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Notifica PEC cartella: è valida da un indirizzo non IPA?

Una società ha impugnato alcune cartelle esattoriali sostenendo la nullità della notifica PEC cartella, in quanto proveniente da un indirizzo dell’Agente della Riscossione non presente nei pubblici elenchi (IPA). La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, stabilendo che tale irregolarità formale non invalida la notifica se il mittente è comunque identificabile e se il contribuente non dimostra un concreto pregiudizio al proprio diritto di difesa.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Notifica PEC Cartella: È Valida Anche se l’Indirizzo del Mittente Non è nei Pubblici Elenchi?

La notifica PEC cartella di pagamento è un momento cruciale nel rapporto tra Fisco e contribuente. Ma cosa succede se l’indirizzo PEC utilizzato dall’Agente della Riscossione non risulta inserito nei pubblici elenchi, come l’IPA (Indice dei domicili digitali della Pubblica Amministrazione)? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 883/2024, offre un chiarimento fondamentale, privilegiando un approccio sostanziale rispetto a un formalismo rigido.

I Fatti di Causa

Una società tecnologica si vedeva recapitare diverse cartelle di pagamento per imposte (IVA e IRES) relative a due annualità. Ritenendo illegittimo il procedimento di notificazione, la società impugnava gli atti, chiedendone l’annullamento. Il fulcro della sua difesa si basava su un’eccezione specifica: le notifiche erano state effettuate tramite Posta Elettronica Certificata da un indirizzo dell’Agente della Riscossione non presente nel pubblico elenco IPA. Secondo la tesi della società, questa circostanza rendeva le notifiche giuridicamente inesistenti o, in subordine, nulle.

Sia la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) che la Commissione Tributaria Regionale (CTR) rigettavano le doglianze della contribuente. Non soddisfatta, la società decideva di portare la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

I Motivi del Ricorso e la Validità della Notifica PEC Cartella

Il ricorso in Cassazione si articolava su due motivi strettamente connessi, entrambi incentrati sulla presunta invalidità della notifica PEC cartella.

1. Primo Motivo: La società lamentava la violazione di diverse norme (tra cui la L. 53/1994 e il Codice dell’Amministrazione Digitale), sostenendo che la CTR avesse errato nel non considerare inesistenti le notifiche effettuate da un indirizzo PEC non ufficiale.
2. Secondo Motivo: Si deduceva la nullità della sentenza d’appello per lo stesso motivo, ovvero l’inesistenza delle notifiche provenienti da indirizzi PEC non censiti nell’elenco IPA.

In sostanza, il contribuente sosteneva che la legge imponesse in modo inequivocabile l’uso di indirizzi certificati e presenti nei pubblici elenchi per garantire l’autenticità e la provenienza dell’atto.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha deciso di trattare congiuntamente i due motivi, ritenendoli manifestamente infondati. Richiamando un consolidato orientamento giurisprudenziale, inaugurato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 15979 del 2022, i giudici hanno ribadito un principio di diritto cruciale.

L’estraneità dell’indirizzo PEC del mittente (in questo caso, l’Agente della Riscossione) dal registro pubblico INI-PEC o IPA non inficia “ex se”, cioè di per sé, la validità della notifica. La notifica non può essere considerata automaticamente nulla o inesistente solo per questa irregolarità formale.

Il punto centrale, secondo la Corte, è la presunzione di riferibilità dell’atto al soggetto da cui esso proviene. Se l’indirizzo PEC, pur non essendo in un elenco pubblico, è testualmente e logicamente riconducibile all’Agente della Riscossione (ad esempio, contenendo il suo nome o acronimo), tale presunzione opera.

Per superare questa presunzione, spetta al contribuente che riceve la notifica fare un passo ulteriore: deve dimostrare quali pregiudizi sostanziali al suo diritto di difesa siano derivati dalla ricezione della notifica da un indirizzo “non ufficiale”. Non è sufficiente eccepire il vizio formale; occorre provare che tale vizio ha concretamente impedito o reso più difficile l’esercizio dei propri diritti, come quello di impugnare l’atto nei termini.

Nel caso di specie, la società ricorrente non ha fornito alcuna prova di un simile pregiudizio. Di conseguenza, l’eccezione è stata considerata puramente formale e non idonea a determinare la nullità degli atti.

Le Conclusioni: Principio di Diritto e Implicazioni Pratiche

Con l’ordinanza n. 883/2024, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la società al pagamento delle spese legali. La decisione consolida un principio di fondamentale importanza pratica: nel contenzioso sulle notifiche telematiche, la forma non prevale sulla sostanza, a meno che il vizio formale non si traduca in un danno concreto per il destinatario.

L’implicazione per i contribuenti è chiara: non ci si può limitare a contestare una cartella di pagamento basandosi unicamente sul fatto che la PEC del Fisco non sia inserita in un elenco pubblico. Per avere successo, è necessario argomentare e provare come tale circostanza abbia leso il proprio diritto di difesa. Questa pronuncia sposta l’onere della prova sul destinatario e rafforza l’efficacia degli atti di riscossione trasmessi per via telematica, purché la provenienza sia chiaramente identificabile.

Una notifica PEC di una cartella esattoriale è valida se l’indirizzo del mittente non è nei pubblici elenchi (IPA/INI-PEC)?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, la notifica è valida. L’assenza dell’indirizzo da un elenco pubblico è un’irregolarità formale che non invalida di per sé l’atto, a condizione che il mittente sia chiaramente identificabile.

Quando un contribuente può contestare con successo una notifica PEC per questo motivo?
Il contribuente può contestarla con successo solo se dimostra che la ricezione della notifica da un indirizzo non presente nei pubblici elenchi ha causato un pregiudizio concreto e sostanziale al suo diritto di difesa.

Qual è l’onere della prova a carico del contribuente che riceve una notifica da una PEC non ufficiale?
Il contribuente ha l’onere di provare il pregiudizio subito. Non basta lamentare l’irregolarità formale, ma bisogna dimostrare in che modo essa abbia limitato o compromesso la possibilità di difendersi adeguatamente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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