Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11915 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11915 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 06/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 2582/2022, proposto da:
AGENZIA RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliata presso i suoi uffici a ROMA, in INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e COGNOME NOME COGNOME quali eredi del padre COGNOME
NOMECOGNOME rappresentati e difesi, per procura speciale allegata al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME il quale ha indicato il
proprio indirizzo di posta elettronica certificata EMAIL
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1906/2021 della Commissione tributaria regionale della Puglia -sezione staccata di Lecce, depositata il 14 giugno 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 febbraio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
1. NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME in qualità di eredi di NOME COGNOME, impugnarono innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Lecce l’avviso di accertamento num. TVM010103187/2014, notificato al loro comune dante causa e avente ad oggetto il reddito di partecipazione del predetto , in base all’art. 5 TUIR, nella società COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE
A sostegno dell’impugnazione dedusse ro l’illegittimità, sotto diversi profili, dell’atto impositivo notificato a RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (di seguito ‘RAGIONE_SOCIALE‘ o ‘società -madre’) , a sua volta partecipata dalla società RAGIONE_SOCIALE, e che costituiva l’antecedente causale dei successivi accertamenti di maggior reddito per imputazione.
Il reddito della società-madre, in particolare, era stato rettificato in seguito al rilievo dell’omessa dichiarazione di sopravvenienze attive per gli anni d’imposta 2007 e 2009, costituite da somme che essa aveva in un primo tempo corrisposto a un istituto di credito in forza di un rapporto di conto corrente, e delle quali era stata successivamente ordinata in giudizio la restituzione in quanto concernenti debiti per interessi a tasso anatocistico.
La C.T.P. adìta accolse il ricorso.
Il successivo appello erariale è stato respinto con la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia- sezione staccata di Lecce, n. 1906/2021, indicata in epigrafe.
Detta pronunzia ha richiamato integralmente la sentenza d’appello resa, in pari data, nel giudizio fra l’Amministrazione finanziaria e la società-madre, e favorevole a quest’ultima .
L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Gli intimati hanno depositato controricorso.
Considerato che:
1. Il primo motivo denunzia nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 della Costituzione e dell’art. 132 cod. proc. civ.
L’Agenzia ricorrente si duole del fatto che la C.T.R. abbia statuito facendo integrale rinvio ad altra decisione, non definitiva, della quale non ha né riprodotto né richiamato il contenuto, in modo tale da consentire l’individuazione delle ragioni che l’avevano supportata.
Con il secondo motivo è dedotta violazione degli artt. 109 del d.P.R. 31 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), e 2697 cod. civ.
La censura ha ad oggetto la sentenza d’appello resa nei confronti della società-madre di cui al primo motivo, e che viene sottoposta a critica nella parte in cui ha giustificato la mancata imputazione della componente positiva al reddito per l’anno 2009, ritenendola di pertinenza dell’anno d’imposta successivo.
Quella sentenza, in particolare, aveva rilevato che la restituzione delle somme in favore della società era stata disposta con decisione della Corte d’Appello di Lecce divenuta definitiva nel 2010; a tale annualità, pertanto, doveva farsi riferimento per individuare il momento di «utilizzazione del bene» che, per condivisa
interpretazione, determina il periodo d’imposta nel quale imputare a reddito le sopravvenienze.
Secondo la ricorrente, invece, occorreva fare riferimento all’anno precedente, nel quale la sentenza era stata depositata, così da rendere l’importo oggetto di sopravvenienza certo nella sua esistenza e nel suo esatto ammontare; tant’è che La COGNOME ricevuti acconti su tale somma nell’anno 2007 , dopo la sentenza di primo grado -aveva subìto un recupero a tassazione per la sopravvenienza attiva non dichiarata, che aveva definito in adesione con il versamento del dovuto.
Infine, con il terzo motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 10, comma 1, e 12, comma 2, della l. 22 luglio 2000, n. 212.
La sentenza concernente la società-madre è censurata nella parte in cui ha ritenuto illegittimo l’atto impositivo in quanto scaturito da una verifica concernente l’anno 2007 e poi esteso ad un’annualità successiva.
La ricorrente contesta tale ricostruzione, osservando che la verifica, conclusasi con p.v.c. del 9 marzo 2010, aveva fatto emergere la possibile incidenza degli elementi acclarati per l’anno d’imposta 2007 anche su annualità successive; tant’è che l’atto i mpositivo era stato preceduto dall’invio dell’apposito questionario informativo, in esito al quale, tuttavia, NOME COGNOME non aveva presentato alcuna memoria o documentazione contabile.
In via preliminare dev’essere scrutinata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dai controricorrenti.
Costoro, in particolare, lamentano la mancata notifica del ricorso avverso la sentenza della C.T.R. n. 1906/2021 di cui in epigrafe, soggiungendo di aver appreso dell’impugnazione soltanto a seguito dell’interrogazione dei registri di Cancelleria della predetta
Commissione, finalizzata al rilascio dell’attestazione del passaggio in giudicato della sentenza.
Risulta, in effetti, dal fascicolo d’ufficio che l’Agenzia delle Entrate ha depositato un ricorso notificato a NOME COGNOME concernente una diversa sentenza (la n. 1904/2021), emessa all’esito de l giudizio relativo a detto contribuente che oggi pende innanzi a questa Corte con il numero di r.g. 2577/2022.
Unitamente al ricorso, l’Agenzia ha depositato, ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ., una copia della sentenza impugnata correttamente individuata.
Ne deriva il rilievo in base al quale l’Agenzia delle entrate non ha notificato il ricorso per cassazione a tutte le controparti del giudizio d’appello, destinatarie dell’atto impositivo originariamente impugnato, ma al solo contribuente NOME COGNOME e, comunque, in relazione a un diverso provvedimento giudiziario.
Non vi è stata, pertanto, alcuna rituale instaurazione del contraddittorio; né può attribuirsi rilievo -con efficacia ‘sanante’ , nei termini affermati da Cass. Sez. U, n. 14916/2016 (successivamente confermata, fra le altre, da Cass. n. 26511/2022, Cass. n. 14840/2018, Cass. n. 3816/2018) -al fatto che gli effettivi contraddittori abbiano depositato controricorso, con l’assistenza del medesimo procuratore domiciliatario loro patrono nel giudizio d’appello.
Per un verso, infatti, tale controricorso è volto unicamente ad eccepire la perenzione del termine di cui all’art. 327 cod. proc. civ. e il conseguente giudicato formatosi sulla sentenza d’appello favorevole ai contribuenti.
Per altro verso, poi, la stessa giurisprudenza richiamata ha precisato che si configura l ‘ inesistenza della notificazione -intesa
come categoria di nullità non sanabile della stessa, quantunque non espressamente prevista dal legislatore -«oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile quell’atto» (così, ancora, Cass. Sez. U, n. 14916/2016); e tale è certamente il caso di specie, nel quale il ricorso notificato riguarda un diverso provvedimento, reso all’esito di un giudizio fra parti non coincidenti con gli odierni contraddittori.
5. Per tali ragioni i l ricorso dev’essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Non si dà luogo alla condanna prevista dall’art. 13, commi 1 -bis e 1quater , del d.P.R. n. 115/2002, in quanto la parte soccombente è un’amministrazione pubblica patrocinata dall’Avvocatura generale dello Stato.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile, condannando la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in € 3.500,00, oltre € 200,00 per esborsi, 15% rimborso forfetario e oneri accessori.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte Suprema