Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8601 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8601 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: LIBERATI NOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18386/2020 R.G. proposto da : COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE – RISCOSSIONE, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO -controricorrente- avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sede di NAPOLI n. 8256/2019 depositata il 05/11/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
L’Agente della riscossione notificava, ai sensi dell’art. 50, comma 2, del D.P.R. 602/1973, alla società tra professionisti ‘ RAGIONE_SOCIALE. L’intimazione di pagamento n. NUMERO_CARTA relativa al mancato pagamento di undici cartelle e quattro avvisi di addebito, già in precedenza notificati e non onorati.
Il contribuente proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, la quale, con sentenza n. 17311/39/2018, confermava la contestata validità della notifica delle cartelle opposte e dichiarava inammissibile il ricorso, salvo che nella parte relativa alla cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA accolta per omessa produzion e di copia dell’avvenuta notifica.
La società contribuente riproponeva le proprie doglianze innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania. Anche l’Agente della riscossione impugnava la sentenza innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, rappresentando la ritualità della notifica della cartella di pagamento n. NUMERO_DOCUMENTO in quanto avvenuta a mezzo posta elettronica certificata.
La CTR confermava la sentenza di prime cure e ribadiva la ritualità della notifica delle cartelle, rilevando che: l’impugnazione delle cartelle di pagamento comportava l’avvenuta sanatoria della notifica tramite PEC; la mancata notifica di una delle cartelle di pagamento non inficiava la validità dell’intimazione di pagamento; l’agente di riscossione con il deposito della documentazione (ricevute di consegna PEC e cartelle di pagamento cartacee) aveva dimostrato la corretta procedura di notifica.
D ichiarava altresì inammissibile l’appello dell’Ente di esazione, notificato oltre i sessanta giorni dalla notifica dell’atto di appello principale della società contribuente.
Avverso la suddetta sentenza di gravame, parte contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a n. 5 motivi, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate .
La Procura Generale ha depositato requisitoria scritta, chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi n. 1, 3 e 4 devono essere analizzati unitamente, attesa la stretta connessione.
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione art. 6 ter d.l. 7 marzo 2005 n. 82 (Codice Amministrazione Digitale) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n.3 . Parte ricorrente contesta la validità dell’intimazione di pagamento in quanto non sarebbe stata correttamente preceduta dalla notifica delle cartelle di pagamento. Rileva in particolare che il giudice di prime cure, pur avendo riconosciuto il vizio di notifica di una delle cartelle di pagamento, non ne avrebbe tratto le dovute conseguenze in merito alla validità dell’intimazione.
Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione art. 23 d.l. 7 marzo 2005 n. 82 (Codice Amministrazione Digitale) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 . Si assume l’inesistenza della notifica delle cartelle di pagamento a causa dell’utilizzo da parte dell’Agente della Riscossione di un indirizzo PEC non presente nei pubblici registri, come previsto dal Codice dell’Amministrazione Digitale. La sanatoria prospettata dalla Commissione Tributaria Regionale non sarebbe applicabile in questo caso, in quanto il contribuente non ha gli strumenti per accertare la titolarità della PEC del soggetto notificante. L’utilizzo di un indirizzo PEC non presente nei registri pubblici priverebbe il contribuente della possibilità di verificare la legittimità della notifica.
Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione art. 50 del d.P.R. 602/73, in relazione all’art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 3. La mancata notifica della cartella di pagamento n.NUMERO_CARTA, rilevata dalla Commissione Tributaria Regionale, inficerebbe la validità dell’intimazione di pagamento, rendendo la notifica della stessa palesemente viziata. Non sarebbe possibile, secondo il ricorrente, “scindere” le diverse poste creditorie, considerando valida l’intimazione di pagamento pur in presenza di una cartella di pagamento non notificata.
Con riferimento a tutti e tre i motivi sopra descritti (nn. 1, 3 e 4), deve ritenersi dirimente la considerazione che gli ipotetici vizi della notificazione sono comunque sanati ai sensi degli articoli 160 e 156, comma 3, c.p.c., atteso che è provato che il contribuente abbia avuto piena cognizione dell’atto.
5.1. Nel caso specifico, il ricorrente ha dimostrato infatti di avere ricevuto l’atto in notifica, provvedendo alla sua tempestiva impugnazione e alla sua allegazione in atti.
5.2. Il principio si applica, per espressa giurisprudenza di questa Corte, anche alla notifica via PEC, ed anche in ipotesi di utilizzo di un formato diverso, laddove abbia comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale (Cass. 18/04/2016, n. 7665 (Rv. 639285 – 01)).
5.3. Quanto alla circostanza che il mittente non risulterebbe negli elenchi ufficiali, questa Corte ha inoltre già avuto modo di evidenziare che in tema di notificazione a mezzo PEC della cartella esattoriale, da parte dell’agente della riscossione, l’estraneità dell’indirizzo del mittente dal registro INI-Pec non inficia ” ex se ” la presunzione di riferibilità della notifica al soggetto da cui essa risulta provenire, testualmente ricavabile dall’indirizzo del mittente, occorrendo invece che la parte contribuente evidenzi quali pregiudizi sostanziali al diritto di difesa siano dipesi dalla ricezione della notifica della cartella di pagamento da un indirizzo diverso da quello telematico presente in tale registro (Cass. 03/07/2023, n. 18684 (Rv. 668249 – 01)).
Tale prova non è stata data, e, anzi, il ricorrente ha ben replicato agli atti in questione per il tramite delle proprie difese.
5.4. Priva di fondamento è poi la considerazione che non sarebbe possibile, come da tesi del ricorrente, “scindere” le diverse poste creditorie, considerando valida l’intimazione di pagamento pur in presenza di una cartella di pagamento non notificata. Rettamente la CTR ha operato una invalidazione parziale, limitata alla cartella di pagamento non notificata, e ritenendo valida nel resto la intimazione di pagamento, potendosi distinguere il fondamento della ingiunzione in base alle varie autonome pretese. Il motivo è infondato in fatto.
5.5. I motivi vanno dunque respinti.
Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente contesta la violazione dell’art. 36 del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, in uno con art. 132 c.p.c. e art. 111 Cost. in relazione all’art. 360, n. 5. Il giudice del gravame non avrebbe chiarito il percorso logico-giuridico che lo ha portato a ritenere valide le notifiche, limitandosi ad accettare la semplice “ricevuta di consegna” senza valutare la necessità di ulteriori elementi probatori.
6.1. In sostanza si denuncia la contraddittorietà e la carenza motivazionale della sentenza della Commissione Tributaria Regionale nella parte in cui si afferma che alcune cartelle sarebbero state notificate correttamente, ma che per alcune di esse non sono state depositate le cartelle, ma solo le ricevute di consegna via PEC, senza fornire adeguata motivazione sul collegamento tra le ricevute e il contenuto delle notifiche. Il giudice di II grado avrebbe contraddetto le proprie affermazioni non spiegando adeguatamente il proprio ragionamento, violando gli obblighi di motivazione previsti dall’art. 132 c.p.c. e dalla giurisprudenza consolidata.
6.2. Il motivo è inammissibile.
6.3. Sotto il profilo della denuncia del vizio motivazionale, la censura si scontra con il divieto di cui all’art. 348 ter c.p.c. (applicabile
rationae temporis ) in presenza di c.d. doppia conforme, e senza che la ricorrente abbia dimostrato una divergenza delle ragioni di fatto alla base delle due decisioni di merito (Cass. 28/05/2024, n. 14846).
Con il quinto motivo di ricorso, il ricorrente contesta la v iolazione dell’art. 36 del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, in art. 360, n. 3, uno con art. 132 c.p.c. Il giudice, invertendo l’onere della prova e violando la legge, avrebbe ritenuto dimostrata la notifica delle cartelle basandosi esclusivamente sulle ricevute di notifica. Inoltre, avrebbe dichiarato avvenuta la notifica anche in assenza del deposito delle cartelle di pagamento, considerando valida una stampa riferita soltanto alla ricevuta di consegna, senza che vi fosse anche il contenuto delle cartelle stesse.
7.1. Sotto il profilo della violazione di legge si cerca di far valere, in realtà un presunto vizio di motivazione, in particolare con riferimento al fatto che la sola “ricevuta di consegna” PEC, in assenza delle cartelle di pagamento, non può costituire prova sufficiente dell’avvenuta notifica.
7.2. Il motivo è inammissibile, atteso che il vizio di motivazione è oggi ricondotto alle specifiche e più ipotesi previste di motivazione apparente, quella cioè non idonea ad integrare nemmeno il c.d. minio costituzionale della motivazione, che non è certamente sussistente nel caso di specie, tanto che, di fatto, se ne contesta il ragionamento.
7.3. La censura va dunque dichiarata è inammissibile.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso va quindi rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
In conseguenza dell’esito del giudizio ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la sussistenza dei presupposti per il pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la
presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.880,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dov uto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 25/03/2025.