Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15762 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15762 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 311/2017 R.G. proposto da COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio del prof avv. COGNOME COGNOME dal quale è rappresentato e difeso;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELL’UMBRIA n. 264/03/2016 , depositata il 19 maggio 2016;
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 16 aprile 2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale di Perugia dell’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di NOME COGNOME esercente la professione
di agente di commercio, un avviso di accertamento con il quale rettificava il reddito complessivo, il valore della produzione netta e il volume d’affari da lui dichiarati, rispettivamente, ai fini dell’IRPEF, dell’IRAP e dell’IVA, in relazione all’anno 2010, recuperando a tassazione il maggior imponibile così determinato e irrogando le sanzioni amministrative pecuniarie previste dalla legge.
L’Ufficio contestava, fra l’altro, l’indeducibilità ai fini delle imposte dirette e l’indetraibilità ai fini dell’IVA delle spese di pubblicità e dei costi asseritamente sostenuti dal contribuente per attività di verifica delle modalità di commercializzazione dei prodotti della RAGIONE_SOCIALE nei vari supermercati presenti in cinque diverse Regioni italiane; e ciò sul presupposto dell’inesistenza oggettiva delle relative operazioni, come rispettivamente fatturate da NOME COGNOME titolare dell’omonima scuderia automobilistica, dalla RAGIONE_SOCIALE e da NOME COGNOME.
Il COGNOME impugnava l’atto impositivo dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Perugia, che respingeva il suo ricorso.
La decisione veniva successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria, la quale, con sentenza n. 264/03/2016 del 15 marzo 2016, depositata il 19 maggio 2016, rigettava l’appello della parte privata.
A fondamento della pronuncia adottata il collegio di secondo grado osservava quanto segue: «…l’eccezione di inesistenza ( scilicet : dell’atto impositivo -n.d.r.) … è da ritenersi inammissibile in quanto formulata per la prima volta in appello… Del pari infondati sono i motivi di impugnazione relativi al merito della controversia. Come ritenuto dalla Commissione Provinciale, l’accertamento dell’Ufficio deve, invero, ritenersi sufficientemente e congruamente motivato per quanto attiene alla evidenziata inesistenza oggettiva delle operazioni contestate, laddove, per contro, il contribuente non ha fornito sufficienti elementi di prova contraria. In particolare,
l’inesistenza delle operazioni consegue al fatto che tutti i pagamenti delle fatture, nonostante gli importi elevati, sono stati effettuati con modalità non tracciabili e che gli stessi sono costantemente ‘tondi’. Inoltre, i costi riferiti a spese di pubblicità ammontano ad euro 52.296,00 ed appaiono assolutamente non proporzionati rispetto al reddito d’impresa dichiarato, pari ad euro 18.841,00. È da ritenere altresì corretta l’indeducibilità dell’IVA, in ottemperanza a quanto statuito dalla Corte di Cassazione con ordinanza 10041/2014. Da ultimo si rileva che anche altra sezione di questa stessa Commissione Regionale ha confermato la legittimità dell’operato dell’ufficio con riferimento ad identici accertamenti nei confronti del medesimo contribuente relativi alle annualità 2007/2009» .
Contro questa sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a nove motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso, eccependo «in limine litis» l’inammissibilità dell’esperito gravame di legittimità per inesistenza della relativa notificazione.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo di ricorso sono denunciati l’ , nonché la violazione dell’art. 53 Cost. .
1.1 Si rimprovera alla CTR di non aver valutato la documentazione prodotta dal contribuente a dimostrazione delle spese di pubblicità sostenute nell’anno 2010, delle quali l’Ufficio aveva disconosciuto la deducibilità.
Con il secondo motivo sono lamentati: (a)l’ ; (b)la ; (c)la della decisione.
2.1 Si contesta l’impugnata sentenza per non aver preso atto degli esiti del parallelo accertamento tributario condotto dalla Direzione Provinciale di Frosinone dell’Agenzia delle Entrate nei confronti di NOME COGNOME soggetto che aveva emesso le fatture relative alle prestazioni pubblicitarie per cui è causa.
Viene, al riguardo, posto in risalto che nell’àmbito di tale accertamento erano state ritenute tutte le fatture emesse dal predetto Oddi, comprese quelle di cui trattasi: da ciò si sarebbe dovuta inferire l’infondatezza dei rilievi fiscali mossi nei confronti del COGNOME dalla Direzione Provinciale di Perugia della medesima Agenzia.
2.2 Si soggiunge che la soluzione della controversia adottata dalla Commissione regionale finirebbe per assicurare un indebito arricchimento all’Erario, consentendogli di applicare .
Con il terzo mezzo è nuovamente dedotto l’ .
3.1 Si addebita al collegio di secondo grado di aver trascurato di considerare che il COGNOME, nella sua qualità di agente monomandatario della RAGIONE_SOCIALE, era a far fronte a spese di pubblicità e per attività di verifica a mezzo di (RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME), onde poter mantenere i rapporti commerciali con i suoi clienti più importanti, e in particolare con la Grande Distribuzione Organizzata (GDO).
Tali spese, peraltro, risultavano non solo inerenti all’attività d’impresa da lui svolta, ma anche congrue rispetto al fatturato prodotto.
Con il quarto motivo sono prospettati: (a)la ; (b)l’indebita ; (c) .
4.1 Si censura l’impugnata sentenza per aver ritenuto legittimo l’avviso di accertamento emesso nei confronti del COGNOME, sebbene risultasse .
Con il quinto motivo è denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 90, comma 8, della L. n. 289 del 2002.
5.1 Si critica la sentenza d’appello per aver a torto ritenuto inapplicabile alla fattispecie di causa la disposizione normativa innanzi citata, la quale pone una presunzione legale assoluta di deducibilità delle spese pubblicitarie sostenute in favore delle società sportive dilettantistiche, fino a un importo annuo complessivamente non superiore a 200.000 euro.
Con il sesto mezzo viene adombrata la .
6.1 Sulla premessa giuridica che ( recte : detratta n.d.r.), si lamenta l’erroneità dell’impugnata decisione .
Con il settimo motivo è ancora una volta contestato l’ .
7.1 Viene ascritto al collegio di seconde cure di non aver statuito in ordine al primo motivo di appello con il quale era stata eccepita per difetto di valida delega di firma in capo al funzionario che lo aveva sottoscritto.
Con l’ottavo motivo sono lamentate la , nonché la .
8.1 Si evidenzia, sul punto, che nella motivazione della sentenza qui impugnata viene fatto espresso riferimento ad altra pronuncia fra le stesse parti resa dalla medesima Terza Sezione della CTR umbra (la n. 140/3/2016 del 4 giugno 2015-16 marzo 2016), non ancora depositata alla data di deliberazione della prima (15 marzo 2016); da ciò la denunciata .
Con il nono mezzo è prospettata la .
9.1 Si imputa alla CTR di non aver applicato al contribuente il più favorevole «ius superveniens» in materia di sanzioni, sebbene la questione avesse formato oggetto di .
Così riassunti i mezzi di impugnazione sottoposti al vaglio della Corte, va pregiudizialmente dichiarata l’inammissibilità del ricorso, in accoglimento dell’eccezione sollevata sul punto dalla controricorrente Agenzia delle Entrate.
10.1 Come, infatti, si ricava dall’esame dell a documentazione processuale ritualmente acquisita, il ricorso è stato notificato il 20 dicembre 2016 -giorno in cui scadeva il termine lungo semestrale
di impugnazione stabilito dall’art. 327, comma 1, c.p.c., applicabile anche alle controversie tributarie in virtù del rinvio disposto dall’art. 38, comma 3, del D. Lgs. n. 546 del 1992, a sua volta richiamato dal successivo art. 51, comma 1, ultimo inciso, del medesimo decretomediante deposito presso gli uffici della Direzione Provinciale di Perugia dell’Agenzia delle Entrate (come da dichiarazione di avvenuta protocollazione allegata in calce allo stesso ricorso nella indicata data del 20 dicembre 2016 dall’Area organizzativa omogenea dell’Agenzia delle entrate Direzione provinciale di Perugia).
10.2 Tale modalità di notificazione è espressamente contemplata dall’art. 16, comma 3, ultima parte, del menzionato decreto legislativo, secondo cui le notificazioni nel processo tributario possono essere fatte «all’ufficio del Ministero delle finanze ed all’ente locale mediante consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia».
10.3 Tuttavia, per consolidato orientamento di questa Corte regolatrice, la disposizione testé citata non si applica al ricorso per cassazione avverso le sentenze delle Commissioni Tributarie, il quale, in virtù della previsione di cui all’art. 62, comma 2, dello stesso D. Lgs. n. 546, rimane assoggettato alle «norme dettate dal codice di procedura civile in quanto compatibili», con la conseguenza che, in mancanza dell’attività di trasmissione svolta da un soggetto legalmente abilitato a compierla, la notifica così eseguita va ritenuta inesistente (cfr. Cass. n. 1616/2025, Cass. n. 21866/2016, Cass. n. 25395/2014).
10.4 Il riferito indirizzo si pone in linea con il seguente principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 14916/2016, risolutiva di un contrasto interno di giurisprudenza: «È configurabile il vizio dell’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione, oltre che nel caso di mancanza materiale dell’atto, nelle ipotesi in cui si ponga in essere un’attività priva degli elementi
costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale, nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente ed individuabile il potere esercitato, e nella fase di consegna, intesa come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento ed in cui la stessa debba considerarsi comunque eseguita, restando esclusi soltanto i casi in cui l’atto sia restituito al mittente. In tal caso si configura, infatti, una notificazione meramente tentata ma non compiuta, dunque omessa» .
10.5 Alla stregua delle suenunciate «regulae iuris» , dalle quali non v’è ragione di discostarsi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, non potendo il rilevato vizio di inesistenza della notificazione ritenersi sanato, per raggiungimento dello scopo, dalla costituzione in giudizio dell’Agenzia delle Entrate, atteso che il meccanismo di sanatoria contemplato dall’art. 156, ultimo comma, c.p.c. opera nella sola ipotesi di notifica nulla (cfr. Cass. n. 31085/2022, Cass. n. 17336/2019, Cass. Sez. Un. n. 1524/2014).
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Stante l’esito dell’impugnazione, viene resa nei confronti del ricorrente l’attestazione di cui all’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del l’Agenzia delle Entrate , le spese del
presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 4.500 euro, oltre ad eventuali oneri prenotati a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposta impugnazione, a norma del comma 1bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione