Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14410 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14410 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5835/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
CONTRO
AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE, in persona del Direttore pro tempore
-intimata- avverso SENTENZA della C.T.R. del Lazio n. 3630/2021 depositata il 20/07/2021
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La soc. RAGIONE_SOCIALE impugna la sentenza della C.T.R. del Lazio di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza della C.T.P. di Roma di rigetto del ricorso per l’annullamento del preavviso di fermo amministrativo, cui era sottesa cartella di pagamento inerente la tassa automobilistica per l’anno 2014.
La C.T.R., dato atto dell’orientamento della Suprema Corte in ordine alla notifica telematica della cartella di pagamento, che può avvenire indifferentemente a mezzo di allegazione al messaggio di posta elettronica certificata di una copia dell’atto nativo digitale, ovvero mediante copia per immagini del documento originale cartaceo su supporto informatico (PDF), nonché dell’orientamento secondo il quale l’eventuale irritualità della notificazione non ne comporta l’inesistenza, ma la nullità, sanata dal raggiungimento dello scopo della conoscenza da parte del destinatario, ha ricordato che secondo la giurisprudenza di legittimità in caso di irritualità ravvisabili nella sottoscrizione della cartella di pagamento è sufficiente per la validità dell’atto che il suo destinatario si stato posto nella condizione di individuare quale autorità lo ha emesso. Ciò posto, sottolineato che il disconoscimento delle copie di atti deve essere circostanziato, ha considerato regolare la notifica della cartella di pagamento in data 15 maggio 2016 e, tenuto conto della notifica del preavviso di fermo in data 26 marzo 2018, ha escluso la prescrizione della cartella impositiva, ritenendo, infine, corretta la sentenza in ordine alla condanna
della società contribuente al pagamento delle spese del giudizio di primo grado, in forza del principio di soccombenza
L’Agenzia delle Entrate Riscossione è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La RAGIONE_SOCIALE formula tre motivi di ricorso.
Con il primo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per non avere la C.T.R. esaminato il motivo di appello relativo all’inesistenza o nullità della notificazione telematica della cartella di pagamento inviata da indirizzo pec non presente nei pubblici elenchi. Richiamata la disciplina applicabile, ed in particolare gli artt. 26, comma 2 d.P.R. 602 del 1973, l’art. 60, comma 5 d.P.R. 600 del 1973, gli artt. 3 bis e 6, comma 1, del d. lgs. 82 del 2005, l’art. 16 ter comma 1 del d.l. 179 del 2012, assume che l’obbligo di utilizzazione del domicilio digitale con indirizzo inserito nei pubblici elenchi -indicati dall’art. 16 ter del d.l. 179 del 2012, conv. con mod. in l. 221 del 2012- va riferito non solo al destinatario, ma anche al mittente, non residuando spazio alcuno per l’utilizzo da parte della pubblica amministrazione di un indirizzo digitale differente. Osserva che nel caso di specie, l’indirizzo di provenienza della notificazione della cartella di pagamento non risulta dall’elenco REginde, né dalla pagina ufficiale del sito internet dell’Agenzia delle Entrate Riscossione, con la conseguenza dell’invalidità della medesima, priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a renderla conoscibile come atto di notificazione.
Con il secondo motivo deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 d.l. 953 del 1982, conv. con mod. in l. 53 del 1983. Sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dalla C.T.R., stante l’invalidità
della notificazione della cartella esattoriale, in data 15 maggio 2016, essendo la notificazione del preavviso di fermo intervenuta solo il 24 maggio 2018, il credito erariale, relativo alla tassa automobilistica per l’anno 2014, deve ritenersi prescritto alla data del 1 gennaio 2018, il termine triennale iniziando a decorrere dall’inizio dell’anno successivo a quello in cui l’obbligo doveva essere adempiuto.
Con il terzo motivo denuncia, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ., nonché degli artt. 4 e 5, comma 4 del d.m. 55 del 2014. Rileva che, con specifico motivo di appello, la società contribuente aveva censurato l’abnormità della condanna alle spese di lite di cui alla sentenza di prima cura. La sentenza gravata, infatti, aveva liquidato le spese di lite del primo grado di giudizio in euro 800,00, nonostante il valore della controversia fosse pari ad euro 687,00. La C.T.R. ha ritenuto corretta la statuizione, nonostante essa non tenga conto dell’effettivo valore della lite, da determinarsi ai sensi dell’art. 5, comma 4 del d.m. 55 del 2014, come aggiornato dal d.m. 37 del 2018, e benché il procedimento si sia svolto senza ricorso alla fase cautelare e senza necessità di rinvii, e le questioni che ne formano oggetto siano connotate da semplicità.
Il primo motivo va rigettato e comporta l’assorbimento del secondo.
Si contesta, sostanzialmente, che il discostamento, da parte dell’Agente della riscossione, dallo schema tipico previsto dall’art. 26, secondo comma, del d.P.R. n. 602/1973, nella parte in cui disciplina la notificazione della cartella con le modalità di cui al d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68 -per avere la pubblica amministrazione provveduto alla notifica della cartella sottostanti il preavviso di fermo amministrativo utilizzando un
indirizzo non presente in pubblici elenchi- non consenta di verificarne la provenienza.
Questa Sezione con una recentissima pronuncia, che ha affrontato un caso del tutto analogo, ha ritenuto che ‘In tema di notificazione a mezzo PEC della cartella esattoriale, da parte dell’agente della riscossione, l’estraneità dell’indirizzo del mittente dal registro INI-Pec non inficia “ex se” la presunzione di riferibilità della notifica al soggetto da cui essa risulta provenire, testualmente ricavabile dall’indirizzo del mittente, occorrendo invece che la parte contribuente evidenzi quali pregiudizi sostanziali al diritto di difesa siano dipesi dalla ricezione della notifica della cartella di pagamento da un indirizzo diverso da quello telematico presente in tale registro. (Cass. Sez. 5, 03/07/2023, n. 18684). In particolare la decisione ha precisato come: ‘in relazione alle modalità di notificazione a mezzo di posta elettronica delle cartelle esattoriali, la giurisprudenza elaborata da questa Corte prende le mosse dalla previsione di cui all’art. 3 -bis della l. 21 gennaio 1994, n. 53, che consente tale forma di notificazione degli «atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali» e contiene previsioni specifiche concernenti il mittente e il destinatario dell’atto. Il primo comma della disposizione in parola, in particolare, stabilisce che «la notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblici elenchi». Come questa Corte ha poi recentemente osservato (cfr. Cass. n. 2460/2021), sulla scorta delle indicazioni provenienti dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 23620/2018,
l’entrata in vigore dall’art. 66, comma 5, del D. Lgs. n. 217 del 2017, ha previsto che, a decorrere dal 15.12.2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale, si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 6-bis, 6- quater e 62 del D. Lgs. n. 82 del 2005, nonché dall’articolo 16, comma 12, dello stesso decreto, dall’articolo 16, comma 6, del D. L. n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, nonché il Reg.Inde, registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della Giustizia. (…) osserva anzitutto il Collegio che l’obbligo di utilizzo di un indirizzo presente nel registro INI-Pec appare testualmente riferito solo al destinatario della notifica e non al notificante, in relazione al quale è previsto unicamente l’utilizzo «di un indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi». Pertanto, la norma speciale prevista per le notifiche in ambito tributario degli atti dell’Agente della riscossione differisce dalla previsione generale di cui al citato articolo 3-bis della legge n. 53/1994 solo con riferimento al soggetto che riceve la notificazione. D’altra parte, e con indicazione che si attaglia al caso di specie, questa Corte ha recentemente affermato che laddove l’agente della riscossione abbia effettuato la notifica per mezzo di un indirizzo p.e.c. non risultante nei pubblici registri (RegInde, INI-Pec e Ipa) non si verifica alcuna nullità della notifica. Viene infatti in rilievo, in questo caso, il rispetto dei canoni di leale collaborazione e buona fede che informano il rapporto fra Amministrazione e contribuente; di conseguenza, poiché l’estraneità dell’indirizzo del mittente dal registro INI -Pec non inficia ex se la presunzione di riferibilità della notifica al soggetto da cui essa risulta provenire, testualmente ricavabile dall’indirizzo del mittente, occorre che la parte contribuente evidenzi quali pregiudizi sostanziali al diritto di difesa siano
dipesi dalla ricezione della notifica della cartella di pagamento da un indirizzo diverso da quello telematico presente in tale registro, del quale però, come nella specie, sia evidente ictu oculi la provenienza (Cass. n. 982/2023).’ (ibidem).
Da siffatto orientamento, che qui si intende ribadire, non vi è ragione di discostarsi, dovendosi, peraltro, sottolineare che, neanche nel caso in esame, la società ricorrente ha dato conto dei pregiudizi sostanziali eventualmente subiti, derivanti dalla notifica da indirizzo di posta elettronica diverso da quello risultante di pubblici elenchi.
Il terzo motivo non merita accoglimento.
La doglianza, formulata quale error in iudicando , in relazione al disposto degli artt. 3 e 4 d.m. 55 del 2014, e alle tabelle ad esso allegate, come aggiornate dal d.m. 37 del 2018. in realtà censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione, per essersi la C.T.R. limitata ad affermare la correttezza della statuizione della C.T.P., in forza del principio della soccombenza, senza verificare la correttezza della liquidazione contenuta della sentenza impugnata, asseritamente violativa dei parametri tabellari.
Ora, anche volendo superare l’errore di sussunzione del vizio denunciato, va ricordato ‘In tema di liquidazione delle spese di lite, essendo le spese e le spettanze procuratorie stabilite dalla tariffa in misura fissa per ciascuna voce, la relativa liquidazione non può avvenire che con riferimento alla parcella, riscontrando la ricorrenza effettiva delle prestazioni e la rispondenza di queste agli importi tariffari, così da non lasciare margine di discrezionalità; per gli onorari, invece, essendo la tariffa articolata in una serie di scaglioni, in rapporto alla natura e al valore della causa, con alcuni correttivi, entro tali limiti il giudice può procedere discrezionalmente alla determinazione del compenso. (Cass. Sez. 3, 28/02/2019, n. 5798).
Nel caso di specie il giudice di prima cura appare si è mantenuto entro il massimo dello scaglione di riferimento (fino ad euro 1.100,00), posto che la liquidazione è pari ad euro 800,00 ed i parametri di riferimento sono pari ad euro 306,00 per la fase di studio, euro 180,00 per la fase introduttiva, euro 170,00 per la trattazione, euro 306,00 per la fase decisionale, per un totale di euro 962,00. Né la società ricorrente ha dato prova, producendo i verbali del primo grado di giudizio, del dedotto mancato svolgimento della trattazione.
Il ricorso deve, dunque, essere rigettato. Nulla in punto spese, essendo l’Agenzia delle Entrate rimasta intimata.
Si dà atto che sussistono, ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto
Così deciso in Roma, il 16 maggio 2025