Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20100 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20100 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5994/2024 R.G. proposto da : COGNOME, domiciliato ‘ex lege’ in Roma INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE -ricorrente- contro
AGENZIA ENTRATE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO delle MARCHE n. 408/2023 depositata il 02/05/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In data 21/12/2013 l’A.E. di Pesaro notificava alla associazione sportiva Urbino RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. TQ904T102209/2013 ai sensi dell’art. 39, comma 2, D.P.R. n. 600/73 e dell’art. 55 D.P .R. n. 633/72, con il quale recuperava maggiore IRES per €. 8.677,00, maggiore IRAP per €. 1.145,00 e maggiore IVA per €. 35.800,00, oltre interessi e sanzioni irrogate nella misura di €. 55.075,00.
NOME NOME, in proprio e quale legale rappresentante dell’associazione, impugnava l’avviso.
Nel contraddittorio dell’Agenzia delle entrate, che in corso di giudizio depositava, come da ricorso, atto di annullamento parziale in autotutela n. CODICE_FISCALE/2016 del 5/5/2016, riducendo la pretesa iniziale, la CTP di Pesaro, con sentenza n. 432/2016 depositata in Segreteria il 03 giugno 2016, accoglieva parzialmente il ricorso, nei limiti del suddetto annullamento parziale, confermando l’avviso per il resto.
Il COGNOME interponeva appello, rigettato dalla CGT -2 delle Marche con la sentenza in epigrafe.
Propone il medesimo ricorso per cassazione con otto motivi, ulteriormente insistito con ampia memoria, anche in chiave di replica alle difese avversarie. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denuncia: ‘Nullità della sentenza ex art. 360, comma 1 n. 4, c.p.c. per violazione dell’obbligo di
corrispondenza tra chiesto e pronunciato in violazione dell’art. 112 c.p.c.’.
1.1. Il contribuente proponeva appello con undici motivi. ‘Sennonché, in palese violazione dell’art. 112 c.p.c. il Giudice ha scrutinato un numero rilevante di motivi di appello mai proposti dall’allora appellante e, solo per mero accidente, ha trattato di alcune delle censure effettivamente formulate senza tuttavia confrontarsi concretamente con le precise osservazioni ed argomentazioni avanzate dall’allora appellante’. ‘In effetti, nel leggere la sentenza gravata, si è avuta la chiara impressione che fosse il risultato di un improbabile e mal riuscito ‘copia e incolla’ di altra precedente e/o coeva sentenza pronunciata dallo stesso Giudice, peraltro non adattata alla fattispecie in esame’. Seguono citazioni tratte dalla motivazione della sentenza impugnata. Il motivo poi riprende: ‘ontrariamente agli assunti del Giudice a quo: a) l’avviso di accertamento di cui si discute (qui doc. 3) non opera alcun riferimento agli esiti di un p.v.c. della G.d.F.; b) al momento della notifica dell’accertamento (21/12/2013: cfr. ultimo foglio del doc. 3) il p.v.c. della G.d.F. non era stato neppure redatto, risultando per il Giudice a quo datato 19/12/2014 (cfr. pag. 4, righi 23 e 24, sentenza gravata); c) nel procedimento in esame non sono state contestate fatture emesse per operazioni ritenute inesistenti; con la conseguenza che già solo per questi rilievi la sentenza va cassata per violazione dell’art. 112 c.p.c.’. Inoltre, il contribuente non ha mai formulato in appello talune doglianze, passate brevemente in rassegna, cui invece la CGT -2 si riferisce. Ancora, ‘la Corte marchigiana ha operato riferimenti a circostanze di fatto inesistenti nel presente procedimento’. ‘In ragione di tutto quanto più sopra rilevato, la sentenza gravata risulta nulla per violazione dell’art. 112 c.p.c. atteso che il Giudice di appello ha scrutinato e risolto fatti, circostanze e contestazioni (id est: petitum e causae petendi) non sottoposti alla sua attenzione dalle parti,
chiaramente inerenti altro procedimento, omettendo di dare risposta alle contestazioni formulate dall’allora appellante’.
1.2. Il motivo è inammissibile.
Viola il principio di precisione a misura che, fatto riferimento nel testo della relativa illustrazione puramente e semplicemente alle rubriche dei motivi d’appello e trascritto integralmente quest’ultimo in nota, non individua con necessaria specificità le domande in relazione alle quali la CGT -2 sarebbe incorsa in infra ed ultra (od extra) petizione.
In particolare, il motivo (che non aggredisce la sentenza dal punto di vista dell’eventuale incongruenza motivazionale), con riferimento ai profili di denunciata infrapetizione, non indica (fatto salvo quel che si dirà ‘infra’ a proposito dei motivi secondo e quarto) quali motivi d’appello, partitamente individuati, non abbiamo nella sentenza impugnata ricevuto risposta, distinguendoli da quelli che invece hanno bensì ricevuto risposta, ancorché, secondo quanto dedotto, per mero accidente. Ne offre testuale conferma la stessa formulazione letterale del motivo, che censura nel complesso, e non analiticamente, la sentenza impugnata, ritenendone la non corrispondenza all’atto d’appello, per non ‘confrontarsi concretamente con le precise osservazioni ed argomentazioni avanzate dall’allora appellante’. Talché, quel che il motivo in definitiva recrimina, non è un’assenza di pronuncia, ma un’inadeguatezza della stessa rispetto alle corrispondenti devoluzioni: vizio, tuttavia, non costituente violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Conclusioni non dissimili valgono con riferimento ai profili di denunciata ultrapetizione. Ricorre in giurisprudenza il principio secondo cui ‘il potere -dovere del giudice di inquadrare nell’esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione incontra il limite del rispetto del petitum e della
causa petendi, sostanziandosi nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, sicché il vizio di ultra o extra petizione ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (petitum o causa petendi), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori’.
Il principio si trova enunciato, ad esempio, nelle seguenti pronunce:
-Cass. n. 644 del 2025 (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva riconosciuto il rimborso di somme pagate per IRPEF e ILOR per un importo maggiorato rispetto all’originario petitum, richiesto per la prima volta dal contribuente in sede di ricorso per riassunzione a seguito di annullamento con rinvio in precedenza disposto).
-Cass. n. 8048 del 2019 (nella specie, la S.C. ha rilevato un vizio di extrapetizione nella pronuncia di merito che, a fronte di una domanda principale di “negatoria servitutis” proposta dai condomini di una unità immobiliare nei confronti dei comproprietari di altra unità immobiliare e di una riconvenzionale presentata da questi ultimi volta all’accertamento positivo della contestata servitù di passaggio, aveva accolto la seconda riqualificandola, però, quale richiesta di riconoscimento del pari uso delle parti comuni dell’area oggetto di causa ex art. 1102 c.c.).
-Cass. n. 9002 del 2018 (nella specie, la S.C. ha negato il vizio di ultrapetizione della sentenza con la quale il giudice di merito, a fronte di una domanda di restituzione “pro quota” delle somme custodite in un deposito bancario di cui gli attori assumevano di essere contitolari con il convenuto, l’ha accolta dopo avere
accertato che i medesimi attori erano in realtà eredi di uno degli originari contitolari del detto deposito).
-Cass. n. 18868 del 2015 (nella specie, la S.C. ha negato il vizio di ultrapetizione della sentenza con la quale il giudice di merito, a fronte di una domanda risarcitoria per danni da caduta in una doccia di un centro estetico a causa della presenza di materiale viscido su un gradino, ha rilevato la carenza di prova dei fatti, aggiungendo che, se anche dimostrata la caduta nella doccia, il comportamento colposo del danneggiato -consistente nel non aver prestato la dovuta attenzione allo stato dei luoghi -era idoneo a interrompere il nesso causale).
-Cass. n. 455 del 2011 (nella specie, la Corte di merito, investita della questione avente come presupposto la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato e la illegittimità del licenziamento disposto dalla società datoriale, con conseguente richiesta di reintegra nel posto di lavoro e condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento fino all’effettiva reintegra, pur ritenendo la interruzione di fatto del rapporto e la mancanza di prova in ordine al dedotto licenziamento, aveva condannato la società resistente al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede, argomentando dalla affermata continuità giuridica del rapporto lavorativo in questione. La RAGIONE_SOCIALE in applicazione del riportato principio, ha cassato la sentenza impugnata ritenendo sussistente il lamentato vizio di ultrapetizione della stessa).
Tornando al caso oggetto del presente giudizio, il motivo non rappresenta né un’alterazione degli elementi obiettivi dell’azione né l’emissione di un provvedimento diverso da quello richiesto né l’attribuzione o negazione di un bene della vita diverso da quello conteso. Conseguentemente esula un’ipotesi di ultrapetizione, rilevanti agli effetti della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
I motivi dal secondo al sesto, per comunanze di censure, devono essere enunciati ed illustrati congiuntamente.
Con il secondo motivo si denuncia: ‘Nullità della sentenza ex art. 360 n. 4 c.p.c. (omessa pronuncia sull’eccezione di nullità dell’atto impositivo per violazione degli artt. 2704 e 2697 c.c. e 42 D.P.R. n. 600/73) con riferimento all’art. 112 c.p.c.’.
3.1. In primo grado il contribuente aveva eccepito la nullità dell’avviso di accertamento per violazione dell’art. 42, comma 1, D.P.R. n. 600/73. ‘Nello specifico rilevava la carenza del potere di firma da parte del Funzionario che aveva sottoscritto l’atto impositivo, con conseguente nullità dell’atto impugnato per assenza o invalidità della delega, atteso che l’avviso di accertamento risultava sottoscritto dalla Dott.ssa COGNOME su delega del Direttore Provinciale Dott. COGNOME, benché tale atto non fosse stato allegato’. L’Ufficio produceva un documento denominato ‘Deleghe di firma’ comprensivo della ‘Disposizione di servizio n. 30/2013 e della Tabella B. Con memoria il contribuente ‘contestava l’assunto dell’Ufficio e, per quello che qui interessa, eccepiva che il provvedimento di attribuzione delle deleghe (Disposizione di servizio n. 30/2013), così come l’allegata ‘Tabella B’, non possedevano data certa opponibile al contribuente anteriore alla data di sottoscrizione dell’atto impositivo e, quindi, non si aveva alcuna certezza circa il fatto che i predetti documenti fossero stati formati in data anteriore alla sottoscrizione dell’atto (03/12/2013), con la conseguenza che l’atto doveva essere dichiarato inesistente, o in subordine nullo’. La CTP ometteva di pronunciare. Proposto dal contribuente appello sul punto appello, l’Ufficio si limitava produrre nuovamente il documento già prodotto in primo grado. ‘l Collegio anconetano, pur travisando i nominativi di delegante e delegato e il contenuto del documento versato in atti dall’Ufficio a dimostrazione del conferimento della delega al delegato (cfr. primo motivo di ricorso), ha comunque omesso di prendere in
considerazione l’eccezione di inopponibilità della delega prodotta in giudizio al contribuente per difetto di data certa, con conseguente nullità dell’atto impositivo, sulla base della seguente considerazione: ”’. In ragione di ciò la Sentenza gravata risulta nulla per omessa pronuncia’.
Con il terzo motivo si denuncia: ‘Nullità della sentenza ex art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c. per violazione degli artt. 2704 e 2697 c.c. e 42 D.P.R. n. 600/1973’.
4.1. Il motivo riprende, finanche alla lettera, il motivo precedente, peraltro espressamente richiamato, declinandolo, altresì, sotto il profilo della violazione delle rubricate disposizioni di legge.
Con il quarto motivo si denuncia: ‘Nullità della sentenza ex art. 360 n. 4 c.p.c. (omessa pronuncia sull’eccezione di nullità dell’atto impositivo per violazione degli artt. 2719 e 2697 c.c. e 42 D.P.R. n. 600/73) con riferimento all’art. 112 c.p.c.’.
5.1. Già in primo grado, prodotto dall’Ufficio il documento di cui si è detto nel secondo motivo, il contribuente, con memoria, eccepiva ‘che non si aveva alcuna certezza circa il fatto che l’atto impositivo fosse stato sottoscritto da chi ne aveva potere (cioè da un Funzionario appartenente alla terza area funzionale’. Proposto dal contribuente appello avverso la sentenza della CTP per omessa pronuncia, ‘l’Ufficio prendeva posizione sull’eccezione ribadita dall’appellante in merito al fatto che difettasse la prova circa la qualifica che il Funzionario sottoscrittore avrebbe dovuto rivestire al tempo della sottoscrizione dell’atto (03/12/2013) e per l’effetto allegava la scheda anagrafica della Dott.sa Monopoli ad asserita riprova della sua appartenenza, all’epoca della sottoscrizione dell’atto impositivo, alla terza area funzionale . Conseguentemente l’Ufficio produceva il seguente documento : ‘4. Scheda anagrafica del personale”. Il contribuente depositava
memoria mediante la quale contestava che ‘si trattava di documento non redatto su carta intestata dell’Agenzia delle Entrate, privo di timbri e/o loghi riconducibili alla stessa Agenzia, privo di qualunque data e comunque privo di data certa opponibile all’allora appellante, oltre che privo di qualunque valenza indiziaria. Conseguentemente contestava motivatamente la conformità della copia del documento in parola all’originale ex art. 2719 c.c.’. Al riguardo, la sentenza impugnata è affetta, di nuovo, da omessa pronuncia.
Con il quinto motivo si denuncia: ‘Nullità della sentenza ex art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c., per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2719 e 2697 c.c. e 42, comma 1, DPR n. 600/73’.
6.1. Il motivo riprende, finanche alla lettera, il motivo precedente, peraltro espressamente richiamato, declinandolo, altresì, sotto il profilo della violazione delle rubricate disposizioni di legge.
Con il sesto motivo si denuncia: ‘Nullità della sentenza ex art. 360, comma 1 n. 3, c.p.c. per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 42, comma 1, D.P.R. n. 600/73’.
7.1. Secondo la CGT -2, ‘l’atto impositivo deve considerarsi comunque valido alla sola condizione che lo stesso sia semplicemente riferibile ‘all’Ufficio, organo titolare del potere nel cui esercizio stato l’atto è stato adottato”. Siffatta affermazione della CGT -2 viola la rubricata disposizione di legge.
Sono fondati il secondo ed il quarto motivo, in tema di omessa pronuncia; restando assorbiti, di conseguenza, il terzo, il quinto ed il sesto, in tema di violazione di legge.
V’è da premettere che tutti i motivi sono volti ad aggredire la seguente parte della motivazione della sentenza impugnata:
Per quanto riguarda la pretesa carenza di potere del delegato alla firma ai sensi dell’articolo 42 del DPR 600 del 1973, risulta per tabulas che l’avviso di accertamento impugnato è stato firmato dal capo area persone fisiche, dottor COGNOME che riveste la qualifica di dirigente e che pertanto è pienamente legittimato alla sottoscrizione dell’atto. Peraltro, il sottoscrittore risulta essere stato delegato dal dottor COGNOME direttore ad interim della direzione provinciale di Pesaro, come da provvedimento depositato dall’Ufficio già in primo grado. Il dottor COGNOME appartiene alla terza area funzionale dell’Agenzia delle Entrate, ovvero ad un’area attualmente appartenente alla ex carriera direttiva. Del resto, la sentenza numero 37 del 2015 della Corte costituzionale e le successive sentenze della Corte di Cassazione hanno evidenziato che ai fini della validità degli atti sottoscritti da personale incaricato di funzioni dirigenziali, non rileva la circostanza che la persona fisica che abbia sottoscritto l’atto o che abbia delegato altri alla relativa firma sia o meno dirigente, ma soltanto la riferibilità dello stesso all’Ufficio, organo titolare del potere nel cui esercizio stato l’atto è stato adottato. Risulta quindi insussistente ogni violazione di legge ed altresì la violazione dell’articolo 7 comma 1 dello Statuto del contribuente.
10. La CGT -2 – oltreché affermare l’autonomo potere del ‘dottor COGNOME‘, in qualità di ‘capo area delle persone fisiche’ e munito della ‘qualifica di dirigente’, a sottoscrivere di per sé l’avviso – soggiunge altresì che sussiste una valida delega in capo al predetto ‘dottor COGNOME‘ promanante dal ‘dottor COGNOME, direttore ad interim della direzione provinciale di Pesaro’ ed appartenente ‘alla terza area funzionale dell’Agenzia delle Entrate, ovvero ad un’area attualmente appartenente alla ex carriera direttiva”, ‘come da provvedimento depositato dall’Ufficio già in primo grado’.
In tema di sottoscrizione di un avviso di accertamento, il quadro giurisprudenziale rilevante può essere brevemente tratteggiato nei termini di cui in appresso.
Occorre premettere – con Cass. n. 17360 del 2021 (di cui si cita la parte rilevante della motivazione) – che, come già affermato da Cass., Sez. 5, Sentenza n. 20915 del 03/10/2014 , «i criteri di attribuzione della competenza agli organi ed agli uffici in cui si articola l’Agenzia delle Entrate e le modalità di esercizio dei poteri e delle competenze sono definiti, secondo quanto dispongono il D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, artt. 57, comma 1, art. 66 e art. 71, comma 3, dallo Statuto e dal regolamento di amministrazione, come ribadito anche dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 360. Secondo le disposizioni del “regolamento di amministrazione” adottato con delibera Comitato direttivo del 30.11.2000 n. 4 (art. 2 comma 2; art. 4 comma 1; art. 5, reg. amm.) l’Agenzia fiscale è articolata in uffici “centrali e periferici”, “regionali e provinciali” (a loro volta articolati in strutture di vertice ed uffici dipendenti), in base a criteri organizzativi che combinano l’applicazione del principio di competenza (territoriale e per valore) con il principio gerarchico (fondato su rapporti di sovra e sottoordinazione: art. 11, comma 1, lett. c), Statuto) ed il principio di sussidiarietà (art. 1, comma 1, lett. d), reg. amm.).». Si osserva, per quanto qui rileva, che il “regolamento di amministrazione” prevede che «Le direzioni provinciali, individuate nell’allegato A, curano … l’accertamento» e che «Gli avvisi di accertamento sono emessi dalla direzione provinciale e sono sottoscritti dal rispettivo direttore o, su delega di questi, dal direttore dell’ufficio preposto all’attività accertatrice ovvero da altri
dirigenti o funzionari, a seconda della rilevanza e complessità degli atti».
In base al combinato disposto delle succitate disposizioni si può formulare il seguente principio di diritto: «La competenza accertativa degli uffici centrali e periferici in cui si articola l’Agenzia delle Entrate (ex art. 13 dello statuto) può trovare fonte o in una specifica attribuzione ex lege o, in via generale, nelle norme organizzative dell’ente pubblico (statuto o regolamento di amministrazione, già oggetto di delibera del 30 novembre 2000); pertanto, in base a quanto previsto dal regolamento di amministrazione, che attribuisce la relativa competenza alla direzione provinciale dell’Agenzia, il direttore provinciale, titolare della rappresentanza sostanziale dell’ente, è legittimato alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento».
Talché la fonte del potere di sottoscrizione dell’avviso di accertamento risiede ‘o in una specifica attribuzione ex lege o, in via generale, nelle norme organizzative dell’ente pubblico’, le quali, per quanto rileva, concentrano detto potere in capo al direttore provinciale, salvo deleghe da questi attribuite in favore del direttore dell’ufficio preposto all’attività accertatrice ovvero ad altri dirigenti o funzionari. Ne consegue, come da questo medesimo Collegio esplicitato nelle ordinanze rese a questa medesima udienza tra le stesse parti nelle cause ‘sub’ nn. 5991 e 5992 del 2024 r.g., che, ‘agli effetti dell’art. 42, commi 1 e 3, DPR n. 600 de 1973, il ‘capo dell’ufficio’ abilitato a sottoscrivere l’atto, o a delegare altri a farlo, è, nel segmento rilevante dell’articolazione ordinamentale dell’Agenzia delle entrate, il direttore provinciale, ad esclusione, dunque, salvo delega, di funzionari di vertice di articolazioni interne all’ufficio corrispondente.
Alla stregua di siffatto contesto ordinamentale trova spazio la comminatoria di nullità, ad opera dell’art. 42, commi e 3, D.P.R. n. 600/73, degli avvisi di accertamento non ‘sottoscritti dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato’.
Tale espressa previsione di legge, che sanziona di nullità la violazione della prescrizione riguardante la qualità del sottoscrittore, esclude che acquisisca rilievo per così dire sanante il principio della riferibilità, comunque, dell’atto all’apparato da cui promana. In giurisprudenza (Cass. n. 32386 del 2022; cfr. anche Cass. n. 22871 del 2018 e Cass. n. 24492 del 2015) ricorre infatti l’affermazione secondo cui
olo in contesti diversi da quello dell’avviso di accertamento opera il criterio, sostanzialmente invocato dall’Agenzia a giustificazione dell’operato, della sufficiente riferibilità all’organo amministrativo titolare del potere, ad esempio in caso di diniego di condono (Cass. Sez. 6 -5, Ordinanza n. 11458 del 2012), di avviso di mora (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 4283 del 2010) o, ancora, di cartella di pagamento (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 21844 del 07/09/2018 (Rv. 650680 -01) o di atto di pignoramento dei crediti verso terzi (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 31604 del 04/12/2019, Rv. 656365 -01), perché in tali casi la legge non prevede alcuna sanzione per l’ipotesi dell’omessa sottoscrizione dell’atto, sicché non può che operare la presunzione generale di riferibilità dell’atto amministrativo all’organo da cui promana, con onere della prova contraria a carico del contribuente.
Al contrario, la previsione della nullità per illegittima sottoscrizione vige quanto all’accertamento per imposizione diretta ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600, articolo 42, e, per l’imposizione indiretta, in forza del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 56, il quale, nel rinviare alla disciplina sulle imposte dei redditi, richiama implicitamente il citato articolo 42. Di conseguenza, se la prova dell’esistenza della delega e del suo corretto esercizio, sia ai fini dell’IRAP che ai fini dell’IVA oggetto di ripresa non è assolta dall’Amministrazione, l’avviso di accertamento è nullo’.
11.1. A fronte, di ciò, sul piano processuale, costituisce insegnamento acquisito quello secondo cui , ‘in caso di contestazione specifica da parte del contribuente in ordine ai requisiti di legittimazione del sottoscrittore dell’avviso di accertamento, l’Amministrazione finanziaria è tenuta, anche per il principio di vicinanza alla prova, a dimostrare la sussistenza della delega, potendo produrla anche nel secondo grado di giudizio, in quanto la presenza o meno della sottoscrizione dell’avviso di accertamento non attiene alla legittimazione processuale’ (Cass. n. 8505 del 2025). Ed invero ‘la contestazione di nullità dell’avviso di accertamento per difetto di sottoscrizione del capo dell’ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato pone a carico dell’Amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare il corretto esercizio del potere attraverso il deposito in giudizio di documentazione comprovante la sussistenza della delega di firma, mentre il contribuente può limitarsi a contestare la validità della documentazione prodotta, senza la necessità di proporre motivi aggiunti ai sensi dell’art. 24 del d.lgs. n. 546 del 1992, ma, in difetto di specifica contestazione, il giudice in applicazione del principio di acquisizione della prova, deve valutare autonomamente detta documentazione ai fini dell’effettiva sussistenza della delega di firma, senza che possa ritenere valida la sottoscrizione dell’atto impositivo in applicazione del principio di cui all’art. 115, comma 1, c.p.c.’ (Cass. n. 33189 del 2024). Trattasi di principio che ha come
antecedente logico l’affermazione secondo cui, ‘qualora il contribuente contesti, con il ricorso di primo grado, la carenza di legittimazione di colui che ha sottoscritto l’atto impositivo impugnato, per l’assenza di rituale delega di firma, ai fini dell’art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, il giudice ha il potere -dovere di verificare se il contenuto della delega prodotta in giudizio dall’amministrazione finanziaria è idoneo ad assolvere alla funzione di delega di firma e non di funzioni’ (ragion per cui non incorre ‘in ultrapetizione il giudice d’appello che si pronunci, anche in caso di contumacia del contribuente appellato, sullo specifico contenuto della delega posta dall’Agenzia a base del gravame’: così Cass. n. 32657 del 2024).
11.2. Con specifico riferimento alla delega, è ormai pacifico (cfr. la fondamentale Cass. n. 8814 del 2019) che la stessa abbia natura di delega di firma e non di funzioni, ragion per cui ad integrarla è sufficiente un ordine di servizio, fermo tuttavia che deve essere comunque consentito il controllo ‘a posteriori’ della sussistenza del potere in capo al sottoscrittore. Più in dettaglio, ‘la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita, ai sensi dell’art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, dal dirigente a un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente, avendo natura di delega di firma e non di funzioni, non richiede, per la sua validità, l’indicazione del nominativo del soggetto delegato, né del termine di validità, poiché tali elementi possono essere individuati anche mediante ordini di servizio, idonei a consentire ex post la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto’ (Cass. n. 21972 del 2024). Ed a misura, e dunque a condizione, che un’effettiva delega sussista, con conseguente possibilità di ‘successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa’ (Cass. n. 21839 del 2024), se l’apparato da cui promana l’atto ‘non ne disconosce gli effetti, deve presumersi la sussistenza, in capo al
funzionario sottoscrittore, dei requisiti soggettivi dell’appartenenza ai ruoli della carriera direttiva’ (Cass. n. 689 del 2025).
11.3. Una volta che l’A.F. abbia fornito la prova della delega, la quale, di norma, è riversata in un atto amministrativo contraddistinto da numero di protocollo, con conseguente annotazione dell’ordine cronologico (Cass. nn. 16204 del 2020 e 9521 del 2018), compete alla parte privata che la contesti già sul piano della consistenza documentale formulare un disconoscimento delle produzioni avversarie agli originali in termini puntuali, specifici, ancorati a precisi elementi di fatto e, dunque, non meramente congetturali od ipotetici (Cass. nn. 40750 del 2021; 14279 del 2021; 16557 del 2019). Ciò fermo comunque restando che – per costante giurisprudenza – il disconoscimento della conformità di una copia fotostatica all’originale di una scrittura non ha gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall’art. 215, comma 2, c.p.c., perché, mentre quest’ultimo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo di questa, preclude l’utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all’originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni: talché l’avvenuta produzione in giudizio della copia fotostatica di un documento, se impegna la parte contro la quale il documento è prodotto a prendere posizione sulla conformità della copia all’originale, tuttavia non vincola il giudice all’avvenuto disconoscimento della riproduzione, potendo egli apprezzarne l’efficacia rappresentativa (Cass. n. 12737 del 2018).
Tornando al caso di specie, stando al tenore della motivazione della sentenza impugnata, che si è riportato, la CGT -2 ha bensì ritenuto la legittimità della sottoscrizione dell’avviso, richiamando anche insegnamenti giurisprudenziali, ma è caduta patentemente in errore laddove ha fatto letterale riferimento a soggetti diversi da quelli involti nell’avviso di accertamento e, di
conseguenza, a documenti, con particolare riguardo alla delega, non riguardanti tali soggetti.
Ed infatti la sentenza impugnata evoca i predetti ‘dottor COGNOME (delegante) e ‘dottor COGNOME (delegato sottoscrivente l’atto), ai quali, dunque, riferisce la documentazione su cui fonda la decisione, mentre invece la riproduzione della parte finale dell’avviso, ‘in parte qua’ correttamente compiuta per autosufficienza in ricorso, nello spazio antistante la sottoscrizione, esibisce la dicitura: ‘Il direttore provinciale Il capo area persone fisiche, lav. aut. ed e.n.c. NOME COGNOME () firma su delega del direttore provinciale NOME COGNOME e, a termini sia di ricorso che controricorso , la documentazione versata in atti dall’Ufficio afferisce proprio al rapporto di delega corrente tra il Dott. COGNOME e la Dott.ssa Monopoli.
12.1. A motivo di tale ‘modus procedendi’, disancorato dal quadro documentale che invece era suo doveroso compito verificare, analizzare e valutare, la CGT -2 ha omesso di trattare le questioni sottopostole dai contribuenti con specifico riferimento alla fattispecie: in buona sostanza, essa, totalmente obliterando il suo compito di giudice del fatto, investito, cioè, di compiti di accertamento della realtà fattuale, ha mancato di dare effettiva risposta alle devoluzioni dei medesimi, nel senso che ha mancato di ricostruire la situazione di fatto alla luce degli atti e documenti disponibili e di conseguenza di applicare ad essa, e ad ess soltanto,
i principi rivenienti dalla giurisprudenza di legittimità, dianzi sommariamente riassunti, in guisa da enunciare la cd. regola del caso concreto.
In ciò, pur a fronte di una trattazione bensì astrattamente riferibile alle questioni vertite nei motivi d’appello dei contribuenti, ma in termini decontestualizzati e deviati, sulla base di una realtà documentale obiettivamente diversa da quella (apparentemente) apprezzata dalla CGT -2, che nella sentenza impugnata non si perita neppure di citare le fonti del suo convincimento, emergono le omesse pronunce siccome denunciate, con appropriata precisione, a differenza che nel primo motivo, nel secondo e nel quarto.
L’accoglimento del secondo e del quarto motivo determina l’assorbimento, oltreché del terzo, del quinto e del sesto motivo (contermini quanto a censure), altresì degli ultimi due, siccome volti a denunciare.
-il settimo, ‘nullità della sentenza ex art. 360, comma 1 n. 4, c.p.c. per violazione dell’art. 115, comma 1, c.p.c.’, sul rilievo che, fondato l’avviso esclusivamente sul PVC della SIAE ed i suoi allegati, né il contribuente né l’Agenzia hanno mai prodotto tali documenti;
-l’ottavo, ‘nullità della sentenza ex art. 360 n. 4 c.p.c. (omessa pronuncia sulla eccezione di tardività del deposito in data 20/05/2016 in C.T.P. Pesaro della memoria dell’Ufficio e della contestuale produzione documentale e sulla consequenziale domanda di espunzione di memoria e documenti) con riferimento all’art. 112 c.p.c.’, sul rilievo che detta memoria, tardivamente prodotta in primo grado rispetto alla data dell’udienza di trattazione, ‘costituiva (e costituisce) l’unico documento in atti nel quale si tratta dell’attività di indagine e degli esiti della successiva verifica condotta dalla G.d.F. di Urbino, esiti che poi sono stati
illegittimamente richiamati ed utilizzati dal Giudice di secondo grado per respingere l’appello del contribuente’.
Questi motivi, infatti, involgono questioni attinenti al merito dell’accertamento, necessariamente gradate rispetto al ‘thema’ della validità (della sottoscrizione) dell’avviso.
In definitiva, in accoglimento del secondo e del quarto motivo di ricorso, nei sensi di cui in motivazione, rigettato il primo, ed assorbiti tutti gli altri, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, per nuovo esame ed altresì, all’esito, per la definitiva regolazione tra le parti delle spese di lite, comprese quelle del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
In accoglimento del secondo e del quarto motivo, nei sensi di cui in motivazione, rigettato il primo ed assorbiti tutti gli altri, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado delle Marche, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 29 maggio 2025.