Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12050 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12050 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 14879/2022, proposto da:
COGNOME , rappresentato e difeso in proprio, con domicilio eletto presso il suo studio in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE – AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza n. 5630/2021 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 7 dicembre 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1° aprile 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME propose opposizione alla cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA con la quale venivano recuperati un credito erariale Iva per l’anno 2017 e l’imposta di registro non versata su atti giudiziari per l’ anno 2016.
La Commissione tributaria di Roma respinse il ricorso.
Con la sentenza indicata in epigrafe, il successivo appello del contribuente fu ritenuto in parte inammissibile e in parte infondato.
Per quanto in questa sede ancora di interesse, la C.T.R. del Lazio rilevò anzitutto che il motivo di gravame con il quale il COGNOME aveva dedotto l’inesistenza della notificazione della cartella, in quanto effettuata da indirizzo p.e.c. non presente nei pubblici registri, era inammissibile per novità e, in ogni caso, infondato.
I giudici d’appello disattesero anche i rilievi del contribuente concernenti il merito della pretesa impositiva, fondati sulla circostanza che, al momento dell’emissione della cartella di pagamento, la procedura relativa all ‘Iv a era stata sospesa; osservarono, al riguardo, che il COGNOME non aveva provato la permanenza della procedura di sospensione, né lo sgravio o l’avvenuta estinzione del debito successivamente all’emissione della cartella.
Ancora, respinsero l’eccezione di nullità della cartella in quanto non preceduta dall’avviso di liquidazione dell’Iva, poiché la cartella era stata emessa a seguito di controllo automatizzato ex art. 54bis del d.P.R. n. 633/1972, sicché nessun atto prodromico alla stessa andava notificato al contribuente; osservarono, in ogni caso, che il ricorrente aveva provveduto al pagamento della cartella due giorni dopo la notifica, indicando il numero di avviso per intero (quando lo stesso era
riportato solo in parte nel testo della cartella), e perciò dimostrando di esserne a conoscenza.
NOME COGNOME ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati da successiva memoria.
ADER -Agenzia delle entrate riscossione ha resistito con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo, deducendo «violazione e falsa applicazione dell’art. 56 d.lgs. 546/1992 e artt. 6 e 6 -ter d.lgs. 82/2005», il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto inammissibile, e comunque infondato, il motivo di appello con il quale egli aveva dedotto la nullità-inesistenza della notifica della cartella di pagamento.
Osserva, al riguardo, di aver eccepito detta nullità anche con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado (seppure limitandosi a rilevare che l’atto impugnato non era stato « notificato secondo i principi del codice dell’amministrazione digitale e del codice di procedura civile ») e che, in ogni caso, si trattava di questione non soggetta a preclusioni, in quanto rilevabile anche d’ufficio.
Assume inoltre che la C.T.R. avrebbe errato nel ritenere infondata la sua eccezione, indicando le fonti normative donde dovrebbe desumersi l’obbligo dell’amministrazione che procede alla notifica di atti giudiziari di utilizzare indirizzi di p.e.c. risultanti dai registri e dagli indici dei domicili digitali ivi meglio indicati, ai quali non risultava iscritto l’indirizzo di p.e.c. del l’agente della riscossione mittente (notificaEMAILpec.agenziariscossione.gov.it,) che nella specie aveva provveduto alla notifica della cartella di pagamento e dal quale
non era possibile, pertanto, giungere all’identificazione del soggetto che procedeva all’attività di trasmissione .
1.1. Sotto tale ultimo profilo, la censura non è fondata.
In relazione alle modalità di notificazione a mezzo di posta elettronica delle cartelle esattoriali, la giurisprudenza elaborata da questa Corte prende le mosse dalla previsione di cui all’art. 3 -bis della l. 21 gennaio 1994, n. 53, che consente tale forma di notificazione degli «atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali» e contiene previsioni specifiche concernenti il mittente e il destinatario dell’atto.
Il primo comma della disposizione in parola, in particolare, stabilisce che «la notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi».
Come questa Corte ha successivamente osservato (cfr. Cass. n. 2460/2021), sulla scorta delle indicazioni provenienti dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 23620/2018, l’entrata in vigore dall’art. 66, comma 5, del d. lgs. n. 217/2017, ha previsto che, a decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale, si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli artt. 6bis , 6quater e 62 del d. lgs. n. 82/2005, nonché dall’art. 16, comma 12, dello stesso decreto, dall’art. 16, comma 6, del d.l. n. 185/2008, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 2/2009, nonché il Re.G.Ind.E, registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della Giustizia.
1.2. Tale essendo il tessuto normativo di riferimento, il ricorrente deduce quale fatto idoneo a determinare l’inesistenza della notifica della cartella esattoriale la circostanza che l’indirizzo p.e.c. donde la stessa provenne non risultava inserito «nei pubblici registri informatici».
Al riguardo, va osservato che l’obbligo di utilizzo di un indirizzo presente in tale registro appare testualmente riferito solo al destinatario della notifica e non al notificante, in relazione al quale è previsto unicamente l’utilizzo «di un indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi».
Pertanto, la norma speciale prevista per le notifiche in ambito tributario degli atti dell’Agente della riscossione differisce dalla previsione generale di cui al citato articolo 3bis della legge n. 53/1994 solo con riferimento al soggetto che riceve la notificazione.
Siffatta diversità di trattamento normativo non configura alcuna disparità; le prescrizioni che ineriscono all’indirizzo del mittente non vanno, infatti, assoggettate alle stesse regole previste per il destinatario dell’atto, con riguardo al quale va fatta applicazione della disciplina propria dell’elezione di domicilio, cui dev’essere equiparato l’indirizzo di p.e.c. inserito, diversamente da quan to accade per il mittente.
1.3. In ogni caso, questa Corte ha affermato che laddove l’agente della riscossione abbia effettuato la notifica per mezzo di un indirizzo p.e.c. non risultante nei pubblici registri (RegInde, INI-Pec e Ipa) non si verifica alcuna nullità della notifica.
Viene infatti in rilievo il rispetto dei canoni di leale collaborazione e buona fede che informano il rapporto fra Amministrazione e contribuente; di conseguenza, poiché l’estraneità dell’indirizzo del mittente dal registro INI-Pec non inficia ex se la presunzione di
riferibilità della notifica al soggetto da cui essa risulta provenire, testualmente ricavabile dall’indirizzo del mittente, occorre che la parte contribuente evidenzi quali pregiudizi sostanziali al diritto di difesa siano dipesi dalla ricezione della notifica della cartella di pagamento da un indirizzo diverso da quello telematico presente in tale registro, del quale però, come nella specie, sia evidente ictu oculi la provenienza (così Cass. n. 982/2023).
Di tale concreto pregiudizio il contribuente non ha dato sufficiente indicazione nella specie; consegue il rilievo di infondatezza della censura sotto il profilo evidenziato.
Resta assorbito l’esame del primo profilo di censura, attinente alla declaratoria di inammissibilità del motivo d’appello, poiché, per effetto dell’infondatezza appena dichiarata, sul punto la decisione impugnata è sorretta da una valida ed autonoma ratio decidendi non più sovvertibile.
Il secondo mezzo di ricorso denunzia «erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c. ».
La sentenza impugnata è sottoposta a critica nella parte in cui ha ritenuto provata la pretesa erariale, senza attribuire rilievo al fatto che, al momento dell’emissione della cartella di pagamento , la procedura risultava sospesa.
Sul punto, il ricorrente assume di aver richiamato ai giudici di primo grado il contenuto dell’estratto del ruolo prodotto dall’Agente per la riscossione, donde emergeva che « la pretesa creditoria era insussistente, perché pari a zero ».
Sostiene, quindi, che per effetto di tale produzione doveva ritenersi che l’Agente non avesse contestato l’insussistenza della pretesa nei suoi presupposti, tant’è che questi, nel giudizio di primo grado, si era
limitato ad eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva e, in sede d’appello, aveva sostenuto « la perdurante legittimità del procedimento di riscossione » , senza però nulla dedurre sull’esistenza della pretesa creditoria, e dunque « sulla specifica eccezione formulata dal ricorrente ».
2.1. Il motivo è inammissibile.
Benvero, anche nel processo tributario -caratterizzato, al pari di quello civile, dalla necessità della difesa tecnica e da un sistema di preclusioni, nonché dal rinvio alle norme del codice di procedura civile, in quanto compatibili -è applicabile il principio generale di non contestazione che informa il processo civile e che trova fondamento non solo nell’art. 115 cod. proc. civ., ma anche nel carattere dispositivo di tale processo.
Il principio di non contestazione, tuttavia, opera in relazione a fatti, e non in base ai documenti prodotti dalle parti (Cass. n. 3306/2020; Cass. n. 22055/2017); occorre, in particolare, che i fatti da ritenere ammessi siano stati «chiaramente e specificamente esposti da una delle parti presenti in giudizio e non siano stati contestati dalla controparte che ne abbia avuto l’opportunità: pertanto, la parte che lo deduca in sede di impugnazione è tenuta ad indicare puntualmente in quale atto processuale il fatto sia stato esposto, al fine di consentire al giudice di verificarne la chiarezza e la specificità e se la controparte abbia avuto occasione di replicare» (così la prima delle pronunzie sopra richiamate, nonché Cass. n. 31619/2018).
2.2. Tale onere non è stato adeguatamente assolto dal ricorrente.
In punto alla sussistenza del credito portato dalla cartella di pagamento, la sentenza impugnata ha richiamato in premessa quanto accertato nel giudizio di primo grado circa l’anteriorità temporale della notifica della cartella rispetto alla sospensione del procedimento
(quanto all’Iva) e al pagamento dell’imposta a seguito di sgravio solo parziale (quanto all’imposta di registro) ; nella stessa premessa, la sentenza ha inoltre richiamato le difese dell’Amministrazione, secondo la quale « il pagamento dell’imposta di registro sarebbe avvenuto successivamente alla notificazione della cartella opposta, che pertanto è stata emessa regolarmente, né i vizi ad essa riferiti sono stati riscontrati ».
Sulla base di tali complessive risultanze dalla sentenza d’appello, il contribuente non ha offerto indicazioni munite dei richiamati caratteri quanto all’effettiva non contestazione, da parte dell’Ufficio, delle circostanze che ha invocato; egli, piuttosto, si è limitato a rimarcare il contenuto del documento prodotto ex adverso , al quale tuttavia, in conformità alle pronunzie più sopra menzionate, non può attribuirsi alcun valore significativo di una mancata contestazione.
2.3. Peraltro, e sotto diverso profilo, si osserva che, secondo il ricorrente, la C.T.R. avrebbe omesso di prendere in considerazione un documento, prodotto dallo stesso Ufficio, idoneo ad escludere la sussistenza del credito erariale, ovvero « l’estratto a ruolo pari a zero ».
Nonostante tale produzione, infatti, la sentenza impugnata afferma: « il contribuente non ha in alcun modo provato la permanenza della procedura di sospensione, né lo sgravio o l’avvenuta estinzione del debito successivamente all’emissione della cartella di pagamento de qua».
Sul punto, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 5792/2024, hanno affermato che il travisamento del contenuto oggettivo della prova -che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio -trova il suo istituzionale rimedio nella revocazione per errore di fatto, laddove
concorrano gli altri presupposti richiesti dall’art. 395, num. 4, cod. proc. civ.; se, invece, il fatto probatorio ha costituito un punto controverso fra le parti, in relazione al contenuto oggettivo delle relative risultanze, il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 4, o num. 5, cod. proc. civ., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale.
Ed invero, il motivo, per come formulato, non si allinea a questo secondo paradigma, tratteggiando invece, al più, un errore di tipo percettivo.
Il terzo mezzo denunzia violazione degli artt. 6, comma 1, e 7 della l. n. 212/2000.
La sentenza d’appello è censurata nella parte in cui ha ritenuto che, in punto all’Iva, la cartella non anda sse preceduta dalla notifica dell’avviso di liquidazione, essendo stata emessa a seguito di controllo automatizzato.
Il ricorrente assume che, con la propria eccezione, egli non aveva inteso eccepire la nullità della cartella per violazione del principio del contraddittorio, bensì « la nullità del procedimento di riscossione per l’esistenza di un atto non portato a conoscenza del contribuente ».
Il motivo può essere scrutinato congiuntamente con il quarto, con il quale il ricorrente, deducendo «erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.» , assume che la C.T.R. avrebbe errato nel ritenere che egli fosse stato comunque già a conoscenza dell’avviso di liquidazione, come dimostrava la circostanza che lo aveva indicato per intero nel provvedere al pagamento, mentre la cartella ne conteneva un’i ndicazione solo parziale; ciò dipendeva, invece, dal fatto che, una volta ricevuta la cartella, egli aveva consultato il proprio cassetto fiscale, venendo a conoscenza del preavviso di liquidazione prima ignoto.
4.1. Entrambe le censure sono infondate.
Come questa Corte ha affermato in più occasioni, la potestà dell’Amministrazione finanziaria d’iscrivere direttamente nei ruoli l’imposta non versata dal contribuente, così come risultante dalla dichiarazione annuale dei redditi, non trova ostacolo nella mancata emissione e/o notificazione dell’invito al versamento delle somme dovute -cui l’Ufficio risulta tenuto ex lege al fine di consentire al contribuente il versamento di quanto addebitatogli, atteso che l’unica funzione di tale preavviso è quella di consentire al contribuente di attenuare le conseguenze sanzionatorie della realizzata omissione, fermo restando l’obbligo di corresponsione integrale del tributo e degli interessi maturati nel frattempo (Cass. n. 13694/2020; Cass. n. 3609/2016; Cass. n. 21676/2015).
Erra dunque il ricorrente nel dedurre la nullità della cartella per effetto della mera (ed asserita) violazione della sequenza procedimentale prevista ex lege , essendo pacifico che, nella specie, non è stato assolutamente frustrato lo scopo al quale tale sequenza è preordinata.
4 .2. Peraltro, il ricorrente non si confronta con l’ intrinseca correttezza dell’ulteriore rilievo, operato dai giudici d’appello, in base al quale egli aveva provveduto al pagamento dell’imposta due giorni dopo aver ricevuto la notifica della cartella, indicando correttamente il numero dell’avviso di liquidazione nonostante lo stesso non fosse stato riportato per intero nel testo della cartella notificata, ciò che valeva ulteriormente a significare il fatto ch’egli fosse a conoscenza del preavviso.
Di tale argomento, infatti, egli pretende di rivedere il significato in chiave fattuale, sollecitando una rivalutazione delle risultanze istruttorie e documentali che in questa sede non è consentito.
5. Il ricorso è dunque complessivamente meritevole di rigetto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un importo pari al doppio del contributo unificato, a i sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in € 2.400,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 1° aprile 2025.