Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20361 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20361 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14005/2024 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliate in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che le rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE, ONORATO COGNOME
-intimati- sul controricorso incidentale proposto da NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ISERNIA INDIRIZZO
UMBRIA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende (pec EMAIL.
-ricorrente incidentale- contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE
-intimati-
Avverso la SENTENZA della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO ABRUZZO n. 856/2023 depositata il 19/12/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/04/2025
dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di giustizia di secondo grado dell’Abruzzo ( hinc: CGT2), con la sentenza n. 856/2023 depositata in data 19/12/2023, accogliendo l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate – Riscossione ( hinc: ADER) e dall’Agenzia delle Entrate, in parziale riforma della sentenza n. 111/2023 emessa dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado de L’Aquila, ha dichiarato l’estinzione del giudizio, per cessazione della materia del contendere, limitatamente a una cartella, mentre ha dichiarato l a nullità dell’atto di intimazione impugnato con riferimento alle richieste contenute in tre cartelle e ha dichiarato la prescrizione del diritto relativamente a tutte le richieste di pagamento degli interessi e delle sanzioni.
Il giudizio riguardava l’impugnazione di un’ intimazione di pagamento per l’importo complessivo di Euro 471.548,25 emess a
nei confronti del sig. NOME COGNOME quale coobbligato della RAGIONE_SOCIALE di cui era stato socio accomandatario.
La CGT2, rilevato che il giudice di prime cure aveva annullato tutti gli atti impugnati (ad eccezione di un avviso di accertamento) ritenendo nulle le notifiche degli atti interruttivi e privi di rilievo i due verbali di pignoramento negativo nei confronti della società, ha distinto tra:
le notifiche delle cartelle ritenute (correttamente) nulle dal giudice di primo grado, in quanto eseguite ai sensi degli artt. 140 e 143 c.p.c. direttamente nei confronti della società, in mancanza dei consegnatari abilitati. Sul punto ha precisato, poi, che in materia di riscossione l’omissione della notifica di un atto presupposto costituisce un vizio procedurale che comporta la nullità dell’atto consequenziale notificato (Cass., Sez. U, n. 5791 del 2008; Cass., n. 24638 del 2017; Cass., 1144 del 2018);
le notifiche delle cartelle correttamente eseguite a mani del legale rappresentante della società.
3.1. La CGT2 ha poi ritenuto che l’esclusione dell’efficacia interruttiva della prescrizione ad opera dei verbali di pignoramento da parte del giudice di primo grado fosse corretta solamente per il verbale n. 46 del 06/03/2015 (dove si dà atto che l’ufficiale della riscossione non ha rinvenuto la sede sociale, né alcun rappresentante della stessa), contrariamente al verbale n. 172 del 16/09/2015, dove si evince che il verbale è stato redatto alla presenza del sig. NOME COGNOME indicato come legale rappresentante della s.a.s. Wama, al quale è stato ingiunto il pagamento di Euro 400.356 in favore di Equitalia. In tale contesto è irrilevante l’eccezione sollevata dalla difesa del contribuente circa l’incertezza tra la corrispondenza degli estratti di ruolo esibiti al legale rappresentante al momento del pignoramento e quelli prodotti in giudizio, trattandosi di circostanza espressamente
menzionata nel verbale di pignoramento, non oggetto di querela di falso, con la conseguenza che non possono sussistere dubbi che al sig. COGNOME siano stati esibiti gli estratti di ruolo e ne abbia avuto conoscenza giuridica. In ogni caso, in tale verbale, l’ufficiale di riscossione dichiarava di agire per un importo in linea capitale pari a Euro 400.356,44, dovuto per crediti di natura erariale. Di conseguenza, l’appellato a parte la questione relativa alla mancata proposizione della querela di falso -avrebbe dovuto dimostrare l’esistenza , ai danni alla società, di ulteriori e diversi crediti per un ammontare pari alla somma indicata, cosa che non è stata fatta.
3.2. Infine, il giudice di seconde cure ha ritenuto che la prescrizione per la sorte capitale dei crediti fosse decennale e che nel caso di specie non fosse maturata, considerato che la notifica dell’atto di intimazione impugnato è avvenuta in data 02/02/2022, a fronte del verbale di pignoramento negativo del 16/09/2015. Diversamente, la CGT2 ha ritenuto che per le sanzioni (in ragione di quanto previsto dall’art. 20 d.lgs. n. 472 del 1997) e per gli interessi (alla luce di quanto stabilito dall’art. 2948, n. 4, c.c.) fosse applicabile il termine di prescrizione quinquennale.
Contro la sentenza della CGT2 l’Agenzia delle Entrate e l’ADER hanno proposto ricorso in cassazione con tre motivi.
Il sig. NOME COGNOME ha resistito con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale con due motivi.
La Procura Generale presso la Corte di cassazione ha depositato requisitoria scritta chiedendo di accogliere il terzo motivo del ricorso principale, di rigettare i restanti motivi e il ricorso incidentale.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso principale è stata denunciata la violazione dell’art. 60, comma 1, lett. e), d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
1.1. Le ricorrenti evidenziano che, secondo la CGT2, sono irrituali le notifiche eseguite nei confronti della sola società ai sensi dell’art. 145 c.p.c. e non nei confronti del legale rappresentante ai sensi degli artt. 140 e 143 c.p.c. Tuttavia, gli atti sono stati notificati correttamente: una volta che non è stato rinvenuto presso la sede il destinatario dell’atto , le notificazioni sono state eseguite dall’ufficiale della riscossione con il cd. rito degli irreperibili di cui all’art. 60, primo comma, lett. e), d.P.R. n. 600 del 1973, mediante deposito dell’atto da notificare presso la casa comunale e affissione dell’avviso all’albo comunale. A pag. 7-8 del ricorso in cassazione hanno riprodotto le copie degli avvisi di ricevimento. Risulta, quindi, che le notificazioni siano state eseguite in conformità a quanto prescritto dall’art. 60 cit. Peraltro, il legale rappresentante risiedeva in un comune diverso da quello in cui si trovava la sede della società.
1.2. Il motivo è fondato. In via preliminare, occorre evidenziare che il motivo di ricorso -diversamente da quanto eccepito dalla controricorrente -è stato correttamente introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma 3, c.p.c., non venendo affatto in rilievo l’errata ricostruzione della fattispecie, quanto la violazione della disciplina regolativa del procedimento notificatorio. Sul punto, proprio in relazione all’art. 60, primo comma, lett. e), d.P.R. n. 600 del 1973 la presente Corte ha affermato, anche recentemente, che in tema di notificazione degli atti impositivi, il messo notificatore o l’ufficiale giudiziario, prima di effettuare la notifica secondo le modalità previste, per gli “irreperibili assoluti”, dall’art. 60, comma 1, lett. e), del d.P.R. n. 600 del 1973, in luogo di quella ex art. 140 c.p.c., deve svolgere le ricerche volte a verificare che il contribuente non abbia
più né l’abitazione né l’ufficio o l’azienda nel Comune nel quale aveva il domicilio fiscale (Cass., 03/04/2024, n. 8823).
Nella giurisprudenza di questa Corte si legge che: « ed invero, «in tema di notificazione degli avvisi e degli atti tributari impositivi, prevista dall’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, la notificazione deve essere effettuata secondo il rito previsto dall’art. 140 cod. proc. civ. solo quando siano conosciuti la residenza e l’indirizzo del destinatario, ma non si sia potuto eseguire la consegna perché questi (o ogni altro possibile consegnatario) non è stato rinvenuto in detto indirizzo, mentre deve essere effettuata applicando la disciplina di cui all’art. 60 lett. e) d.P.R. n. 600 del 1973 quando il messo notificatore non reperisca il contribuente, che, dalle notizie acquisite all’atto della notifica, risulti trasferito in luogo sconosciuto. Con riferimento alla previa acquisizione di notizie e/o al previo espletamento delle ricerche, va evidenziato che nessuna norma prescrive quali attività devono esattamente essere a tal fine compiute né con quali espressioni verbali ed in quale contesto documentale deve essere espresso il risultato di tali ricerche, purché emerga chiaramente che le ricerche sono state effettuate, che sono attribuibili al messo notificatore e riferibili alla notifica in esame» (Cass. sent n. 20425/07); quindi, nell’ipotesi in cui il messo notificatore non rinvenga l’effettiva abitazione o l’ufficio o l’azienda del contribuente nell’ambito del Comune di domicilio fiscale, la notificazione ai sensi dell’art. 60, comma 1, lett. e) del d.P.R. n. 600 del 1973 è ritualmente eseguita mediante deposito dell’atto nella casa comunale e affissione dell’avviso di deposito nell’albo del Comune, senza necessità di comunicazione all’interessato a mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno, né di ulteriori ricerche al di fuori del detto Comune (vedi, da ultimo, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3378 del 12/02/2020); nel caso di specie, nella sede legale della
società, risultante dalle visure camerali, il destinatario della notifica risultava irreperibile, pertanto l’agente notificatore ha legittimamente eseguito la notifica con le modalità di cui all’art.60, co.1, lett. e), d.P.R. n.600/1973.» (Cass., 27/10/2020, n. 23549).
Recentemente è stato affermato che la constatazione da parte de ll’agente notificatore del l’irreperibilità della società a seguito del mancato reperimento presso la sede risultante dal registro delle imprese è sufficiente ai fini dell’attivazione della notificazione ai sensi dell’art. 60, primo comma, lett. e), d.P.R. n. 600 del 1973. La presenza di un regime pubblicitario come quello regolato attraverso l’istituzione e l’aggiornamento del registro delle imprese , comporta, infatti, una forma di autoresponsabilità delle singole imprese e società in ordine ai dati e alle informazioni inserite in tale registro anche nei confronti dei terzi. Con riferimento alla sede legale indicata nel registro delle imprese deve, quindi, ritenersi che la sua indicazione sia funzionale anche a consentirne la reperibilità, con la conseguenza che l’agente notificatore può ben fare affidamento sulle risultanze del registro delle imprese e ritenere la società irreperibile una volta che non era stata trovata presso la sede legale risultante da tale registro (Cass., 13/09/2024, n. 24666).
Deve, quindi, trovare conferma l’orientamento secondo il quale , una volta rilevata l’irreperibilità della società presso la sede indicata al registro delle imprese l’organo notificatore possa perfezionare il procedimento di notificazione attraverso il compimento delle residue modalità previste nell’art. 60, comma 1, lett. e), d.P.R. n. 600 del 1973 e cioè mediante deposito dell’atto nella casa comunale e affissione dell’avviso di deposito nell’albo del Comune. Nella specie, peraltro, non risultava, anche sulla base della visura camera, alcun trasferimento di sede della società rispetto all’indirizzo nel quale il notificatore ha tentato l’accesso.
Con il secondo motivo è stata denunciata la violazione dell’art. 21 d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
2.1. Con tale motivo le ricorrenti in via principale censurano la seguente affermazione contenuta nella sentenza impugnata: « Orbene, non essendo dubitale che con il presente ricorso il contribuente ha inteso censurare unicamente il vizio di notifica dell’atto presupposto, non rimane altro che dichiarare la nullità dell’atto oggi impugnato, limitatamente alle richieste di pagamento indicate nelle tre cartelle sopra indicate, nel rilievo che queste erano dirette al recupero di imposte IVA e IRAP degli anni dal 2003 al 2007, quindi ormai non più esigibili per decadenza ».
In altri termini, la sentenza afferma che le somme portate nelle cartelle n. NUMERO_CARTA– n. NUMERO_CARTA siano inesigibili per decorso dei termini di decadenza.
Tuttavia, ad avviso di parte ricorrente, il contribuente avrebbe dovuto impugnare le cartelle tempestivamente, a pena di decadenza, Difatti, la verifica della rituale e tempestiva introduzione del giudizio impugnatorio rientra nel potere-dovere del giudice, così da dover essere effettuata anche d’ufficio sulla base delle risultanze in atti. Inoltre, la facoltà di impugnazione deve essere esercitata – secondo la regola generale – nel rispetto del termine previsto di sessanta giorni ex art. 21 d.lgs. n. 546 del 1992, atteso che l’avvenuta conoscenza dell’atto esplica effetto in ordine non soltanto alla determinazione in capo al contribuente della legittimazione ad impugnare ma anche al termine di esercizio di tale legittimazione.
Con il terzo motivo di ricorso principale è stata denunciata la violazione dell’art. 2943 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.
3.1. Le ricorrenti in via principale hanno rilevato che la sentenza impugnata ha dichiarato:
la prescrizione dei tributi, interessi e sanzioni portati nelle cartelle n. NUMERO_CARTA e n. NUMERO_CARTA
la prescrizione di interessi e sanzioni riguardo le cartelle opposte e l’avviso di accertamento esecutivo.
Secondo la CGT2 i termini di prescrizione sono stati interrotti dal pignoramento elevato in data 16.09.2015, ritenuto efficace anche nei confronti del debitore, sig. COGNOME perché, in quella sede, al medesimo « indicato quale legale rappresentante della società, è stato formalmente rivolto l’invito al pagamento della somma di € 400.356,44, dovuta per i debiti indicati negli allegati estratti di ruolo, con avvertimento che in difetto si sarebbe proceduto a pignoramento mobiliare, per cui sussistono gli estremi di una valida messa in mora del debitore ( cfr. Cass. ord. n. 41386/2021). »
Secondo la parte ricorrente tale assunto è, tuttavia, errato, dovendosi ritenere che i termini di prescrizione sono stati interrotti:
-dal pignoramento mobiliare del 16/09/2015;
-dalla notifica dell’intimazione di pagamento n. NUMERO_CARTAin data 13/11/2017;
-dalla notifica dell’atto opposto in data 02/02/2022.
Le ricorrenti hanno, poi, richiamato Cass., n. 27093 del 2022, rilevando che l a mancata impugnazione dell’intimazione di pagamento n. NUMERO_CARTA, in data 13.11.2017 ha comportato la decorrenza di un nuovo termine di prescrizione, che alla data del 02/02/2022 (data di notifica dell’atto opposto ) non poteva essere decorso, neppure se quinquennale.
Di conseguenza, avuto riguardo alla data di notifica delle cartelle, quella delle intimazioni medio tempore notificate, del pignoramento mobiliare 172/15 in data 16.9.2015 e dell’intimazione impugnata
dalla contribuente, non risultava compiuto il decorso prescrizionale neppure quinquennale.
Il secondo e il terzo motivo sono assorbiti in conseguenza dell’accoglimento del primo motivo.
Con il primo motivo di ricorso incidentale è stato denunciato l’ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 5, c.p.c.
5.1. Il ricorrente in via incidentale rileva che, in riforma della sentenza di primo grado, la CGT2 ha accertato l’intervenuta interruzione della prescrizione per effetto della notifica, avvenuta il 16/09/2015 a mani del controricorrente, di un verbale di pignoramento mobiliare. Nel condurre tale accertamento la Corte ha però omesso di accertare, a fronte dei rilievi articolati nel corso dei due precedenti gradi di giudizio, che a tale verbale, recante un g enerico riferimento a ‘tributi ed importi’ apparent emente indicati negli ‘estratti di ruolo allegati’ al medesimo verbale, non sono effettivamente riconducibili gli estratti di ruolo che l’Agenzia delle Entrate – Riscossione ha prodotto in atti, poiché risultanti da documenti del tutto distinti e separati. La parte ricorrente in via incidentale rileva, in particolare, che il verbale di pignoramento, ancorché notificato a mani dell’odierno controricorrente, non poteva ritenersi idoneo a provocare l’effetto interruttivo della prescrizione, riferendosi a non m eglio indicati ‘ tributi ed importi ‘, risultanti esclusivamente dal contenuto di alcuni estratti di ruolo contenuti in un documento separato dal verbale, non congiunto materialmente al verbale di pignoramento, e difettando, pertanto, dell’ostensione del titolo esecutivo.
L’ omesso esame di tali circostanze deve ritenersi decisivo ai fini della controversia atteso che: da un parte, la c.d. ostensione del titolo esecutivo, nel caso di specie omessa, è da ritenersi indispensabile ai
fini della produzione dell’effetto interruttivo del decorso della prescrizione. Inoltre, il verbale di pignoramento è stato ritenuto decisivo ai fini dell’accertamento, contenuto nella sentenza impugnata, dell’interruzione della prescrizione di alcune pretese tributarie riconducibili a parte delle cartelle indicate nell’atto di intimazione impugnato, in sede di introduzione del giudizio di primo grado.
5.2. Il motivo è inammissibile, sotto plurimi profili.
Secondo questa Corte l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., 20/06/2024, n. 17005). Peraltro, occorre rilevare come questa Corte -anche nell’ambito della precedente e più ampia formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (anteriore alle modifiche apportate dal d.l. n. 83 del 2012) -avesse precisato che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso
difforme da quello preteso dalla parte perché la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., 19/01/2006, n. 1014). Deve, quindi, ritenersi che a maggior ragione nell’attuale formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. sia sottratto al controllo di legittimità un nuovo e diverso apprezzamento dei fatti e delle prove. A tal fine è stato, infatti, precisato che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, prevede l'”omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (Cass., 26/01/2022, n. 2268).
6. Con il secondo motivo di ricorso incidentale è stata denunciata la violazione del combinato disposto degli art. 2697 e 2943 in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3, c.p.c. In via logicamente consequenziale al primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata, secondo il ricorrente incidentale, è errata nella parte in cui ha affermato che, a fronte della complessiva somma pecuniaria indicata nel citato verbale negativo di pignoramento, sarebbe stato onere del controricorrente, quale soggetto destinatario della notifica del medesimo verbale, dimostrare che tale somma era o sarebbe stata
da ricondurre a pretese tributarie eventualmente diverse da quelle risultanti dagli estratti di ruolo prodotti in atti dall’Agenzia delle Entrate Riscossione sulla base di documenti, separati dallo stesso verbale di pignoramento, di cui, come anticipato in relazione al primo motivo di ricorso incidentale, non v’è prova di notifica. Per tal via la Corte di secondo grado, in violazione del disposto di cui all’art . 2697 c.c., ha attribuito all’odierno controricorrente l’onere di provare, agli effetti del dispo sto di cui all’art. 2943 c.c., il fatto negativo della mancata interruzione della prescrizione.
6.1. Il motivo è inammissibile, sia perché tende a una rivalutazione dei fatti riservata al giudice di merito, sia perché, comunque, infondato, non essendo riscontrabile alcuna violazione dell’art. 2697 c.c.
Sotto il primo profilo, questa Corte ha rilevato che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (Cass. 30/12/2015, n. 26110), nei limiti di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., così come risultante nelle modifiche apportate dal d.l. n. 83 del 2012 (v. Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
Sotto il secondo profilo, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura, poi, soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate
sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni ( ex multis , Cass., 15/10/2024, n. 26739).
Nel caso di specie la CGT2 ha affermato che: « … è irrilevante l’eccezione sollevata dalla difesa del contribuente che ha dedotto che sussisterebbe incertezza sul fatto che gli allegati estratti di ruolo prodotti nel corso del presente giudizio dalle Agenzie siano gli stessi portati all’esame dell’Onor ato al momento del pignoramento, perché tale circostanza è espressamente menzionata del verbale di pignoramento, atto pubblico che non è stato fatto oggetto di querela di falso, per cui non può sussistere dubbio sul fatto che all’Onorato siano stati mostrati tutti gli estratti di ruolo e che ne abbia avuto conoscenza giuridica.» Tale affermazione non solo sottende una valutazione dei documenti da parte del giudice del merito -non revisionabile in sede di legittimità -ed evidenzia l’assenza di qualsiasi inversione dell’onere della prova sotteso all’art. 2697 c.c., considerato che tale previsione pone non solo la regola onus probandi incumbit ei qui dicit (« chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento» ), ma stabilisce altresì che, una volta che l’onere della prova sia assolto dalla parte che ne è onerata, spetta alla controparte fornire la prova contraria sull’inesistenza dei fatti costitutivi o sull’esistenza dei fatti modificativi o estintivi. Tali criteri sono stati correttamente applicati nella sentenza impugnata, dove il giudice di seconde cure, una volta ritenuto provato che il verbale di pignoramento del 16/09/2015 riguardasse i crediti indicati nel l’atto impositivo impugnato nel presente giudizio (e quindi che l’amministrazione finanziaria avesse dato assolto all’onere della prova ai sensi dell’art. 2697, comma 1, c.c.), ha precisato che sarebbe spettato al contribuente provare l’esistenza di ulteri ori e diversi crediti per un ammontare
corrispondente a quello per il quale l’agente della riscossione aveva dichiarato di agire nel 2015.
In conclusione, deve essere accolto il primo motivo di ricorso principale, con il conseguente assorbimento del secondo e del terzo motivo, mentre il ricorso incidentale deve essere rigettato.
7.1. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata con rinvio alla Corte di giustizia di secondo grado dell’Abruzzo che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
…
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso principale nei termini di cui in motivazione e dichiara assorbito il secondo e il terzo motivo di ricorso principale;
rigetta il ricorso incidentale;
cassa la sentenza impugnata, in relazione al primo motivo del ricorso principale, e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità;
a i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di co ntributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 09/04/2025.