Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19979 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 19979 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 7822/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-ricorrente-
contro
COPPOLA NOME COGNOME NOME
-intimato- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA PUGLIA, SEZIONE STACCATA DI LECCE, n. 2161/2020 depositata il 21 ottobre 2020
udita la relazione svolta nell’udienza pubblica del 4 giugno 2025 dal Consigliere COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale COGNOME COGNOME il quale ha concluso per l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, respinto il terzo; udito per la ricorrente l’avvocato generale dello Stato COGNOME FrancescoCOGNOME
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale di Lecce dell’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di NOME COGNOME COGNOME, cittadino italiano trasferitosi nel Principato di Monaco e iscritto all’A.I.R.E., un avviso di accertamento con il quale, sull’assunto che il prefato contribuente fosse da considerare fiscalmente residente in Italia ai sensi dell’art. 2, comma 2 -bis , del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), contestava l’omessa dichiarazione dei redditi di lavoro autonomo dallo stesso percepiti nell’anno 2007, costituiti dai compensi corrispostigli dalla RAGIONE_SOCIALE società avente sede nel territorio nazionale; il tutto con le conseguenti riprese fiscali ai fini dell’IRPEF, dell’IRAP e dell’IVA e l’irrogazione delle sanzioni amministrative di legge.
Il COGNOME COGNOME impugnava tale avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Lecce, che accoglieva il suo ricorso, annullando l’atto impositivo.
La decisione veniva successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce, la quale, con sentenza n. 2161/2020 del 21 ottobre 2020, rigettava l’appello erariale.
A fondamento della pronuncia adottata il collegio di secondo grado osservava che: – non poteva trovare applicazione, nel caso di specie, la norma di cui all’art. 2, comma 2 -bis , del TUIR invocata dall’Amministrazione Finanziaria, essendo la stessa priva di portata retroattiva; gli elementi addotti dall’Ufficio non apparivano idonei a dimostrare che il COGNOME COGNOME avesse soggiornato in Italia per almeno «185 giorni» nell’anno d’imposta in verifica o che avesse posto ivi il centro principale dei suoi interessi; – dal canto suo, il contribuente aveva, invece, «adeguatamente comprovato, con diversi documenti, l’effettività della propria residenza fiscale a Monaco» ; -difettavano, pertanto, «gli elementi necessari a comprovare la sussistenza della soggettività passiva richiesta
dall’art. 2 TUIR» ; – alla luce delle svolte considerazioni, «cade (va) anche l’assunto dell’Ufficio secondo cui i compensi ricevuti per emolumenti corrisposti da società italiana, già assoggettati a tassazione con la ritenuta d’imposta del 30%» , avrebbero costituito «redditi da lavoro autonomo e frutto di un’attività organizzata, con (conseguente loro) assoggettamento ad imposizione Iva ed Irap» .
Contro questa sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Il COGNOME COGNOME non ha depositato controricorso.
La causa è stata chiamata all’odierna pubblica udienza per la discussione orale.
Nel termine di cui al comma 1 dell’art. 378 c.p.c. il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME ha depositato memoria, concludendo per l’accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, respinto il terzo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Tutti e tre i motivi di cui consta il ricorso in esame sono stati formulati ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c..
1.1 Con il primo è denunciata la violazione dell’art. 2, comma 2 -bis , del D.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR) e dell’art. 2697 c.c..
1.2 Si rimprovera alla CTR di aver a torto ritenuto inapplicabile alla presente fattispecie la norma recata dal menzionato art. 2, comma 2bis , del TUIR, nella formulazione vigente «ratione temporis» , in forza della quale si considerano residenti in Italia, salvo prova contraria, «i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con apposito decreto del Ministero delle finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale».
1.3 Viene, al riguardo, posto in evidenza che tale disposizione, introdotta dall’art. 10, comma 1, della L. n. 488 del 1998, era
entrata in vigore il 1° gennaio 1999, sicchè risultava pienamente operante nell’anno 2007, oggetto dell’accertamento tributario per cui è causa.
1.4 Fuorviato dall’erronea premessa giuridica da cui era partito, il collegio di secondo grado avrebbe operato un’indebita inversione dell’onere probatorio fra le parti, affermando che l’Amministrazione Finanziaria era tenuta a dimostrare la sussistenza dei presupposti richiesti dalla diversa norma contenuta nel comma 2 dello stesso art. 2 del TUIR affinchè una persona fisica possa essere considerata fiscalmente residente nel territorio dello Stato.
Con il secondo motivo sono lamentate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2 del D.P.R. n. 917 del 1986.
2.1 Si sostiene che avrebbe in ogni caso errato la Commissione regionale nell’escludere che il COGNOME COGNOME fosse da considerare residente in Italia ai fini delle imposte dirette, pur avendo l’Ufficio offerto numerosi elementi atti a comprovare che egli avesse mantenuto nel nostro Paese la sede principale dei suoi affari e interessi, personali e patrimoniali, anche dopo essere emigrato nel Principato di Monaco.
Con il terzo mezzo è dedotta la violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c..
3.1 Si eccepisce l’intervenuta formazione di un giudicato esterno in ordine alle .
3.2 Viene segnalato, in proposito, che sulle anzidette questioni la CTR pugliese si è già pronunciata con quattro distinte sentenze passate in giudicato, relative agli anni d’imposta 2001, 2002, 2003 e 2004.
3.3 Inoltre, i ricorsi proposti dal contribuente avverso altri due avvisi di accertamento inerenti agli anni 2008 e 2009 sono stati dichiarati inammissibili dalla CTP di Lecce con sentenze anch’esse
divenute definitive.
Così riassunti i mezzi di censura articolati dall’Amministrazione Finanziaria, va rilevata d’ufficio, in via pregiudiziale, l’inammissibilità dell’esperito gravame.
4.1 Dall’esame degli atti si evince che la notificazione del presente ricorso per cassazione è stata eseguita nei confronti del contribuente NOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME, rimasto contumace nel giudizio d’appello, a mezzo di due distinti plichi raccomandati spediti per posta all’indirizzo di INDIRIZZO in Milano, indicato come suo domicilio nella sentenza impugnata.
4.2 Nei relativi avvisi di ricevimento risultano attestati: (a)la mancata consegna di entrambi i suddetti plichi per temporanea assenza del destinatario; (b)il loro deposito presso l’ufficio postale; (c)l’immissione degli avvisi nella cassetta della corrispondenza; (d)la spedizione delle comunicazioni di avvenuto deposito (c.a.d.) con lettere raccomandate n. NUMERO_DOCUMENTO e n. 66600014379-5; (e)l’omesso ritiro degli atti entro il termine di dieci giorni.
4.3 La ricorrente non ha, però, prodotto (in formato cartaceo o telematico) le ricevute di ritorno delle comunicazioni di avvenuto deposito dei plichi in discorso, come attestato dalla certificazione rilasciata dalla Cancelleria, acquisita al fascicolo processuale.
4.4 Ciò posto, va osservato che sulla questione delle conseguenze derivanti dalla mancata allegazione della c.a.d. sono intervenute le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza n. 10012/2021, risolutiva di un contrasto interno di giurisprudenza.
4.5 Con il citato arresto il massimo organo nomofilattico ha affermato che, in caso di notifica di un atto impositivo ovvero processuale mediante il servizio postale, qualora l’atto non venga consegnato per rifiuto a riceverlo o per temporanea assenza del destinatario e di altre persone abilitate alla ricezione, la prova del perfezionamento della procedura notificatoria può essere data -in base a un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 8
della L. n. 890 del 1982- esclusivamente attraverso la produzione in giudizio dell’avviso di ricevimento della raccomandata contenente la comunicazione di avvenuto deposito, non essendo a tal fine sufficiente la prova della spedizione della suddetta raccomandata informativa.
4.6 Alla stregua del surriferito principio di diritto, in difetto di prova del perfezionamento della notificazione del ricorso e di svolgimento di attività difensiva ad opera della parte destinataria, non rimane che dichiarare l’inammissibilità della spiegata impugnazione (cfr. Cass. n. 10724/2025, Cass. n. 35078/2024, Cass. n. 33187/2024, Cass. n. 27268/2023, Cass. n. 16601/2019).
Nulla va, pertanto, statuito in ordine alle spese processuali.
Non deve farsi luogo all’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, essendo l’Agenzia delle Entrate esentata, mediante il meccanismo della prenotazione a debito previsto in favore delle amministrazioni pubbliche ( arg. ex artt. 12, comma 5, del D.L. n. 16 del 2012, convertito in L. n. 44 del 2012, e 158, comma 1, lettera a, del D.P.R. n. 115 del 2002), dal pagamento delle imposte e tasse gravanti sul processo (cfr. Cass. n. 4752/2025, Cass. n. 28204/2024, Cass. n. 27301/2016).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione