Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14083 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14083 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 6255/2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso per cassazione
(PEC: EMAIL
– ricorrente-
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
Agenzia delle Entrate-Riscossione, nella persona del Direttore pro tempore ;
– intimata – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del LAZIO n. 3511/7/22, depositata in data 2 agosto 2022, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado avente ad oggetto la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA emessa a seguito di controllo automatizzato effettuato ai sensi dell’art. 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, relativa ad IVA, anni di imposta 2016 e 2017.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno affermato che:
-) era infondata la censura relativa all’illegittimità della notifica della cartella esattoriale, in quanto tale notifica effettuata con la PEC, al pari di quella direttamente realizzata tramite il servizio postale per raccomandata con avviso di ricevimento, aveva fornito certezza in ordine al giorno ed orario esatto della spedizione e della ricezione, nonché in merito all’integrità del contenuto e degli eventuali allegati; nella specie, il risultato conseguibile con la notifica a mezzo PEC era sostanzialmente equipollente a quello ottenibile con i meccanismi ordinari, poiché il contribuente era venuto a conoscenza del contenuto della notifica;
-) la pretesa nullità degli atti della riscossione per mancata sottoscrizione da parte di dirigenti assunti a seguito di pubblico concorso era infondata perché innanzitutto si trattava di avviso bonario direttamente gestito dalla Direzione Centrale Servizi al Contribuente e,
in ogni caso, si trattava di avviso sottoscritto da un dirigente di seconda fascia;
-) il motivo relativo al difetto di allegazione di atti richiamati nel provvedimento impugnato era infondato in quanto non sussisteva un obbligo di allegazione per la validità della cartella; nella specie, la cartella di pagamento, facendo seguito all’emis sione di un avviso di accertamento divenuto definitivo per mancata impugnazione, aveva valenza di mera intimazione di pagamento degli importi accertati e non assumeva la qualifica di nuovo e autonomo atto impositivo;
-) la censura relativa al vizio di carenza di motivazione della cartella di pagamento era infondata in quanto l’obbligo di motivazione della cartella era assolto dal semplice richiamo alla dichiarazione fiscale del contribuente;
-) inoltre, la censura relativa alla violazione e all’eccesso di potere era infondata poiché l’indicazione nominativa della delega o la sua temporaneità non erano necessarie, potendo la c.d. delega di firma avvenire attraverso l’emanazione di ordini di ser vizio che avevano valore di delega e che individuavano il soggetto delegato attraverso l’indicazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato;
-) era priva di pregio la censura relativa alla violazione e mancata indicazione delle fattispecie da cui dedurre gli importi intimati poiché nessuna disposizione normativa prescriveva l’indicazione, in cartella, delle modalità di calcolo degli interessi;
-) era infondata la doglianza relativa all’obbligatorietà della comunicazione bonaria nei casi di ritardato o omesso pagamento di imposte autoliquidate in quanto le cartelle emesse sulla base di indicazioni fornite dal contribuente in sede di dichiarazione dei redditi non necessitavano di ulteriori, preventive, comunicazioni;
-) il motivo relativo all’inoperatività della sanatoria dei vizi della notifica era infondato poiché l’indirizzo PEC espressamente indicato dalla parte
determinava il raggiungimento dello scopo perseguito, ovvero l’effettiva conoscenza dell’atto;
-) la censura relativa alla condanna delle spese a favore dell’Agenzia delle Entrate difesa dai propri funzionari era infondata in quanto il giudice aveva liquidato le spese di causa a favore della Pubblica Amministrazione facendo riferimento a quanto prevede il decreto sui parametri forensi, con una riduzione del 20% degli onorari di avvocato. 3. La società RAGIONE_SOCIALE ha impugnato la sentenza con ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
L’Agenzia delle Entrate -Riscossione non ha svolto difese.
CONSIDERATO CHE
Il primo mezzo deduce l’illegittimità della sentenza impugnata sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto per nullità del procedimento; per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, commi nn. 3, 4 e 5, c.p.c.; errores in procedendo; violazione della legge n. 145 del 2018, della legge n. 27 del 2020, dell’art. 31 del decreto legislativo n. 546 del 1992, dell’art. 6 CEDU, nonché dell’art. 111 Cost. in tema di giusto processo e presenza di impedimento comunicato nei termini con istanza formale di differimento. Il difensore della società RAGIONE_SOCIALE aveva depositato, in data 1 luglio 2022, istanza di differimento dell’udienza fissata per il giorno 11 luglio 2022, rappresentando che nella mattinata del giorno 11 luglio 2022 era impegnato in altre udienze relative a due procedimenti e nonostante ciò era stata tenuta l’udienza di trattazione dell’appello. Ciò era accaduto anche in primo grado, dove in data 13 luglio 2021, nonostante il deposito di memoria con istanza di svolgimento di trattazione in pubblica udienza con discussione orale o mediante collegamento audiovisivo a distanza, con apposita udienza
da rifissare a nuovo ruolo, si teneva invece l’udienza di trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 27 del decreto legge 13 luglio 2020. Conseguentemente doveva essere accolta per il primo grado la legittima richiesta di pubblica udienza e per il secondo grado la richiesta motivata di differimento e relativo accoglimento dell’odierno ricorso, per non vedere negato al ricorrente il costituzionale diritto di difesa.
1.1 Il motivo è inammissibile perché formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di omesso esame di fatto decisivo e di vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874) e ciò anche a volere accogliere l’orientamento meno rigoroso che subordina l’ammissibilità del motivo frutto di mescolanza ( Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), alla condizione che lo stesso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto.
1.2 Ed invero, nel caso in esame, la censura lamenta il vizio di violazione di legge, oltre che di omesso esame e di nullità della sentenza impugnata, senza indicare, nel rispetto del principio di specificità del motivo, per quali aspetti la decisione impugnata si pone in contrasto con le norme di legge indicate nella rubrica ed avrebbe potuto essere diversa, esaminando il contenuto precettivo delle norme richiamate e raffrontandolo con le affermazioni in diritto contenute
nella sentenza impugnata. Inoltre, si deduce, in modo del tutto avulso dal provvedimento impugnato, un profilo di censura riguardante le sanzioni e il principio del favor rei senza alcuna correlazione con parti del provvedimento impugnato ed anche il vizio di omesso esame di un fatto decisivo non rispetta le descritte prescrizioni imposte dalle Sezioni Unite di questa Corte, che, in proposito, hanno chiarito che « la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti » (cfr. Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
1.3 Ancora il motivo difetta di specificità ed autosufficienza perché, pur richiamando la richiesta di rinvio dell’udienza per impedimento del difensore e la richiesta di trattazione in pubblica udienza svolta in primo grado, è privo della trascrizione del contenuto degli atti indicati.
1.4 Il motivo è pure inammissibile perché non si confronta con il contenuto del provvedimento impugnato che, a pag. 7, ha espressamente ritenuto infondato il motivo riguardante la mancata considerazione da parte dei giudici di primo grado dell’istanza di discussione in pubblica udienza, ritenendola infondata alla luce della giurisprudenza della Suprema Corte, specificamente richiamata.
1.5 Il motivo, inoltre, nella parte riguardante il giudizio di primo grado, è pure infondato perché « la trattazione del ricorso in camera di consiglio invece che alla pubblica udienza, in presenza di un’istanza in tal senso di una delle parti ai sensi dell’art. 33 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, costituisce una nullità processuale che, pur travolgendo la sentenza successiva per violazione del diritto di difesa, non determina, una volta dedotta e rilevata in appello, la retrocessione del processo al primo grado, non rientrando tale ipotesi tra quelle
tassativamente previste dall’art. 59 del d.lgs. n. 546 cit., e costituendo l’appello, anche nel processo tributario, un gravame generale a carattere sostitutivo che impone al giudice dell’impugnazione di pronunciarsi e decidere sul merito della controversia » (Cass., 24 luglio 2018, n. 19579; Cass., 16 febbraio 2010, n. 3559).
1.6 Ciò senza prescindere dalla circostanza che la società ricorrente non ha in alcun modo dedotto quali siano gli specifici aspetti che la discussione avrebbe consentito di evidenziare o di approfondire, colmando lacune e integrando gli argomenti ed i rilievi già contenuti nei precedenti atti difensivi, tenuto conto del fatto che l’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., nel consentire la denuncia di vizi di attività del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse all ‘ astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l ‘ eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato error in procedendo (cfr. Cass., 10 febbraio 2006, n. 2948; Cass., 17 marzo 2008, n. 7108) e che, in tema di contenzioso tributario, la trattazione del ricorso in camera di consiglio invece che alla pubblica udienza, in presenza di un’istanza di una delle parti ai sensi dell’art. 33 del d.lgs. n. 546 del 1992, integra una nullità processuale che, pur travolgendo la successiva sentenza per violazione del diritto di difesa, non determina, una volta dedotta e rilevata in appello, la «retrocessione» del giudizio in primo grado, poiché tale ipotesi non rientra tra quelle tassativamente previste dall’art. 59 del detto d.lgs. l’appello costituisce, anche nel processo tributario, un gravame generale a carattere sostitutivo che impone al giudice dell’impugnazione di pronunciarsi e decidere sul merito della controversia (Cass., 24 luglio 2018, n. 19579).
1.7 In ultimo, va rilevato che, per costante giurisprudenza di questa Corte, il rinvio dell’udienza di discussione della causa per grave impedimento del difensore, ai sensi dell’art. 115 disp. att. c.p.c., applicabile anche nel processo tributario ex art. 1 del d.lgs. n. 546 del
1992, presuppone l’impossibilità di sostituzione dello stesso, venendo in difetto in rilievo una carenza organizzativa del professionista incaricato che non consente la concessione del differimento di tale udienza, con conseguente legittimità della sentenza pronunciata a seguito del legittimo diniego del provvedimento di rinvio (Cass., 15 ottobre 2018, n. 25783) e che l’istanza di rinvio dell’udienza di discussione della causa per grave impedimento del difensore, ai sensi dell’art. 115 disp. att. cod. proc. civ., deve fare riferimento all’impossibilità di sostituzione mediante delega conferita ad un collega, venendo altrimenti a prospettarsi soltanto un problema attinente all’organizzazione professionale del difensore, non rilevante ai fini del differimento dell’udienza (Cass., 26 marzo 2012, n. 4773).
2. Il secondo motivo deduce l’illegittimità della sentenza impugnata sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto, per nullità del procedimento, ai sensi dell’art. 360, commi nn. 3, 4, e 5, c.p.c., errores in iudicando , violazione degli artt. 20, 21 (1° e 2° comma), e 22 del decreto legislativo n. 82 del 2005, dell’art. 26 del d.P.R . n. 602 del 1973, dell’art. 38, comma 4, lett. b), della legge n. 122 (?) del 2000 (2010) , dell’art . 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 21 septies della legge n. 241 del 1990, dell’art. 97 Cost., dell’art. 10, comma 1, della legge n. 212 del 2000. La società RAGIONE_SOCIALE aveva ricevuto un semplice file.pdf non firmato digitalmente e che risultava trasmesso a mezzo posta elettronica certificata dall’indirizzo pecEMAIL; non era munito, così come previsto dalla legge, dell’apposita firma digitale (né in formato p7m, né in pades e cades); non poteva ritenersi conforme al suo originale, in possesso dell’ufficio, considerata anche la mancanza dell’attestazione da parte di un soggetto munito di tale potere .
2.1 Il motivo, oltre ad essere inammissibile perché formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo
comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c. , è anche infondato, dovendosi richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui « la notifica della cartella di pagamento a mezzo PEC in formato “.pdf” è valida, non essendo necessario adottare il formato “.p7m”, atteso che il protocollo di trasmissione mediante PEC è di per sé idoneo ad assicurare la riferibilità della cartella all’organo da cui promana, salve specifiche e concrete contestazioni, che è onere del ricevente eventualmente allegare in contrario » (Cass., 3 dicembre 2024, n. 30922).
2.2 Inoltre, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che, in tema di notificazione a mezzo PEC, la notifica avvenuta utilizzando un indirizzo di posta elettronica istituzionale, non risultante nei pubblici elenchi, non è nulla, ove la stessa abbia consentito, comunque, al destinatario di svolgere compiutamente le proprie difese, senza alcuna incertezza in ordine alla provenienza ed all’oggetto, tenuto conto che la maggiore rigidità del sistema delle notifiche digitali, imponendo la notifica esattamente agli indirizzi oggetto di elencazione accessibile e registrata, realizza il principio di elettività della domiciliazione per chi ne sia destinatario, cioè soggetto passivo, associando tale esclusività ad ogni onere di tenuta diligente del proprio casellario, laddove nessuna incertezza si pone invece ove sia il mittente a promuovere la notifica da proprio valido indirizzo PEC e che la costituzione del destinatario della notificazione, che abbia dimostrato di essere in grado di svolgere compiutamente le proprie difese» sottrae rilevanza all’ipotizzata irregolarità, avendo pienamente la notifica raggiunto lo scopo senza alcuna incertezza in ordine alla sua provenienza e all’oggetto dell’impugnazion e (Cass., Sez. U., 18 maggio 2022, n. 15979; Cass., 28 settembre 2018, n. 23620).
2.3 Ancora, come già precisato da questa Corte, « In tema di riscossione delle imposte sul reddito, l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende
dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che il documento sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, tanto più che, a norma dell’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo l’apposito modello approvato con d.m., che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice » (Cass., 4 dicembre 2019, n. 31605 e, più di recente, Cass., 15 luglio 2024, n. 19327) e che si tratta, peraltro, di un principio ritenuto applicabile anche nel caso in cui la cartella, originariamente analogica, sia stata poi trasmessa in forma digitale (Cass., 19 dicembre 2023, n. 35541) e nel caso in cui la stessa sia stata redatta fin dall’origine in forma digitale (Cass., 15 luglio 2024, n. 19327) e, in ultimo, nel caso di notifica a mezzo PEC della copia su supporto informatico della cartella di pagamento in origine cartacea (Cass., 27 novembre 2019, n. 30948).
2.4 Ancor più specificamente è stato affermato che « In tema di notifica della cartella di pagamento, l’inesistenza è configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto quale notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale, nella categoria della nullità, sanabile con efficacia “ex tunc” per raggiungimento dello scopo » (Cass., 28 ottobre 2016, n. 21865; Cass., Sez. U., 20 luglio 2016, n. 14916).
2.5 Il profilo di censura, poi, relativo alla carenza del potere dirigenziale di colui che ha sottoscritto gli atti prodromici, è inammissibile perché non si confronta con il contenuto del provvedimento impugnato nella parte in cui ha affermato che la censura, costituendo vizio proprio dell’atto prodromico, doveva essere
fatta valere in sede di impugnazione della comunicazione di irregolarità, ritualmente notificata alla società, e non anche in sede di impugnazione della cartella di pagamento (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).
3. Il terzo motivo deduce l’illegittimità della sentenza impugnata sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto, per nullità del procedimento, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., errores in iudicando , violazione e carenza di motivazione della cartella, rispetto ai principi dettati dall’art. 7, comma L (?), della lege n. 212 del 2000 e art. 24 Cost.; dell’art. 36 bis e ter del d.P.R. n. 600 del 1973; dell’art. 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972; dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973; dell’art. 30 del d.P.R. n. 602 del 1973; violazione degli artt. 3 e 53 Cost.; disapplicazione degli art. 29, comma 1, lett. F) del decreto legge n. 78 del 2010 e 17 del decreto legislativo n. 112 del 1999, per palese conflitto con la normativa costituzionale e comunitaria; violazione dell’art. 107 del TFUE. Il controllo automatizzato non esimeva d all’obbligo di allegazione dell’atto richiamato posto dall ‘art. 7 della legge n. 212 del 2000; la cartella di pagamento impugnata era illegittima per mancanza di chiarezza e difetto di motivazione, in quanto l’Agente di riscossione si era limitato ad indicare soltanto gli importi dovuti nel loro ammontare complessivo, senza alcuna indicazione dei passaggi logici e giuridici che, in concreto, avevano condotto la stessa alla determinazione del quantum debeatur. La cartella di pagamento era gravata da eccessiva onerosità per interessi e per i compensi richiesti, soprattutto alla luce del fatto che l’aggio, compenso od onere di riscossione, come precisato, era stato calcolato anche sugli interessi maturati e sulle sanzioni pecuniarie tributarie che insieme alla tassa vera e propria componevano l’importo del provvedimento.
3.1 Il motivo, oltre ad essere inammissibile ancora una volta perché formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione
eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., è infondato, poiché le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che la cartella di pagamento, allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il «quantum» del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata – con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati -attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accessori, indicazione che soddisfa l’obbligo di motivazione prescritto dall’art. 7 della legge n. 212 del 2000 e dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990 e che, nelle ipotesi di controllo automatizzato di cui agli artt. 36 bis del d.P.R. n.602/1973 e 54 bis del d.P.R. n.633/1972, il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può considerarsi assolto dall’Ufficio mediante il mero richiamo alla dichiarazione medesima, proprio con riferimento al debito per tributi vari ed interessi (Cass., Sez. U., 14 luglio 2022, n. 22281, in motivazione).
3.2 In ultimo, la censura in tema di aggio è inammissibile perché questione nuova che non risulta dal provvedimento impugnato e, in ogni caso, infondata, avendo questa Corte affermato che « L’aggio esattoriale ha natura retributiva, e non tributaria, integrando il compenso spettante all’agente della riscossione, senza che tale connotazione muti in ragione del soggetto – contribuente, ente impositore od entrambi pro quota – a carico del quale è posto il pagamento nelle varie circostanze » (Cass., 11 maggio 2020, n. 8714; Cass. 3 gennaio 2019, n. 41; Cass., 19 gennaio 2018, n. 1311; Cass., 28 febbraio 2017, n. 5154) e che « In tema di riscossione, a seguito della sostituzione della concessione esattoriale con l’attribuzione “ex lege” del servizio di riscossione dei tributi a società a prevalente partecipazione pubblica strumentale all’Agenzia delle entrate, permane
la giustificazione alla imposizione normativa di un corrispettivo per lo svolgimento dell’attività esattoriale, e la percentuale fissata dall’art. 5, comma 1, d.l. n. 95 del 2012, conv. in l. n. 135 del 2012 non costituisce un limite quantitativo massimo, non avendo l’aggio natura di compenso modulabile proporzionalmente all’entità dell’attività di volta in volta espletata dall’esattore » (Cass., 3 dicembre 2020, n. 27650).
4. Per quanto esposto, il ricorso va rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia delle Entrate e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 26 marzo 2025.