Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21482 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21482 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10902/2021 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME
-ricorrente-
contro MINISTERO ECONOMIA FINANZE;
-intimato- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 2258/2020 depositata il 08/10/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME impugnava l’atto di irrogazione n. 0006823.2611.2018 della sanzione pari ad € 7.000,00 emesso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze in relazione all’insufficiente versamento di € 3.500,00 del contributo unificato tributario dovuto per il ricorso presentato in data 20.07.2018 ed iscritto al n. 4107/18 RG;
La Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con sentenza n. 3205/2019 dichiarava il ricorso inammissibile ritenendo che la notifica del provvedimento si fosse perfezionata per compiuta giacenza in data 21.12.2018 e che il ricorso dovesse essere notificato entro il 18 febbraio 2019, notificato invece il 4 marzo 2019.
Avverso detta sentenza il contribuente proponeva appello chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata e conseguentemente anche l’annullamento dell’atto di irrogazione sanzione notificato.
La Commissione Tributaria Regionale di Lombardia, con sentenza n. 2258/2020 in data 23.09.2020 e depositata l’8.10.2020, respingeva l’impugnazione, confermando la sentenza impugnata ha condannato l’appellante al pagamento delle spese processuali in € 1000,00.
Il contribuente ricorre avverso l’anzidetta sentenza svolgendo due motivi.
Il Ministero dell’Economia è rimasta intimata.
MOTIVI DI DIRITTO
Con il primo motivo di ricorso, il contribuente deduce la .
Si osserva che il decidente ha ritenuto che la notifica dell’atto di irrogazione sanzione n. 0006823.26-11.2018 si fosse perfezionata in data 21.12.2018, per la compiuta giacenza di dieci giorni, senza però considerare che il signor COGNOME aveva ritirato il plico contenente l’atto presso l’ufficio postale in data 4.01.2019 . Si afferma che il termine di sessanta giorni per impugnare l’atto notificato a mezzo posta non può cominciare a decorrere prima che il destinatario abbia effettiva conoscenza del contenuto ovvero prima come nel caso di specie abbia materialmente ritirato il plico presso l’ufficio postale. Si ravvisa pertanto una grave violazione del diritto di difesa e del diritto al contradditorio a causa della mancata applicazione del principio della scissione degli effetti della notifica.
Si deduce che in materia di notifiche il disposto dell’art. 149 c.p.c. consente, nei casi in cui non sia espressamente vietato dalla legge, di eseguire la notificazione degli atti giudiziari anche a mezzo del servizio postale ai sensi della legge n. 890/1982, la quale si applica anche agli atti amministrativi della pubblica amministrazione per effetto degli articoli 12 e 14 della stessa legge. Alle notifiche di avvisi di accertamento effettuate dall’ente impositore a mezzo posta si applica il principio di scissione della notifica, cosiddetto doppio termine di notifica, che si perfeziona in due momenti: per il mittente/notificante nel momento in cui egli consegna il plico all’ufficiale giudiziario o all’ufficiale postale, assolvendo così il proprio dovere di comunicazione; per il destinatario quando questi riceve l’atto o è nella condizione di riceverlo, come attesta la data della relata di notifica, poiché è in quel momento che egli ne viene a conoscenza o potrebbe venirne a conoscenza.
Il motivo va disatteso.
L’odierno ricorrente pretende di attribuire rilevo decisivo all’annotazione che sarebbe stata apposta dall’agente postale sul piego da esso ritirato il 4 gennaio 2019 e ciò nella prospettiva di dimostrare la tempestività della proposta opposizione.
Il rigetto del motivo si impone alla stregua del principio secondo cui, “al fine di stabilire l’esistenza e la tempestività della notificazione di un atto giudiziario eseguita a mezzo del servizio postale, occorre fare riferimento esclusivamente ai dati risultanti dall’avviso di ricevimento, essendo soltanto tale documento idoneo a fornire la prova dell’esecuzione della notificazione, della data in cui è avvenuta e della persona cui il plico è stato consegnato” (cfr. Cass. Sez. 1, sent. 25 febbraio 2004, n. 3737, Rv. 570487-01). Di conseguenza, poiché – come evidenzia lo stesso ricorrente nel proprio ricorso – i dieci giorni per i quali è maturata la compiuta giacenza, sono spirati in data 21 dicembre 2018, questa è la data da individuarsi come dies a quo del termine di sessanta giorni per l’impugnazione dell’atto impositivo.
A fronte di tali risultanze, dunque, non può assumere rilievo l’avvenuto ritiro del plico, da parte del COGNOME il successivo 4 gennaio 2019 e ciò alla stregua del principio secondo cui “la notifica a mezzo posta, ove l’agente postale non possa recapitare l’atto, si perfeziona per il destinatario trascorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata, contenente l’avviso della tentata notifica e del deposito del piego presso l’ufficio postale, sicché il termine per l’impugnazione decorre da tale momento, rilevando il ritiro del piego, da parte del destinatario, solo se anteriore e non se successivo, come testualmente prevede l’art. 8, comma 4, della legge n. 890 del 1982, nell’attuale formulazione (cfr. Cass. Sez. 5, sent. 30 dicembre 2015, n. 26088; Cass. n. 15374 del 13/06/2018; Cass. n. 33147/2024 in motivazione).
Ne consegue, pertanto, che è da ritenere corretta l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui il termine di
sessanta giorni previsti per l’impugnazione dell’atto impositivo decorre dalla scadenza del decimo giorno, necessaria proprio perché maturi la compiuta giacenza, di cui all’art. 8, comma 2, della legge n. 890 del 1982.
Né risultano conferenti i riferimenti operati dal ricorrente con riguardo ai principi della scissione dei termini per il notificante e per il destinatario, che trovano applicazione anche nel caso in esame, discutendosi invece qui della individuazione del dies a quo di decorrenza del termine di impugnazione che decorre dalla scadenza del periodo di giacenza presso l’ufficio postale, ovvero dal momento in cui opera la presunzione di conoscibilità di cui all’art. 1335 c.c.( vale a dire allo scadere del decimo giorno dal tentativo di consegna, in analogia con quanto previsto in tema di notifiche degli atti giudiziari a mezzo posta)
2. Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione della norma sulla notifica in relazione all’art 360, primo comma, n. 3 c.p.c.; si assume che per ritualità della notifica è richiesta ai sensi dell’art 8 della L. n. 890/1982 la sola prova della spedizione della detta raccomandata ( c.d. C.A.D.) da cui far decorrere i dieci giorni ( spedito il 21 dicembre 2018) e non anche della sua avvenuta consegna; tuttavia, si deduce che la spedizione ( rinvio) risalirebbe al 21.12.2018, mentre l’atto è stato ritirato il 4.1.2019.
Il motivo si palesa inammissibile in quanto, non solo in netto contrasto con quanto risulta dalla decisine impugnata, ma anche perché per la prima volta, il contribuente deduce in questa sede una data diversa di invio della raccomandata.
Sotto il primo profilo, si legge a pagina 2 della decisione impugnata che , cosicché la procedura della compiuta giacenza si è compiuta con il decorso del decimo giorno dal deposito dell’atto presso l’ufficio postale.
Il motivo è dunque inammissibile, in quanto che presuppone la proposizione delle relative questioni già nella fase di merito, in primis, nel giudizio di prime cure. Il ricorrente che proponga una questione ha l’onere di allegare l’avvenuta deduzione della questione nel giudizio di appello ed anche di indicare in quale atto processuale del giudizio precedente, in modo da consentire alla corte l’accertamento ex actis della veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa ( Cass. n. 16502/2017, in motiv; n. 9138/2016). Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, difatti, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio(v. Cass. Sez. 3, 09/01/2002 n. 194; più di recente, v. Cass. Sez. 6 – 1, 09/07/2013 n. 17041; n. 25319/2017; n. 907/2018). In materia di ricorso per cassazione, la parte non può mutare – salvo che tale esigenza origini dalla sentenza impugnata – la posizione assunta nel giudizio di appello, attraverso il proprio atto introduttivo o difensivo, per sostenere un motivo di ricorso, giacché, diversamente, si consentirebbe tanto all’appellante di modificare, in un successivo grado di giudizio, il contenuto dell’atto di gravame ed i relativi motivi, con manifesta contraddizione rispetto alla logica che presiede l’esercizio stesso del diritto di impugnazione in appello, le cui ragioni e conclusioni vanno esposte in detta fase processuale, quanto, correlativamente, all’appellato, di mutare le proprie difese rispetto a quelle svolte nell’atto di costituzione ( Cass. 2033/2017).
Segue il rigetto del ricorso. Nulla va disposto in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore dell’intimato poiché il medesimo non ha svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
v.to l’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012; – dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della