Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31752 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31752 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/12/2024
Cart. Pag. IRPEF 2004 – 2009
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29672/2017 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore.
–
intimata
–
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 5015/05/2017, depositata in data 31 agosto 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 settembre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
La controversia trae origine dall’impugnazione dinanzi alla C.t.p. di Roma di un estratto di ruolo, rilasciato da Equitalia S.p.A., riguardante la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA relativa all’IRPEF per l’anno d’imposta 2004, della quale NOME COGNOME sarebbe venuta a conoscenza solo a seguito di interrogazione del sito di Equitalia e di Poste Italiane, in data 6 giugno 2014. Si costituivano in giudizio anche l’Agenzia delle Entrate -Direzione provinciale di Roma III ed Equitalia Servizi di RAGIONE_SOCIALE contestando, con riferimento alla propria competenza, i motivi di ricorso e chiedendo la conferma del relativo operato.
La C.t.p., con sentenza n. 11344/19/2016, rigettava integralmente il ricorso della contribuente.
Contro tale decisione proponeva appello la contribuente dinanzi la C.t.r. del Lazio; si costituivano anche l’Agenzia delle Entrate ed Equitalia S.p.A., chiedendo la conferma di quanto statuito in primo grado.
Con sentenza n. 5015/05/2017, depositata in data 31 agosto 2017, la C.t.r. adita rigettava l’appello della contribuente, condannandola al pagamento delle spese di lite.
Avverso la sentenza della C.t.r. del Lazio, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi; l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso, mentre è rimasta intimata l’Agenzia delle Entrate Riscossione.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 13 settembre 2024.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Mancanza di motivazione, eccesso di potere, grave contraddittorietà e violazione artt. 139 e 140 cod. proc. civ., nonché violazione dell’art. 39 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e art. 295 cod. proc. civ., in relazione
all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’ error in procedendo e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha rilevato il mancato perfezionamento della notifica, atteso il tentativo della stessa presso il nuovo indirizzo della contribuente e, non trovandovi nessuno, con deposito dell’avviso presso il vecchio indirizzo; non ha sospeso, poi, il giudizio tributario in attesa di quello penale riguardante l’ufficiale postale.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Inesistenza del debito per inesistenza del ruolo. Violazione dell’art. 26 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’ error in iudicando e l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha dichiarato l’inesistenza dell’avviso di accertamento impugnato in quanto firmato da chi non possedeva la qualifica per essere delegato alla sottoscrizione da parte del Direttore Provinciale.
Il primo motivo è infondato oltre che parzialmente inammissibile.
Relativamente alla doglianza di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., rileva l’applicazione, in parte de qua, della previsione di cui all’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., così come riformulato dal d.l. 22/6/2012, n. 83 conv. nella legge 11/8/2012, n. 143 che, per l’ipotesi di cd. doppia conforme, avendo il giudice di appello confermato la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso del contribuente, sulla base delle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto a sostegno della sentenza di primo grado; ciò preclude la deducibilità in sede di legittimità del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma cod. proc. civ. Tale nuova norma è sicuramente applicabile alla fattispecie in oggetto atteso che l’atto di appello è stato depositato in data 19 ottobre 2016 e, quindi, ben
oltre il trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione.
2.1. Quanto alla censura afferente la motivazione apparente, essa è assolutamente infondata perché sui punti censurati, ossia il difetto di notifica e mancata sospensione del giudizio, la Commissione, con una motivazione della quale è agevole cogliere l’iter logico -giuridico sottostante, ha, dapprima, ben individuato il punto in questione quale, appunto, la doglianza che la notificazione della cartella fosse avvenuta presso un indirizzo nel quale la contribuente non risiedeva più e l’asserita non autenticità della firma apposta a suo nome sul l’avviso di ricevimento. Sul punto ha esaustivamente declinato le ragioni della decisione nei termini che seguono «La questione riguarda in particolare la seconda raccomandata inviata la contribuente dopo che la precedente notifica postale era esitata con il deposito presso la casa comunale poiché presso il luogo di residenza non era stata rinvenuta nella contribuente né altra persona idonea a ricevere la consegna. Il fatto che la seconda raccomandata sia stata indirizzata in un luogo diverso da quello di residenza non rileva in quanto risulta consegnata personalmente alla destinataria. Quanto alla dedotta falsità della sottoscrizione sulla avviso di ricevimento va condivisa la valutazione della C.t.p. circa il fatto che non ricorra un’ipotesi di sospensione del giudizio giacché non è stata presentata dalla contribuente una querela di falso in sede civile e, per altro verso, la sospensione del processo civile per pregiudizialità di un accertamento in ambito penale opera soltanto a condizione della contemporanea pendenza dei due processi civile e penale e quindi dell’avvenuto esercizio dell’azione penale da parte del PM, circostanza, quest’ultima, che, nel caso di specie non è stata neppure dotta (oltre che non dimostrata) dalla contribuente.
2.2. Secondo costante giurisprudenza di questa Corte, dalle norme di cui agli artt. 132, comma secondo, n. 4 cod. proc. civ. e 118
disp. att. stesso codice, è desumibile il principio secondo il quale la mancata esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa, ovvero la mancanza o l’estrema concisione della motivazione in diritto, determinano la nullità della sentenza allorquando rendano impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. 03/01/2022, n. 6758) ). Questo principio, in forza del generale rinvio materiale alle norme del codice di rito compatibili (comprese le sue disposizioni di attuazione) contenuto nell’art. 1, comma secondo, del d.lgs. 546/1992, è applicabile anche al rito tributario (Cass. n. 13990 del 2003; Cass. n. 9745 del 2017). Va osservato, inoltre, che a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022).
2.3. La sentenza in esame, non solo presenta le indicazioni richieste, contenendo lo svolgimento del processo e i fatti essenziali di causa, ma ha comunque una ratio decidendi chiaramente
intellegibile, sicché la sua motivazione si colloca ben sopra la soglia del minimo costituzionale ex art. 111 cost. comma 6.
Anche il secondo motivo è infondato.
3.1. Invero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, con riguardo agli effetti della delega nonché ai requisiti dell’atto e ai requisiti del firmatario, (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8814 del 29/03/2019) la delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento conferita dal dirigente ex all’art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973, è una delega di firma e non di funzioni; ne deriva che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega, che pertanto può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, “ex post”, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto. Ancora, con riguardo specificamente della sorte degli atti tributari sottoscritti da soggetti capi di ufficio o delegati, la cui qualifica dirigenziale sia risultata conseguita illegittimamente in relazione alla sopravvenuta sentenza n. 37 del 2015 della Corte costituzionale -che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44 -questa Corte (Cass., sez. 5, 9/11/2015, n. 22810) ha, altresì, escluso che, ai fini della valida sottoscrizione di un atto impositivo, sia necessario in chi ha sottoscritto l’atto ovvero ha conferito la delega il possesso di una qualifica dirigenziale, rilevando che tale presupposto non è giustificato dal dato normativo. Alla stregua delle considerazioni che precedono, dovendo, ai sensi dell’art. 42, primo e terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva, di cui
non è richiesta la qualifica dirigenziale, nessun effetto sulla validità dell’atto impositivo, in questa sede impugnato può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 8, comma 24, del d. L. n. 16 del 2012, convertito dalla legge n. 44 del 2012 (in senso conforme, Cass., sez. 5, 26/02/2020, n. 5177)», così Cass., n. 33323 del 2023.
3.2. Quindi, in generale, ai fini della validità dell’atto, ciò che conta è la riferibilità dello stesso all’ufficio ossia all’organo titolare del potere nel cui esercizio è stato adottato e non al materiale sottoscrittore risultando irrilevante che la persona fisica che lo abbia sottoscritto ovvero abbia delegato la relativa firma sia un dirigente, in quanto la questione relativa all’accesso legittimo alla dirigenza si pone su un piano diverso rispetto a quella concernente la legittimazione alla sottoscrizione degli atti.
3.3. Di poi, con riferimento ad una eventuale mancata disamina della censura afferente il vizio di sottoscrizione, va qui richiamato l’orientamento giurisprudenziale (Cass. 26/05/2022, n. 17011) secondo cui, pur in assenza di specifica argomentazione, non è configurabile un vizio di omessa pronuncia o motivazione, dovendosi ritenere implicita la statuizione di rigetto ove la pretesa
o l’eccezione non espressamente esaminata non risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Nulla per le spese nei confronti della Agenzia delle entrate riscossione essendo questa rimasta intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 2.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 13 settembre 2024.