Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18489 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18489 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/07/2025
Oggetto: intimazione pa- gamento – cartelle paga- mento – avvisi di accerta- mento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19597/2024 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del direttore pro tempore, RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrenti –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC EMAIL
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio n. 1165/14/2024, depositata il 20.2.2024 e non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 9 aprile 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Con sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio n. 1165/14/2024, depositata il 20.2.2024 veniva respinto l’ appello proposto da ll’agente della riscossione, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e di NOME COGNOME avverso la sentenza della della Corte di giustizia di primo grado di Roma n. 1258/35/2023 avente ad oggetto l’ ‘intimazione di pagamento notificata dall’agente della riscossione in data 10.5.2022 e le sottostanti quindici cartelle di pagamento e due avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate e asseritamente mai notificati al contribuente.
Il giudice di prime cure accoglieva il ricorso ritenendo che l’Amministrazione finanziaria non avesse fornito la prova di atti interruttivi della prescrizione dei crediti vantati nei confronti del contribuente. Il giudice d’appello, nel merito, riteneva non ritualmente notificati gli atti sottostanti all’intimazione di pagamento ed escludeva la dimostrazione della presenza di atti interruttivi della prescrizione.
Avverso la sentenza d’appello hanno proposto un unico ricorso per Cassazione l’Agenzia dell’Entrate e l’agente della riscossione, affidato a tre motivi, cui replica il contribuente con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo le ricorrenti prospettano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., per avere la Corte di secondo grado «erroneamente percepito, dalla documentazione prodotta come prova della notifica al contribuente degli avvisi di accertamento, delle cartelle di pagamento e degli altri atti interruttivi della
prescrizione sottesi all’intimazione ex adverso impugnata, che le Amministrazioni ricorrenti hanno notificato i predetti atti ad un indirizzo errato ovvero in INDIRIZZORoma anziché all’indirizzo corretto di INDIRIZZO -00189 Roma» (cfr. p.12 ricorso).
Preliminarmente, si dà atto delle eccezioni di inammissibilità formulate in controricorso, sia perché le ricorrenti con il mezzo di impugnazione in disamina sostanzialmente chiedono un’irrituale rivalutazione delle prove circa la notifica di atti impositivi sottesi all’intimazione impugnata, a fronte di un accertamento fattuale del giudice difforme, sia per parziale novità della questione nella parte in cui viene prospettata una presunta responsabilità del contribuente per aver erroneamente indicato nella propria dichiarazione dei redditi un CAP errato.
Il motivo è inammissibile.
3.1. Il Collegio osserva, innanzitutto, che nella censura viene prospettato un travisamento della prova, in riferimento al quale le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 5792/2024 hanno enunciato il principio secondo il quale il travisamento del contenuto oggettivo della prova, che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, cod. proc. civ., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, cod. proc. civ., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale. Pertanto la censura è inammissibile innanzitutto sotto l’angolo della tecnica della formulazione perché delle due l’una, o il presunto errore percettivo doveva essere oggetto di richiesta di revocazione parziale della sentenza oppure, in
sede di ricorso per cassazione sulla questione sostanziale relativa alla notifica degli atti impositivi sottostanti alla intimazione di pagamento doveva essere formulata una censura motivazionale ai sensi del n.5.
3.2 In secondo luogo, va ribadito che la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti (tra le tante, v. Cass. 28 novembre 2014 n. 25332).
Confermando la decisione di primo grado, il giudice di seconde cure, presa in esame la documentazione risultante agli atti, ha accertato la fondatezza del denunciato vizio della intimazione di pagamento per omessa notifica degli atti presupposti, stabilendo che «la documentazione, prodotta anche in sede di appello dimostra che la notificazione delle cartelle di pagamento e degli altri atti presupposti sono del tutto inesistenti in quanto dalle fotocopie delle relate prodotte in atti dal Concessionario non si evince la rituale notifica delle cartelle e degli avvisi di accertamento, quindi il procedimento notificatorio non si è mai perfezionato con conseguente inesistenza della notifica» (cfr. p. 5 della sentenza impugnata).
La doglianza delle ricorrenti, i quali censurano la decisione impugnata perché « il giudice dell’appello, nel dichiarare che, nel caso di specie, non risulta provata la notifica degli atti suindicati per i motivi più sopra commentati, è pervenuto ad una erronea ricostruzione della quaestio facti » (cfr. p. 25 del ricorso), si traduce in una inammissibile richiesta rivalutazione delle risultanze istruttorie, che impinge sull’ accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità nei termini proposti.
3.3. Infine, il motivo è anche inammissibile per doppia conforme con riferimento al paradigma del prospettato vizio motivazionale alla luce del doppio rigetto della prospettazione di parte contribuente sia in primo sia secondo grado. Infatti, l’abrogazione dell’art. 348-ter cod. proc. civ., già prevista dalla legge delega n.206/2021 attuata per quanto qui interessa dal d.lgs. n.149/2022, ha comportato il collocamento all’interno dell’art. 360 cod. proc. civ. di un terzo comma, con il connesso adeguamento dei richiami, il quale ripropone la disposizione dei commi quarto e quinto dell’articolo abrogato e prevede l’inammissibilità del ricorso per cassazione per il motivo previsto dal n. 5 dell’art. 360 comma primo citato, ossia per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il ricorrente non ha dimostrato che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello sono state tra loro diverse. 4. Con il secondo motivo le ricorrenti censurano, in rapporto all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 143 cod. proc. civ., 60 del d.P.R. n. 600/1973 e 26 del d.P.R. 602/73 per avere il giudice d’appello erroneamente ritenuto che la notifica della cartella n. NUMERO_CARTA non sia stata regolarmente notificata con la procedura prevista per l’ipotesi di irreperibilità assoluta del destinatario.
Il motivo è inammissibile.
5.1. La doglianza è tesa a contestare l ‘accertamento del giudice di irregolarità della notificazione eseguita con la procedura prevista nell’ipotesi di irreperibilità assoluta del destinatario, conforme alla giurisprudenza di legittimità dal momento che siffatta modalità di notificazione presuppone sempre e comunque che, nel luogo dell’ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l’ufficiale giudiziario dia espresso conto ( ex multis , Cass. Sez. 5, sentenza n. 27699 del 25/10/2024) e che l’indirizzo dell’ultima residenza nota non risulti errato.
5.2. Inoltre, secondo profilo concorrente di inammissibilità, la censura impinge in un accertamento fattuale preciso espresso dal giudice, compiuto a pag.5 della sentenza, imperniato su una duplice ratio decidendi . Secondo il giudice, da un lato non vi sono nella fattispecie i presupposti richiesti dalla sopra richiamata giurisprudenza di legittimità per ritenere rituale la notificazione ex art.143 cod. proc. civ. con il rito degli irreperibili e, dall’altro, il credito portato dalla cartella n. NUMERO_CARTA era comunque prescritto essendo decorsi 10 dalla notificazione della stessa.
Quest ‘ultima concorrente statuizione, non è stata neppure specificamente impugnata con il motivo in disamina, ed è di per sé idonea a supportare l’esito decisorio del giudice d’appello sfavorevole all’Amministrazione finanziaria.
Con il terzo motivo le ricorrenti prospettano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 19 e 21 del d.lgs. n. 546/1992 riproponendo il motivo d’appello, rimasto assorbito nella decisione della CGT2, con il quale era stata sollevata la questione del l’inammissibilità del ricorso introduttivo per tardività dell’impugnazione degli atti prodromici all’intimazione , sul presupposto che questi fossero stati ritualmente notificati.
La censura è infondata, in conseguenza del l’inammissibilità dei primi due motivi, perché l’accertamento del giudice d’appello di irritualità della notificazione degli atti sottostanti l’intimazione di pagamento non è stato utilmente censurato, e da ciò discende l’infondatezza della prospettata tardività del ricorso di primo grado, questione costruita proprio sull’assunto che la notificazione di tali atti si fosse correttamente perfezionata nei confronti del contribuente.
In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato e le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, in presenza di soccombenza della parte ammessa
alla prenotazione a debito non sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti in solido alla rifusione delle spese di lite, liquidate in favore del controricorrente in euro 5.900 per compensi, oltre 200 euro per rimborso spese borsuali, IVA e Cpa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’ 9.4.2025