Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32370 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32370 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20089 -20 22 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL, dal quale è rappresentata e difesa giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, (già RAGIONE_SOCIALE), in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO, è domiciliata;
Oggetto: cartella di pagamento
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 116/16/2022 della Commissione tributaria regionale del LAZIO, depositata in data 12/01/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del giorno 8 ottobre 2024 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
1. In controversia relativa ad impugnazione della cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA emessa nei confronti della RAGIONE_SOCIALE per la riscossione di diritti camerali relativi all’anno 2015, con la sentenza impugnata la CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) del Lazio respingeva l’appello proposto dalla società contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, sostenendo, per quanto ancora qui di interesse in relazione alla questione posta nel presente giudizio di legittimità, che la notifica della cartella di pagamento fosse stata regolarmente effettuata a mezzo posta elettronica certificata, come stava a dimostrare la ricevuta di avvenuta consegna del messaggio all’indirizzo di posta elettronica della società contribuente, e che nessun fondamento aveva la contestazione mossa dalla società contribuente in ordine all’utilizzo da parte dell’Agenzia delle e ntrate -Riscossione di un indirizzo di posta elettronica diverso da quello istituzionale, ovvero risultante dal registro INI-PEC, non sussistendo alcuna incertezza circa l’effettiva provenienza del messaggio pec dal predetto Ufficio, né avendo la società contribuente dedotto di aver subito al riguardo un qualche pregiudizio. Sosteneva che, in ogni caso, risultava dimostrato il pieno raggiungimento dello scopo dell’atto ex art. 156 cod. proc. civ. Con riferimento al contenuto della cartella impugnata la CTR sosteneva che nella stessa erano state riportate «analiticamente anche l’indicazione di tutte le somme dovute a titolo di interess i
maturati e i correlativi criteri adoperati dall’Ufficio per la loro quantificazione».
Avverso tale statuizione la società cooperativa propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui replica l’intimata con controricorso.
Considerato che:
Con l’unico mezzo di cassazione la ricorrente deduce « Eccesso di potere in violazione dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. per apparente ed omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che non sono stati oggetto di approfondita valutazione da parte del Collegio e falsa applicazione di norme di diritto, quali l’art . 3 bis, comma 1, della L. 53/1994, dell’art. 603, comma 2, del DPR 602/73 e dall’art. 16 ter del D.L. 179/2012, in quanto preliminarmente il Collegio doveva verificare d’ufficio, anche se di loro competenza, la regolarità della notifica avvenuta dal mittente Agenzia delle Entrate Riscossione RAGIONE_SOCIALE tramite la PEC notificaEMAILagenziariscossioneEMAILgov.it (doc. 01), a quella del destinatario e cioè della RAGIONE_SOCIALE EMAIL (doc. 02), mentre doveva essere effettuato da quello istituzionale ed ufficiale risultante dal registro INI-PEC protocolloEMAILpec.agenziariscossione.gov.it (doc. 03), pertanto tale notifica risulta essere inesistente e/o nulla, in quanto è necessario che gli atti notificati a mezzo PEC provengano da un indirizzo digita le ufficiale dell’amministrazione, a pena di nullità insanabile ».
Il motivo è inammissibile e manifestamente infondato.
È inammissibile là dove la ricorrente deduce il vizio logico di motivazione ai sensi del n. 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. perché formulato in violazione del disposto di cui all’art. 348-ter cod. proc. civ., ora 360, quarto comma, cod. proc. civ., vertendosi nella specie in ipotesi di doppia pronuncia di merito conforme in relazione al profilo del vizio di notificazione dell ‘atto
impugnato, peraltro senza che la ricorrente abbia assolto l’onere di indicare i profili di divergenza tra le ragioni di fatto a base della decisione di primo grado e quelle a base del rigetto dell’appello, com’era invece necessario per dar ingresso alla censura proposta (cfr. Cass. n. 26774 del 2016, n. 5528 del 2014 e, più recentemente, Cass. n. 5947 del 2023).
Invece, la censura di error in iudicando in cui sarebbe incorsa la Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio con riferimento alla notifica della cartella di pagamento impugnata è infondata alla stregua de ll’orientamento giurisprudenziale affermatosi su tale questione.
4.1. Già le Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 15979 del 18 maggio 2022 avevano affermato che «In tema di notificazione a mezzo PEC, la notifica del ricorso per cassazione effettuata dalla Procura Generale della Corte dei Conti, utilizzando un indirizzo di posta elettronica istituzionale, rinvenibile sul proprio sito “internet”, ma non risultante nei pubblici elenchi, non è nulla, ove la stessa abbia consentito, comunque, al destinatario di svolgere compiutamente le proprie difese, senza alcuna incertezza in ordine alla provenienza ed all’oggetto, tenuto conto che la più stringente regola, di cui all’art. 3-bis, comma 1, della l. n. 53 del 1994, detta un principio generale riferito alle sole notifiche eseguite dagli avvocati, che, ai fini della notifica nei confronti della P.A., può essere utilizzato anche l’Indice di cui all’art. 6-ter del d.lgs. n. 82 del 2005 e che, in ogni caso, una maggiore rigidità formale in tema di notifiche digitali è richiesta per l’individuazione dell’indirizzo del destinatario, cioè del soggetto passivo a cui è associato un onere di tenuta diligente del proprio casellario, ma non anche del mittente».
4.2. Ancorché la questione si fosse posta con riferimento ad una diversa fattispecie (ricorso per cassazione notificato a mezzo pec dalla Procura Generale della Corte dei Conti), il principio
affermato dal supremo consesso è chiaramente estensibile a tutte le ipotesi di notifiche a mezzo pec effettuate da soggetti pubblici da indirizzi di posta non risultanti nei pubblici elenchi. Ed è ciò che è fatto Cass. n. 982 del 2023 proprio con riferimento ad una notifica di una cartella di pagamento.
4.3. Sulla scia di quel principio, più recentemente Cass. n. 18684 del 3 luglio 2023, dopo aver ribadito che l’art. 3 -bis della legge n. 53/1994 è disposizione che si riferisce ai soli avvocati; che, invece, in materia tributaria, vi è la norma speciale di cui al l’art. 26, secondo comma, del d.P.R. n. 602/1973 che prevede l’obbligo di utilizzo di un indirizzo presente nel registro INI-Pec del solo destinatario della notifica della cartella di pagamento e non dell’agente della riscossione mittente ; che siffatta diversità di trattamento normativo non configura alcuna disparità di trattamento in quanto le prescri zioni che ineriscono all’indirizzo del mittente non vanno assoggettate alle stesse regole previste per il destinatario dell’atto, con riguardo al quale va fatta applicazione della disciplina propria dell’elezione di domicilio, cui dev’essere equiparato l’i ndirizzo di p.e.c. inserito nel predetto registro, diversamente da quanto accade per il mittente; che laddove l’agente della riscossione abbia effettuato la notifica per mezzo di un indirizzo p.e.c. non risultante nei pubblici registri (RegInde, INIPec e Ipa) non si verifica alcuna nullità della notifica; ha affermato che «In tema di notificazione a mezzo PEC della cartella esattoriale, da parte dell’agente della riscossione, l’estraneità dell’indirizzo del mittente dal registro INI-Pec non inficia “ex se” la presunzione di riferibilità della notifica al soggetto da cui essa risulta provenire, testualmente ricavabile dall’indirizzo del mittente, occorrendo invece che la parte contribuente evidenzi quali pregiudizi sostanziali al diritto di difesa siano dipesi dalla ricezione della notifica della
cartella di pagamento da un indirizzo diverso da quello telematico presente in tale registro».
4.4. Di tale concreto pregiudizio la ricorrente non ha dato alcuna indicazione; consegue, anche sotto tale profilo, l’infondatezza della censura.
Inammissibile ed infondata è anche la censura di error in iudicando in cui sarebbe incorsa la Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio con riferimento al difetto di motivazione dell’atto impugnato in punto di quantificazione degli interessi e alla prescrizione degli interessi e delle sanzioni, che la ricorrente ha pure dedotto nella parte argomentativa del motivo in esame ancorché senza averne fatto espressa indicazione nella rubrica del mezzo di impugnazione.
In relazione al profilo motivazionale della cartella di pagamento in punto di interessi, sostiene la ricorrente alle pagine 8 e 9 del ricorso che «la Corte di Cassazione, Sezione 5 con ordinanza interlocutoria n° 31960/2021, ha rimesso al primo Presidente della Corte per una eventuale devoluzione della questione alle sezioni unite, in merito alle sanzioni e gli interessi applicati sulla cartella di pagamento non sono sempre di semplice ed immediata comprensione; si tratta, quindi, di stabilire se per la quantificazione degli interessi pretesi sia sufficiente l’applicazione di definite formule matematiche, oppure sia necessaria una più congrua motivazione in ordine alla loro formazione. Appare infatti riduttivo (se non errato) considerare legittima la pretesa di questi stessi interessi quale risultato di un calcolo matematico, senza una ulteriore motivazione sulla loro formazione, per la quinta sezione il contrasto di giurisprudenza è evidente e si rende necessario l’invio alle sezioni unite».
6.1. Al riguardo, è intervenuta la sentenza delle Sezioni unite n. 22281 del 14/07/2022 (Rv. 665273 – 01) che ha affermato che
«La cartella di pagamento, allorché segua l’adozione di un atto fiscale che abbia già determinato il “quantum” del debito di imposta e gli interessi relativi al tributo, è congruamente motivata – con riguardo al calcolo degli interessi nel frattempo maturati -attraverso il semplice richiamo dell’atto precedente e la quantificazione dell’importo per gli ulteriori accessori, indicazione che soddisfa l’obbligo di motivazione prescritto dall’art. 7 della l. n. 212 del 2000 e dall’art. 3 della l. n. 241 del 1990; se, invece, la cartella costituisce il primo atto riguardante la pretesa per interessi, al fine di soddisfare l’obbligo di motivazione essa deve indicare, oltre all’importo monetario richiesto, la base normativa relativa agli interessi reclamati – la quale può anche essere implicitamente desunta dall’individuazione specifica della tipologia e della natura degli interessi oggetto della pretesa ovvero del tipo di tributo a cui questi accedono – e la decorrenza dalla quale gli accessori sono dovuti, senza che sia necessaria la specificazione dei singoli saggi periodicamente applicati o delle modalità di calcolo».
6.2. Nel caso di specie, in cui si verte nella seconda delle ipotesi prospettate nel principio appena citato, la censura è inammissibile in quanto difetta di specificità non avendo la ricorrente allegato o riprodotto nel ricorso la cartella di pagamento, così da impedire a questa Corte il vaglio di fondatezza della censura che, peraltro, si pone in evidente contrasto con il non contestato accertamento compiuto al riguardo dai giudici di appello, che, attenendosi al suindicato principio nomofilattico, hanno dato espressamente atto in sentenza che nella cartella erano state riportate «analiticamente anche l’indicazione di tutte le somme dovute a titolo di interessi maturati e i correlativi criteri adoperati dall’Ufficio per la loro quantificazione», essendo ivi riportati «il quantum dovuto a titolo di interessi; la data, costituente dies a quo per il conteggio degli
stessi; il modus operandi adottato dal concessionario, ovvero le analitiche modalità impiegate per il calcolo degli interessi».
Infondata è, infine, l’eccezione di prescrizione degli interessi e delle sanzioni non essendo decorso il termine quinquennale tra la data di debenza degli interessi (anno 2015) e quella di notifica della cartella di pagamento (2018).
Conclusivamente, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese processuali che liquida in euro 1.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma in data 8 ottobre 2024