Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15906 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15906 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 24107/2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso per cassazione.
(PEC: EMAIL
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate e Agenzia delle Entrate-Riscossione, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrenti –
e nei confronti di
Regione Lazio, nella persona legale rappresentante pro tempore ; Comune di Tarquinia, nella persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimati – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del LAZIO n. 2360/2023, depositata in data 20 aprile 2023, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso avente ad oggetto l’intimazione di pagamento n. 12520199001786835/000, riguardante tributi Ires anno d’imposta 2011; Irap anno d’imposta 2013; Irpef ed Irpef, Add. Regionale e Comunale, anni d’imposta 2013 e 2014; tassa automobilistica anni d’imposta anni 2013 e 2014; canone acqua, fognatura per l’anno d ‘i mposta 2012 e Tares anno d ‘i mposta 2013 e ritenuta alla fonte anni d’imposta 2013 e 2014.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno affermato che:
-) era infondata la censura relativa all’irregolarità della notifica dell’atto, in quanto tale notifica effettuata con la PEC, al pari di quella direttamente realizzata tramite il servizio postale per raccomandata con avviso di ricevimento, aveva fornito certezza in ordine al giorno ed orario esatto della spedizione e della ricezione, nonché in merito all’integrità del contenuto e degli allegati; nella specie, il risultato conseguibile con la notifica a mezzo PEC era sostanzialmente equipollente a quello ot tenibile con i meccanismi ordinari e l’eventuale
responsabilità per la mancata lettura della posta certificata era da attribuire al destinatario della stessa;
-) l’ E nte di esazione aveva depositato sia copia dell’intimazione opposta, sia copia della cartella alla stessa sottostante, entrambi muniti del rispettivo referto di notificazione al destinatario; inoltre, essendo l’avviso di intimazione un atto di natura vinco lata, non sussisteva un obbligo di allegazione anche perché l’avviso richiamava la cartella precedentemente notificata, il cui contenuto era perciò già a conoscenza del contribuente;
-) l’atto di intimazione era adeguatamente motivato poiché indicava con precisione ed in dettaglio i singoli tributi che costituivano oggetto della cartella previamente notificata;
-) il richiamo all’atto impositivo contenuto nella cartella aveva consentito la conoscenza dei presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale e, inoltre, la domanda del ricorrente era del tutto generica e, conseguentemente, inaccoglibile.
La società RAGIONE_SOCIALE ha impugnato la sentenza con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
L’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Entrate -Riscossione resistono con controricorso.
La Regione Lazio e il Comune di Tarquinia non hanno svolto difese.
CONSIDERATO CHE
Preliminarmente va rilevato che l’Agenzia delle Entrate, nel controricorso, ha evidenziato che le cartelle di pagamento nn. NUMERO_CARTA, NUMERO_CARTA, NUMERO_CARTA, sono state oggetto di istanza di definizione (rottamazione ter ) del 30 giugno 2023 e che la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA è stata stralciata in virtù della legge di bilancio del 2023.
1.1. Con riferimento alle precisate cartelle, deve, dunque, essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.
Il primo motivo deduce l’illegittimità della sentenza impugnata sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto per nullità del procedimento; per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, commi nn. 3 , 4 e 5, c.p.c.; errores in procedendo; violazione della legge n. 145 del 2018, della legge n. 27 del 2020, dell’art. 31 del decreto legislativo n. 546 del 1992, dell’art. 6 CEDU, nonché dell’art. 111 Cost. in tema di giusto processo, essendo stata disattesa la richiesta di udienza a distanza con collegamento audiovideo formulata nell’atto di appello e ribadita con istanza formale. Nel primo grado di giudizio la Commissione tributaria provinciale, la cui cancelleria aveva comunicato in ritardo (via PEC il 4 dicembre 2019) la data di avvenuta convocazione dell’udienza di discussione (udienza del 10 dicembre 2019) a seguito di rinvio disposto dal Presidente, aveva violato apertamente le garanzie procedurali di cui all’art. 31 citato, il quale imponeva che le parti fossero formalmente avvisate della fissazione medesima almeno nei trenta giorni antecedenti. Nel giudizio di appello la discussione in pubblica udienza a distanza era stata chiesta da questa difesa con il primo atto introduttivo, nonché nell’atto di appello e ribadita con apposita i stanza per l’udienza del 23 marzo 2023, ma disattesa dal Collegio giudicante.
2.1 Il motivo è inammissibile perché formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di omesso esame di fatto decisivo e di vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende
precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874) e ciò anche a volere accogliere l’orientamento meno rigoroso che subordina l’ammissibilità del motivo frutto di mescolanza ( Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), alla condizione che lo stesso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto.
2.2 Ed invero, nel caso in esame, la censura lamenta un vizio di violazione di legge, oltre che di omesso esame e di nullità della sentenza, senza indicare, nel rispetto del principio di specificità del motivo, per quali aspetti la decisione impugnata si pone in contrasto con le norme di legge indicate nella rubrica ed avrebbe potuto essere diversa, esaminando il contenuto precettivo delle norme richiamate e raffrontandolo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata. Inoltre, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo non rispetta le descritte prescrizioni imposte dalle Sezioni Unite di questa Corte, che, in proposito, hanno chiarito che « la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6), cod. proc. civ. e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti » (cfr. Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
2.3 Il motivo è pure inammissibile, avuto riguardo ad entrambi i profili di censura relativi al giudizio di primo grado e di secondo grado, per difetto di specificità ed autosufficienza perché, pur deducendo da un lato il mancato rispetto del termine di trenta giorni nel l’invio della comunicazione di fissazione dell’udienza di trattazione del ricorso di
primo grado avanti alla Commissione tributaria provinciale e dall’altro della richiesta di udienza a distanza con collegamento audiovideo formulata nell’atto di appello, poi ribadita con istanza formale, è privo della trascrizione del contenuto degli atti indicati, onere questo necessario non risultando nulla dal provvedimento impugnato. Inoltre, rileva un ulteriore profilo di autosufficienza con specifico riferimento alla richiesta di udienza a distanza con collegamento in quanto il ricorso per cassazione non chiarisce gli esatti termini della vicenda processuale, posto che dalla sentenza impugnata risulta che la causa « era stata trattata all’udienza del 23.3.2023 » e, dunque, non si comprende l’esatta portata della censura che pare rivolta, non alla discussione in presenza, ma alla trattazione della causa da remoto.
2.4 Il motivo, inoltre, nella parte riguardante il giudizio di primo grado, è pure infondato perché « la trattazione del ricorso in camera di consiglio invece che alla pubblica udienza, in presenza di un’istanza in tal senso di una delle parti ai sensi dell’art. 33 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, costituisce una nullità processuale che, pur travolgendo la sentenza successiva per violazione del diritto di difesa, non determina, una volta dedotta e rilevata in appello, la retrocessione del processo al primo grado, non rientrando tale ipotesi tra quelle tassativamente previste dall’art. 59 del d.lgs. n. 546 cit., e costituendo l’appello, anche nel processo tributario, un gravame generale a carattere sostitutivo che impone al giudice dell’impugnazione di pronunciarsi e decidere sul merito della controversia » (Cass., 24 luglio 2018, n. 19579; Cass., 16 febbraio 2010, n. 3559).
2.5 Ciò senza prescindere dalla circostanza che la società ricorrente non ha in alcun modo dedotto quali fossero gli specifici aspetti che la discussione avrebbe consentito di evidenziare o di approfondire, colmando lacune e integrando gli argomenti ed i rilievi già contenuti nei precedenti atti difensivi, tenuto conto del fatto che l’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nel consentire la denuncia di vizi di attività del
giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse all ‘ astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l ‘ eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato error in procedendo (cfr. Cass., 10 febbraio 2006, n. 2948; Cass., 17 marzo 2008, n. 7108).
3. Il secondo motivo deduce l’illegittimità dell’impugnata sentenza sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto, per nullità del procedimento, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 2, 4, e 5, errores in iudicando , violazione degli artt. 20, 21 (1° e 2° comma), e 22 del decreto legislativo n. 82 del 2005, dell’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, dell’art. 38, comma 4, lett. b), della legge n. 122 (?) del 2000 (2010) , dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art . 21 septies della legge n. 241 del 1990, dell’art. 97 Cost., dell’art. 10, comma 1, della legge n. 212 del 2000. La società RAGIONE_SOCIALE aveva ricevuto un semplice file .pdf non firmato digitalmente e che risultava trasmesso a mezzo posta elettronica certificata dall’indirizzo pecEMAIL; non era munito, così come previsto dalla legge, dell’apposita firma digitale (né in formato p7m, né in pades e cades); non poteva ritenersi conforme al suo originale, in possesso dell’ufficio, considerata anche la mancanza dell’attestazione da parte di un soggetto munito di tale potere .
3.1 Il motivo, oltre ad essere inammissibile perché formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c. ed inammissibile con specifico riferimento alla censura di omesso esame di fatto decisivo per violazione dell’art. 348 ter , ultimo comma, cod. proc. civ., è anche infondato, dovendosi richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui « la notifica della cartella di pagamento a mezzo PEC in formato “.pdf” è valida, non essendo necessario adottare il formato “.p7m”, atteso che il protocollo di trasmissione mediante PEC è di per sé idoneo ad
assicurare la riferibilità della cartella all’organo da cui promana, salve specifiche e concrete contestazioni, che è onere del ricevente eventualmente allegare in contrario » (Cass., 3 dicembre 2024, n. 30922).
3.2 Inoltre, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che, in tema di notificazione a mezzo PEC, la notifica avvenuta utilizzando un indirizzo di posta elettronica istituzionale, non risultante nei pubblici elenchi, non è nulla, ove la stessa abbia consentito, comunque, al destinatario di svolgere compiutamente le proprie difese, senza alcuna incertezza in ordine alla provenienza ed all’oggetto, tenuto conto che la maggiore rigidità del sistema delle notifiche digitali, imponendo la notifica esattamente agli indirizzi oggetto di elencazione accessibile e registrata, realizza il principio di elettività della domiciliazione per chi ne sia destinatario, cioè soggetto passivo, associando tale esclusività ad ogni onere di tenuta diligente del proprio casellario, laddove nessuna incertezza si pone invece ove sia il mittente a promuovere la notifica da proprio valido indirizzo PEC e che la costituzione del destinatario della notificazione, che abbia dimostrato di essere in grado di svolgere compiutamente le proprie difese» sottrae rilevanza all’ipotizzata irregolarità, avendo pienamente la notifica raggiunto lo scopo senza alcuna incertezza in ordine alla sua provenienza e all’oggetto dell’impugnazion e (Cass., Sez. U., 18 maggio 2022, n. 15979; Cass., 28 settembre 2018, n. 23620).
3.3 Ancora, come già precisato da questa Corte, « In tema di riscossione delle imposte sul reddito, l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che il documento sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, tanto più che, a norma dell’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, la cartella, quale
documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo l’apposito modello approvato con d.m., che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice » (Cass., 4 dicembre 2019, n. 31605 e, più di recente, Cass., 15 luglio 2024, n. 19327) e che si tratta, peraltro, di un principio ritenuto applicabile anche nel caso in cui la cartella, originariamente analogica, sia stata poi trasmessa in forma digitale (Cass., 19 dicembre 2023, n. 35541) e nel caso in cui la stessa sia stata redatta fin dall’origine in forma digitale (Cass., 15 luglio 2024, n. 19327) e, in ultimo, nel caso di notifica a mezzo PEC della copia su supporto informatico della cartella di pagamento in origine cartacea (Cass., 27 novembre 2019, n. 30948).
3.4 Ancor più specificamente è stato affermato che « In tema di notifica della cartella di pagamento, l’inesistenza è configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto quale notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale, nella categoria della nullità, sanabile con efficacia “ex tunc” per raggiungimento dello scopo » (Cass., 28 ottobre 2016, n. 21865; Cass., Sez. U., 20 luglio 2016, n. 14916).
4. Il terzo motivo deduce l’illegittimità della sentenza impugnata sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto, per nullità del procedimento, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., errores in procedendo , violazione degli artt. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000; 32, 33, 42 del d.P.R. n. 600 del 1973; 51, 52, 56 del d.P.R. n. 633 del 1972; 24 e 97 Cost.; 159 c.p.c.; 6 del d.lgs., comma 3, n. 472 del 1997; 3, 7 septies, 12 della legge n. 241 del 1990; 2697 c.c.; 7 della legge n. 212 del 2000. In alternativa omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio
ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. L’intimazione di pagamento notificata alla società RAGIONE_SOCIALE senza l’allegazione degli atti prodromici richiamati (cartelle ed avvisi di addebito) doveva ritenersi carente in punto di motivazione con una evidente compressione del diritto di difesa della società contribuente, la quale si confrontava con un atto privo dei riferimenti necessari per la sua stessa validità. Nell’ a tto di intimazione di pagamento l’Ufficio non aveva fornito idonea motivazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche dei propri atti, né della scelta del metodo, né dei riferimenti normativi utilizzati a tal fine. La motivazione dell’atto tributario doveva essere tale da porre il contribuente nella condizione di valutare con pienezza di cognizione e senza riduzioni dello spazio di tempo a disposizione, la fondatezza della pretesa fiscale e la conseguente condotta da adottare. Le cartelle di pagamento che non riportavano il dettaglio puntuale del conteggio degli interessi e delle aliquote applicate erano affette da nullità in quanto atti lesivi del diritto alla difesa del contribuente.
4.1 Il motivo, oltre ad essere inammissibile perché formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., è infondato, poiché questa Corte ha precisato che « L’intimazione di pagamento, allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il quantum del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati – con il semplice richiamo all’atto impositivo ed alla cartella presupposti e con la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accessori, indicazione che soddisfa l’obbligo di motivazione prescritto dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000 e dall’art. 3 della l. n. 241 del 1990 » (Cass., 23 ottobre 2024, n. 27504).
4.2 Questa Corte, nell’ordinanza n. 27504 del 2024, dopo avere richiamato le Sezioni Unite che hanno affermato che la cartella di
pagamento, allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il quantum del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata, con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati, attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accessori, indicazione che soddisfa l’obbligo di motivazione prescritto dall’art. 7 della legge n. 212 del 2000 e dall’art. 3 della legge n. 241 del 1990 (Cass., Sez. U, 14 luglio 2022, n. 22281), ha espressamente affermato che il principio enunciato relativamente alla cartella di pagamento opera, a fortiori, con riferimento all’intimazione di pagamento, sicché la motivazione relativa al calcolo degli interessi va ricercata nel presupposto atto impositivo e nella presupposta cartella, essendo sufficiente, ai fini della motivazione dell’intimazione di pagamento, il mero richiamo a tali atti (Cass., 23 ottobre 2024, n. 27504, in motivazione).
Il quarto motivo (erroneamente indicato come terzo motivo) deduce l’illegittimità dell’impugnata sentenza sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto, per nullità del procedimento, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c ., errores in iudicando , sulla condanna alle spese, poiché i motivi espressi erano adeguatamente argomentati e fondati ed anche per il fatto che l’Ente non poteva pretendere gli onorari essendosi difeso con propri funzionari.
5.1 Il motivo è infondato, avendo i giudici di secondo grado, ai fini della distribuzione dell’onere delle spese del processo tra le parti, fatto corretto applicazione del criterio della soccombenza, che va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse (Cass., 27 agosto 2020, n. 17854 Cass., 4 agosto 2017, n. 19613; Cass., 16 giugno 2011, n. 13229).
5.2 Inoltre, nel processo tributario, all’Amministrazione finanziaria che sia stata assistita in giudizio da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite, spetta la liquidazione delle spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ad essi spettanti, atteso che l’espresso riferimento ai compensi per l’attività difensiva svolta, ora contenuto nell’art. 15, comma 2-bis, del d.lgs. n. 546 del 1992, ma comunque da sempre previsto da detto articolo, conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti che siano legittimati a svolgere attività difensiva nel processo (Cass., 10 gennaio 2024, n. 1019; Cass., 11 ottobre 2021, n. 27634).
Per quanto esposto, il ricorso va rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalle Agenzie controricorrenti e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara la cessazione della materia del contendere con riferimento alle cartelle di pagamento nn.NUMERO_CARTA, NUMERO_CARTA, NUMERO_CARTA, NUMERO_CARTA e alla cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA; per il resto, rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore delle Agenzie controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 26 marzo 2025.