Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33934 Anno 2019
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33934 Anno 2019
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/12/2019
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 27624 del ruolo generale dell’anno 2012, proposto da
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
Contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro temporeFa NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv.to Prof. NOME COGNOME e dall’Avv.to NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso il loro studio, in Roma al INDIRIZZO;
-controricorrente – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Umbria n. 217/1/2011, depositata in data 24 novembre 2011, non notificata.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 giugno 2019 dal Relatore Cons. NOME COGNOME di Nocera.
Rilevato che:
– la Commissione tributaria regionale dell’Umbria, con la sentenza n. 217/1/2011, depositata in data 24 novembre 2011, ha respinto l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Perugia che, accogliendo il ricorso di RAGIONE_SOCIALE aveva annullato l’avviso di accertamento notificato alla società per il pagamento dei maggiori diritti doganali pretesi – in relazione ad operazioni di importazioni di carne bovina congelata effettuate nel 2006- a seguito del disconoscimento del trattamento daziario agevolato di cui COGNOME aveva usufruito, quale titolare di certificat AGRIM, nell’ambito dei contingenti stabiliti in sede comunitaria (c.d. contingente GATT);
la CTR ha osservato: che con l’atto d’appello l’Ufficio aveva dedotto l’elusività delle operazioni, attraverso le quali COGNOME avev mantenuto intatta la propria quota di importazioni agevolate; che dunque – come eccepito dalla contribuente – il gravame si fondava su una ragione giuridica diversa da quella posta a base dell’atto impositivo impugnato, nel quale, sulla scorta di un p.v.c. redatto dalla Guardia di Finanza, si ipotizzava che COGNOME non avesse in alcun modo partecipato alle importazioni, ma si fosse limitata ad acquistare le carni allo stato estero per rivenderle, immediatamente dopo il loro ingresso nello spazio comunitario, alle stesse società da cui le aveva acquistate; che il rilievo era sufficiente alla reiezione dell’appe essendo preclusa all’Ufficio la possibilità di modificare nel corso de giudizio la motivazione dell’atto medesimo (è richiamata Cass. 10585/2011);
avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle dogane propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste, co controricorso, la società contribuente;
il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. secondo comma, e dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1-bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, 197.
Considerato che
-con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 36 comma 1, n. 5 c.p.c., la insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere la CTR illustrato le ragioni che l’hanno indotta a ritenere la novità della causa petendi concernente l’elusività delle operazioni poste in essere da RAGIONE_SOCIALE– sottesa alli appello- rispetto a quella posta a base
dell’avviso di rettifica in questione;secondo l’Agenzia sarebbe invece evidente che i temi dell’elusione e dell’abuso del diritto erano già contenuti nel p.v.c. e nell’atto impositivo e fossero stati solo ripresi sviluppatiin sede di gravame;
-il motivo è inammissibile per difetto di specificità, in quanto ricorrente – che non contesta di aver dedotto in appello l’elusività, non la simulazione, delle operazioni per cui è causa- ha trascritto solo stralci del p.v.c. e della motivazione dell’atto di rettifica, nei qua contestano, peraltro, “operazioni fittizie di acquisto e rivendita ag stessi soggetti”; ciò, in spregio al consolidato insegnamento di questa Corte, secondo cui “Il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità de ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fas processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (Cass. n. 743/2017; n. 26174/14, sez. un. 28547/08, sez. un. 23019/07, sez. un. ord. n. 7161/10); Corte di Cassazione – copia non ufficiale
-con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 54 (rectius: 56) del d.lgs. n. 546 del 1992, per avere la CTR erroneamente accolto l’eccezione, riproposta dalla società contribuente in appello, di novità del motivo spiegato dall’Agenzia in sede di gravame circa l’elusività delle operazioni in questione, ancorché su tale eccezione, già sollevata dalla detta società in primo grado, si fosse formato il giudicato interno, per averla la CTP
espressamente respinta (essendo stata la questione dell’elusività “già formulata quantomeno in forma latente” ritenendo quindi la non ricorrenza, nella fattispecie, della figura del c.d. abuso del diritt per non avere la contribuente proposto, sul punto, appello incidentale;
-in disparte l’avere la ricorrente richiamato, per mero errore materiale, l’art. 54 in luogo che l’art. 56 del d.lgs. n. 546 del 1992 motivo è infondato;
– nella specie, la CTR si è attenuta a detto principio, in quanto ha accolto l’eccezione, riproposta dalla società contribuente in appello, di novità del motivo spiegato dall’Agenzia in sede di gravame circa l’elusività delle operazioni in questione, senza che, a front dell’espresso rigetto della medesima eccezione da parte del giudice di prime cure (avendo quest’ultimo poi ritenuto non sussistente nella fattispecie il meccanismo dell’abuso del diritto), fosse necessaria la
proposizione da parte della contribuente dell’appello incidentale sul punto;
-non risultando in alcun modo dimostrata (e dovendosi anzi escludere, sulla scorta della motivazione di rigetto dell’appello) l’astratta compatibilità delle circostanze allegate dalle parti ritualmente acquisite al giudizio con la tematica dell’abusiva concatenazione di negozi giuridici leciti finalizzati però all’indebi risparmio d’imposta da parte di Cancelloni, resta assorbito il terzo motivo del ricorso, con il quale l’Agenzia denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione del principio della rilevabilit d’ufficio, in ogni stato e grado, dell’abuso del diritto come configurat dal diritto comunitario e dalla Corte di cassazione (sentenze n. 30055, 30056 e 30057 del 2008; 22258 del 2011; ord. n. 22716 del 2011);
in conclusione, il ricorso va rigettato;
le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle dogane e dei monopoli al pagamento in favore di RAGIONE_SOCIALE delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in eu 5.600,00 oltre rimborso forfettario nella misura del 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, in data 12 giugno 2019.