Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24718 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24718 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/09/2025
Oggetto: Tributi Notifica cartella di pagamento a mezzo pecindirizzi non risultanti da pubblici registri
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 26147 del ruolo generale dell’anno 20 19 proposto
Da
Provincia di Foggia , in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo difensore in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
Contro
Agenzia delle Entrate-Riscossione , in persona del Presidente pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che le rappresenta e difende ;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. staccata di Foggia, n. 1471/26/2019 depositata in data 9 maggio 2019;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10 luglio 2025 dal Relatore Cons. NOME COGNOME di Nocera.
RILEVATO CHE
1.La Provincia di Foggia, in persona del legale rappresentante pro tempore , propone ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione staccata di Foggia, aveva rigettato l’appello proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate-riscossione avverso la sentenza n. 1567/03/2017 della Commissione Tributaria Provinciale di Foggia che -investita dalla Provincia de ll’impugnativa di due atti di pignoramento presso terzi emessi a seguito di due cartelle di pagamento che si assumevano irritualmente notificate – aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione relativamente alla cartella concernente contravvenzioni al codice della strada e rigettato per il resto il ricorso, rilevando la ritualit à della notifica dell’altra cartella.
2.In punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha osservato che:
l’eccezione di difetto di rappresentanza
processuale dell’Agenzia
delle entrate-riscossione – subentrata ex lege ad Equitalia s.p.a. -da parte di Avvocato del libero foro, era inammissibile in quanto formulata tardivamente soltanto all’udienza del 13 novembre 2018 e, comunque, infondata alla luce dell’art. 4 del Regolamento di amministrazione dell’Ente e della Convenzione intervenuta tra l’Agente della Riscossione e l’Avvocatura generale dello Stato il 22 giugno 2017, non essendo la difesa tecnica dell’Agenzia affidata in via esclusiva a quest’ultima; 2) trattandosi di fonti normative entrambe pubbliche e di facile consultazione da parte di qualsiasi interessato, non concretando ‘documenti in senso stretto’ , era in fondata l’eccezione di violazione del termine di cui all’art. 32 del d.lgs. n. 546/92; 3) era rituale la notifica della cartella esattoriale effettuata a mezzo posta elettronica ai sensi dell’art. 26 del DPR n. 602/73; in particolare, detta notifica era stata effettuata, a mezzo pec, ritualmente all’indirizzo risultante da un pubblico elenco (al quale erano stati notificati anche gli atti di pignoramento impugnati); il documento notificato non era una copia ma l’originale informatico per cui non era necessaria l’attestazione di conformità; la ricevuta di consegna del documento nella casella di posta elettronica del destinatario costituiva prova idonea ai sensi dell’art. 6 , comma 3, del DPR n. 68/2005 (S.U. n. 7665/2016) e la provenienza del documento dall’Ente incaricato della riscossione era certa ed emergeva dai dati di certificazione (art. 1, comma 2, lett. r del D.M. 2.11.2005); 4) la ricorrente aveva denunciato soltanto un vizio procedimentale senza prospettare per quale motivo e in che misura ne fosse derivata una lesione del diritto di difesa; 5) un’eventuale nullità -e non già denunciata inesistenza- della notifica de qua sarebbe comunque da ritenere sanata stante il raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 1 56, comma 2, c.p.c.
3.L’Agenzia delle entrate -riscossione resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si denuncia , in relazione all’art. 360 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 co. 2 del D.lgs. n. 546/92 dell’art. 1 D.L. n 193/2016 , per avere la CTR ritenuto l’eccezione relativa al difetto di rappresentanza processuale dell’Agenzia delle entrate- riscossione: a) tardiva sebbene fosse stata tempestivamente sollevata con la memoria illustrativa ex art. 32 del d.lgs. n. 546 del 1992 e, comunque, fosse questione rilev abile d’ufficio in ogni stato e grado; b) comunque, infondata sebbene l’Agenzia delle entrate -riscossione -quale successore ope legis di Equitalia ex art. 1 del d.l. n. 193 del 2016, conv. nella legge n. 225 del 2016 -dovesse costituirsi avvalendosi, a pena di nullità del mandato difensivo, del patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato salva l’allegazione di un atto organizzativo generale contenente gli specifici criteri legittimanti il ricorso ad avvocati del libero foro e di apposita motivata delibera dell’ente indicante (così da renderle controllabili da parte degli organi di vigilanza) le ragioni che, nella concretezza del caso, giustifichino tale ricorso in alternativa alla regola generale; nel caso di specie, ad avviso della Provincia, stante il difetto di ius postulandi , rilevabile peraltro d’ufficio, sarebbe inammissibile la costituzione dell’Agenzia delle entrate- riscossione e conseguenzialmente inutilizzabile la depositata produzione documentale afferente la notifica a mezzo pec della cartella presupposta.
1.1.La sub censura (a) relativa all’asserita tardività dell’ eccezione di difetto di rappresentanza processuale è inammissibile per difetto di interesse ex art. 100 c.p.c., avendo la CTR -dopo avere rilevato la tardività della relativa eccezione -rigettato nel merito la stessa.
1.2.La sub censura (b) – che aggredisce la statuizione del giudice di appello circa la rituale rappresentanza processuale dell’Agenzia delle
entrate-riscossione a mezzo avvocato del libero foro – è infondata alla stregua delle disposizioni introdotte dalla riforma del settore di cui al d.l. n. 193/2016, convertito con modificazioni dalla legge n. 225/2016, cui ha fatto seguito la stipula del Protocollo d’intesa tra Avvocatura dello Stato e Agenzia delle Entrate – Riscossione n. 36437 del 5 luglio 2017, nonché alla luce della sentenza delle Sezioni unite di questa Corte del 19 novembre 2019, n. 30008 che, pronunciando al riguardo, impregiudicata la generale facoltà di avvalersi di propri dipendenti delegati davanti al tribunale e al giudice di pace, per la rappresentanza e la difesa in giudizio, hanno affermato (par. 24) il seguente principio di diritto: «l’Agenzia delle Entrate -Riscossione si avvale: 1) dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti come ad essa riservati dalla Convenzione con questa intervenuta (fatte salve le ipotesi di conflitto e, ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1933, art. 43, comma 4, di apposita motivata delibera da adottare in casi speciali e da sottoporre all’organo di vigilanza), oppure ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici; 2) ovvero, in alternativa e senza bisogno di formalità, né della delibera prevista dal citato R.D. richiamato, art. 43, comma 4, di avvocati del libero Foro – nel rispetto del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, artt. 4 e 17, e dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi del d.l. n. 193 del 2016, medesimo art. 1, comma 5, – in tutti gli altri casi ed in quelli in cui, pure riservati convenzionalmente all’Avvocatura erariale, questa non sia disponibile ad assumere il patrocinio; quando la scelta tra il patrocinio dell’Avvocatura erariale e quello di un avvocato del libero foro discende dalla riconduzione della fattispecie alle ipotesi previste dalla Convenzione tra l’Agenzia e l’Avvocatura o di indisponibilità di questa di assumere il patrocinio, la costituzione dell’Agenzia a mezzo dell’una o dell’altro postula necessariamente e implicitamente la sussistenza del relativo presupposto di legge, senza bisogno di
allegazione e di prova al riguardo, nemmeno nel giudizio di legittimità» (Cass., sez. U., sent. n. 30008/2019; v. anche Cass. 29 novembre 2019, n. 31241; Cass., sez. U., 23 febbraio 2021, n. 4845; Cass., sez. U., 8 giugno 2021, n. 15911). Pertanto, con l’istituzione dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione (ADER) si è passati dalla previsione dell’integrale ed esclusiva devoluzione del suo patrocinio all’Avvocatura dello Stato, ai sensi del R.D. n. 1611 del 1933, art. 43, alla previsione di un patrocinio affidabile anche ad avvocati del libero foro; il legislatore, cioè, allo scopo di ampliare e rendere effettiva la difesa in giudizio della neo istituita Agenzia delle Entrate Riscossione, ha delineato un sistema nel quale, impregiudicata la generale facoltà dell’Agenzia anzidetta di farsi rappresentare anche da propri dipendenti delegati innanzi ai Tribunali, ai Giudici di pace ed alle Commissioni tributarie, in tutti i casi non espressamente riservati all’Avvocatura dello stato su base convenzionale, è consentito all’Agenzia delle Entrate – Riscossione di avvalersi anche di avvocati del libero Foro, secondo un meccanismo sostanzialmente automatico, dovendosi ritenere che la costituzione dell’Agenzia delle Entrate -Riscossione, a mezzo dell’Avvocatura dello Stato, ovvero degli avvocati del libero Foro postuli necessariamente ed implicitamente la sussistenza dei relativi presupposti di legge, senza bisogno di allegare documenti o di fornire prove al riguardo, neppure nel giudizio di legittimità. L’orientamento di cui sopra ha ricevuto ulteriore conferma dal d.l. n. 34/2019, art. 4nonies, convertito dalla legge n. 58/2019, recante norme di interpretazione autentica in materia di difesa in giudizio dell’Agenzia delle Entrate Riscossione; detta norma ha fornito invero un’interpretazione autentica del d.l. n. 193/2016, art. 1, comma 8, convertito con modificazioni dalla legge n. 225/2016, recante norme in materia di soppressione di Equitalia e di patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, chiarendo appunto che il rapporto fra l’Agenzia delle Entrate
Riscossione e l’Avvocatura dello Stato intanto assume un rilievo speciale in quanto sussista una convenzione fra tali due enti; e, nella specie, nessuna convenzione risulta essere stata stipulata fra i due enti (cfr. ex multis, Cass. 27 ottobre 2021, n. 30252). Alla luce dei predetti principi, questa Corte ha ulteriormente osservato che «il Protocollo d’intesa tra Avvocatura dello Stato e Agenzia delle Entrate -Riscossione, n. 36437 del 5 luglio 2017, prevede espressamente, in tema di “Contenzioso afferente l’attività di RAGIONE_SOCIALE“, al punto 3.4.2, che “L’Ente sta in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti o di avvocati del libero foro, iscritti nel proprio Elenco avvocati, nelle controversie relative a: (…) liti innanzi alle Commissioni Tributarie» (Cass. 28 ottobre 2021, n. 30432; v. anche Cass. 8 ottobre 2020, n. 21660; Cass. 6 luglio 2020, n. 13804). In ragione della citata giurisprudenza deve ritenersi che- come statuito dalla CTR- del tutto legittimamente l’ADER si era avvalsa di un avvocato del libero Foro.
Con il secondo motivo si denuncia , in relazione all’art. 360 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 32 D.lgs. 546/92 per avere la CTR – pur rilevando l’avvenuto deposito dei documenti (Regolamento di Amministrazione dell’Ente e Convenzione intervenuta con l’Avvocatura generale dello Stato il 22 giugno 2017) oltre il termine di cui all’art. 32 del d.lgs. n. 546/92 rigettato la relativa eccezione sul presupposto che tali atti non costituissero ‘documenti in senso stretto’ sebbene, non concretando il Regolamento di amministrazione un atto normativo paraprimario o subprimario ma una norma secondaria né tantomeno essendo una fonte normativa pubblica la Convenzione con l’Avvocatura dello Stato, l’Agenzia delle entrate -riscossione fosse tenuta al rispetto del termin e di cui all’art. 32 cit. con riguardo al deposito di tali atti.
2.1.Il rigetto della sub censura (b) di cui primo motivo per le ragioni sopra indicate implica l’assorbimento del secondo motivo.
Con il terzo motivo si denuncia , in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. , la violazione e falsa applicazione degli artt. 26 e 60 del D.P.R. 600/73 e dell’art. 16 quater del D.L. n. 179/2012, per avere la CTR ritenuto rituale la notifica, in data 19.2.2016, da parte de ll’Agente della riscossione, a mezzo pec, della cartella di pagamento sebbene: 1) a tale data, la notifica dell’atto nei confronti dell’ente pubblico non potesse essere eseguita a mezzo pec ma in base all’art. 60 del DPR n. 600/73 (‘ secondo le norme stabilite dagli artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile …’) , non risultando la Provincia di Foggia censita nel registro INI PEC né essendo stato, peraltro, l’atto trasmesso da un indirizzo pec (notificaEMAIL iscritto in pubblici registri; 2) la cartella in questione fosse stata inviata in formato PDF senza firma digitale, e, non già, in formato p7m. Pertanto, ad avviso della ricorrente, trattandosi di una inesistenza giuridica della notifica non poteva essere invocata la ‘sanatoria per raggiungimento dello scopo’ ai sensi dell’art. 156 c.p.c.
Con il quarto motivo si denuncia , in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 22 , comma 5, del D.lgs. 546/92 e degli artt. 2712-2719 c.c., per avere la CTR ritenuto rituale la notifica via pec della sottesa cartella senza valutare l’eccezione -riproposta in sede di gravame- di non conformità a ll’ originale della documentazione prodotta in copia dall’Agenzia delle entrate -riscossione (ricevute di accettazione e consegna della notifica via pec e cartella di pagamento); in particolare, ad avviso della ricorrente, l’atto inviato – sia esso ‘copia informatica dell’originale’ che ‘ copia informatica di un documento analogico ‘ -avrebbe necessitato dell’attestazione di conformità di un pubblico ufficiale, potere di
certificazione non riconoscibile (come nella specie) in capo ai funzionari di Equitalia.
5.I motivi terzo e quarto- da trattare congiuntamente- sono infondati.
5.1.Quanto alla denuncia di irritualità della notifica, via pec, della cartella di pagamento in quanto effettuata da un indirizzo del mittente (notificaEMAIL e a un indirizzo della Provincia destinataria, entrambi non iscritti nei pubblici registri, questa Corte ha statuito che, in tema di notificazione a mezzo PEC, la notifica avvenuta utilizzando un indirizzo di posta elettronica istituzionale, non risultante nei pubblici elenchi, non è nulla, ove la stessa abbia consentito, comunque, al destinatario di svolgere compiutamente le proprie difese, senza alcuna incertezza in ordine alla provenienza ed all’oggetto, tenuto conto che la più stringente regola, di cui all’art. 3-bis, comma 1, della L. n. 53 del 1994, detta un principio generale riferito alle sole notifiche eseguite dagli avvocati, che, ai fini della notifica nei confronti della P.A., può essere utilizzato anche l’Indice di cui all’art. 6-ter del d.lgs. n. 82 del 2005 e che, in ogni caso, una maggiore rigidità formale in tema di notifiche digitali è richiesta per l’individuazione dell’indirizzo del destinatario, cioè del soggetto passivo a cui è associato un onere di tenuta diligente del proprio casellario, ma non anche del mittente (Cass. Sez. U, sentenza n. 15979 del 18/05/2022; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 982 del 2023; Cass. sez. 6-5, Ordinanza n. 6015 del 2023); sulla scia di quel principio, Cass. n. 18684 del 3 luglio 2023, dopo aver ribadito che l’art. 3 -bis della legge n. 53/1994 è disposizione che si riferisce ai soli avvocati; che, invece, in materia tributaria, vi è la norma speciale di cui all’art. 26, seco ndo comma, del d.P.R. n. 602/1973 che prevede l’obbligo di utilizzo di un indirizzo presente nel registro INI-Pec del solo destinatario della notifica della cartella di pagamento e non dell’agente della riscossione mittente; che siffatta
diversità di trattamento normativo non configura alcuna disparità di trattamento in quanto le prescrizioni che ineriscono all’indirizzo del mittente non vanno assoggettate alle stesse regole previste per il destinatario dell’atto, con riguardo al quale va fatta applicazione della disciplina propria dell’elezione di domicilio, cui dev’essere equiparato l’indirizzo di p.e.c. inserito nel predetto registro, diversamente da quanto accade per il mittente; che laddove l’agente della riscossione abbia effettuato la notifica per mezzo di un indirizzo p.e.c. non risultante nei pubblici registri (RegInde, INIPec e Ipa) non si verifica alcuna nullità della notifica; ha affermato che «In tema di notificazione a mezzo PEC della cartella esattoriale, da parte dell’agente della riscossione, l’estraneità dell’indirizzo del mittente dal registro INI-Pec non inficia “ex se” la presunzione di riferibilità della notifica al soggetto da cui essa risulta provenire, testualmente ricavabile dall’indirizzo del mittente, occorrendo invece che la parte contribuente evidenzi quali pregiudizi sostanziali al diritto di difesa siano dipesi dalla ricezione della notifica della cartella di pagamento da un indirizzo diverso da quello telematico presente in tale registro». (Sez. 5, Ordinanza n. 32370 del 2024; Sez. 5, n. 34819 del 2024). provvedimenti, tra le tante, n.23903/2018) ha chiarito che indispensabili pe
5.2.Già da tempo la Corte di cassazione (cfr. Sez. U. sentenze 20 luglio 2016, n. 14916 e 14917 con riferimento al ricorso per Cassazione, n.20659/2017 quanto alle impugnazioni in generale e poi quanto ai è necessario delimitare la categoria dell’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione ai soli casi in cui l’atto sia privo dei requisiti minimi previsti dalla legge per la sussistenza della fattispecie. I requisiti r l’esistenza della notificazione consistono nell’attività di trasmissione dell’atto svolta da un soggetto qualificato a compierla e nella fase di consegna in senso lato. Soltanto la notificazione priva di
uno di tali elementi pu ò̀ considerarsi inesistente e improduttiva di effetti senza possibilit à di sanatoria.
5.3.Posto quanto sopra, nella sentenza impugnata, la CTR si è attenuta ai suddetti principi nel ritenere rituale la notifica, via pec, della cartella di pagamento in questione da parte dell’Agente della riscossione , ai sensi dell’art. 26 cit. , all’indirizzo della Provincia che – in base ad un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità -‘ risultava da un pubblico elenco ‘ (lo stesso al quale erano stati notificati anche gli atti di pignoramento impugnati); peraltro, ha affermato che la ricevuta di consegna del documento nella casella di posta elettronica del destinatario costituiva prova idonea ai sensi dell’art. 6, comma 3, del DPR n. 68/2005 producendo il risultato della conoscenza dell’atto e determinando così il raggiungimento dello scopo legale (è richiamata Cass., sez. un., n. 7665 del 2016 ); né quanto al dedotto invio dell’atto da un indirizzo dell’Agente della riscossione (notificaEMAIL) non inserito nei pubblici registri, la contribuente ha evidenziato quali pregiudizi sostanziali al diritto di difesa fossero dipesi dalla ricezione della notifica della cartella di pagamento da un indirizzo diverso da quello telematico presente in tale registro. Alla luce dei consolidati e ripetuti principi di questa Corte, in caso di notificazione, a mezzo PEC, da parte dell’agente della riscossione, il mancato rispetto degli articoli 3-bis, comma 1, legge n.53/1994 e 16-ter, d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 per estraneità dell’indirizzo del mittente dai pubblici registri (INA, Reginde e INI-Pec) non determina di per sé l’inesistenza della notificazione se l’identificazione del soggetto qualificato a compierla e la fase di consegna in senso lato emergono dalla ricevuta di avvenuta consegna del messaggio, occorrendo che l’interessato evidenzi quali eventuali pregiudizi sostanziali al diritto di difesa abbia subito (Cass. n. 34819/2024). Nella specie, la CTR ha accertato -con un
apprezzamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità- che la provenienza del documento dall’Ente incaricato della riscossione emergeva dai dati di certificazione ex art. 1, comma 2, lett r del DM 2 novembre 2005 (dati di certificazione: i dati, quali ad esempio data ed ora di invio, mittente, destinatario, oggetto, identificativo del messaggio, che descrivono l’invio del messaggio originale e sono certificati dal gestore di posta elettronica certificata del mittente; tali dati sono inseriti nelle ricevute e sono trasferiti al titolare destinatario insieme al messaggio originale per mezzo di una busta di trasporto); né la Provincia di Foggia ha evidenziato eventuali pregiudizi sostanziali al diritto di difesa dipesi dalla ricezione della notifica dell’intimazione da un indirizzo diverso da quello telematico presente in tale registro, avendo, invece, tempestivamente impugnato il provvedimento davanti alla corretta autorità giudiziaria evocando in giudizio il mittente esattamente identificato.
5.4.Infondata è anche la sub censura inerente il formato del file allegato al messaggio PEC dovendo essere, ad avviso della ricorrente, la genuinità dell’atto garantita soltanto dalla firma elettronica (CADES) identificata da file con estensione ‘p7m’ .
Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che, a norma dell’art. 12 del decreto dirigenziale del 16 aprile 2014, di cui all’art. 34 del Decreto del Ministero della Giustizia n. 44/2011, in conformità agli standard previsti dal Regolamento (UE) n. 910/2014 e alla relativa decisione di esecuzione (UE) della Commissione n. 1506/2015, le firme digitali di tipo “CAdES” e di tipo “PAdES” sono entrambe ammesse e equivalenti, sia pure con le differenti estensioni “.p7m” e “.pdf” (Cass., Sez. V, 19 dicembre 2023, n. 35541; Cass., Sez. V, 12 gennaio 2023, n. 801; Cass., Sez. VI, 15 giugno 2022, n. 19216; Cass., Sez. VI, 13 aprile 2022, n. 12016; Cass. Sez. U., 27 aprile 2018, n. 10266; v. nello stesso senso Cass. n. 30922 del 2024).
5.5. Quanto alla denunciata omessa certificazionemediante attestazione di un pubblico ufficiale- della conformità agli originali delle ricevute pec e della cartella notificata, va premesso che l’art. 1, lett. f), del d.p.r. n. 68 del 2005, definisce il messaggio di posta elettronica certificata, come « un documento informatico composto dal testo del messaggio, dai dati di certificazione e dagli eventuali documenti informatici allegati ». La lett. i-ter), dell’art. 1 del Dlgs. 7/3/2005 n. 82 (CAD) – inserita dall’art. 1, comma 1, lett. c), del d.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235 – poi, definisce « copia per immagine su supporto informatico di documento analogico » come « il documento informatico avente contenuto e forma identici a quelli del documento analogico », mentre la lett. i-quinquies), dell’art. 1 del medesimo CAD – inserita dall’art. 1, comma 1, lett. c), del d.Lgs. 30 dicembre 2010, n. 235 -, nel definire il « duplicato informatico » parla di « documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario ».
5.6.Dunque, alla luce della disciplina surriferita, la notifica della cartella di pagamento può avvenire, indifferentemente, sia allegando al messaggio PEC un documento informatico, che sia duplicato informatico dell’atto originario (il c.d. “atto nativo digitale”), sia mediante una copia per immagini su supporto informatico di documento in originale cartaceo (la c.d. “copia informatica”) (v. Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 30948 del 2019).
5.7. Questa Corte ha affermato che ‘ ove la produzione in giudizio di atti nativi digitali, , avvenga mediante allegazione al fascicolo processuale in modalità telematica, non è necessaria la relativa attestazione di conformità all’originale da parte del difensore ‘
(Cass. n. 2023 n. 981). Come precisato nella richiamata ordinanza l a ragione della scelta operata dal legislatore, che non richiede l’attestazione di conformità in relazione all’atto nativo digitale, il quale sia prodotto in giudizio in tale forma, mediante allegazione telematica al fascicolo dibattimentale, dipende dal fatto che, a differenza dei documenti su supporto cartaceo, in cui vi è un problema di conformità dell’atto depositato con l’originale, quando il deposito riguarda l’atto digitale, lo stesso non viene prodotto in “copia”, bensì in originale, essendo l’originale dell’atto suscettibile di ripetute riproduzioni, senza perdere le sue caratteristiche di essere un atto originale. Orbene tale principio di non necessità di una attestazione di conformità è applicabile nel caso di produzione in giudizio di qualsiasi documento informatico, che sia duplicato informatico dell’atto originario (il c.d. “atto nativo digitale”).
5.8.Nella sentenza impugnata la CTR si è attenuta al suddetto principio nel ritenere non necessaria l’attestazione di conformità essendo stato il documento notificato ‘non una copia ma l’originale informatico’ .
6.In conclusione, il ricorso va rigettato.
7.Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo;
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 8.200,00 per compensi oltre spese prenotate a debito;
Dà atto, ai sensi dell’art.13 comma 1 -quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 10 luglio 2025