, ma si giunge a diversa conclusione, in quanto si aveva riguardo ad una fattispecie nella quale ‘alcuna caducazione (per nullità o annullamento) è conseguita dalla pronuncia giudiziale in contestazione’ (pag. 6 dell’ordinanza n. 26561 del 2022). Pertanto, mentre nella vicenda presa in esame dall’ordinanza n. 26561 del 2022 il Tribunale non aveva dichiarato alcuna nullità parziale (che era stata solo rilevata), con conseguente corretta applicazione della tassazione in misura proporzionale, nella sentenza per cui è causa il Tribunale di Bari aveva espressamente dichiarato la ‘nullità parziale del contratto di conto corrente oggetto di causa concluso tra le parti relativamente alle clausole regolanti gli interessi ultralegali, la capitalizzazione trimestrale, la commissione di massimo scoperto e le spese di tenuta del conto’. In questo secondo caso, pertanto, come argomentato in forza dei principi sopra richiamati, deve trovare applicazione l’imposta fissa, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. e) della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, posto che la sentenza oggetto di registrazione oltre alla condanna al pagamento di una somma di denaro o all’imposizione di un obbligo restitutorio, ha ad oggetto anche la declaratoria di nullità, per quanto parziale, del contratto.
6. In conclusione, alla stregua delle suesposte argomentazioni, valutandosi la fondatezza del secondo e del quarto motivo, il ricorso può trovare accoglimento e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, anche in ordine alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso, in Roma, il 26 settembre 2024