Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8717 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8717 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/04/2024
ORDINANZA
Sul ricorso n. 13835-2016, proposto da:
COGNOME NOME NOME cf. CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf 11210661002, in persona del legale rappresentante p.t., anche in forza di delega della rappresentanza, elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende –
Resistente
Avverso la sentenza n. 6246/14/2015 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 26 novembre 2015;
Cartelle di pagamento
udita la relazione della causa svolta nell’ adunanza camerale del 6 ottobre 2023 dal AVV_NOTAIO;
Rilevato che
Dalla sentenza impugnata si evince che RAGIONE_SOCIALE notificò ad COGNOME NOME l’atto di intimazione relativo alla cartella di pagamento n. 09720040277219941, con la quale era richiesto il pagamento di sanzioni per l’anno 2003. L’atto di intimazione riportava la data di notifica della cartella, indentificata nel 28 marzo 2006.
COGNOME adì la Commissione tributaria provinciale di Roma, sostenendo di non aver mai ricevuto la notifica della cartella di pagamento, e pertanto eccependo la decadenza dal potere di notificazione della medesima, nonché la prescrizione dei termini di contestazione della avvenuta violazione. Con sentenza n. 3824/07/2014 il ricorso fu rigettato. Anche l’appello, con cui l’COGNOME instava nelle ragioni del ricorso introduttivo, fu respinto dalla Commissione tributaria regionale del Lazio con sentenza n. 6246/14/2015. Il giudice regionale ha ritenuto corretta la notificazione della cartella di pagamento, allegata dall’ente riscossore, rigettando dunque anche le eccezioni di decadenza e prescrizione sollevate dal contribuente.
Il ricorrente ha censurato la sentenza con quattro motivi, chiedendone la cassazione, cui ha resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE, illustrando ulteriormente le ragioni con memoria ritualmente depositata ai sensi dell’art. 380 bis.1, cod. proc. civ.
All’esito dell’adunanza camerale del 6 ottobre 2023 la causa è stata discussa e decisa.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso l’RAGIONE_SOCIALE ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. La
sentenza sarebbe affetta da nullità per mancata succinta esposizione dei motivi in fatto e in diritto.
Il motivo è infondato perché, diversamente da quanto rappresenta il ricorrente, la pronuncia rende una analitica rappresentazione dei fatti e delle ragioni di diritto fatte valere dall’appellante e di quelle formulate a contrasto dall’appellata ; descrive inoltre lo sviluppo processuale della lite, illustra, in modo chiaro ed esaustivo, le argomentazioni ed i principi giuridici posti a fondamento della decisione. Anche il richiamo all ‘ appellata decisione di primo grado risulta esaustivo, evidenziandosi non già un mero rinvio agli esiti, cui era pervenuta la commissione provinciale, ma la consapevole e critica condivisione di quella decisione.
Il motivo va dunque rigettato.
Con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, nonché degli artt. 24 e 112 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La sentenza, nel richiamare la pronuncia di primo grado, sarebbe errata perché avrebbe ingiustamente eccepito l’inammissibilità dell’impugnazione dell’atto di intimazione di pagamento, trattandosi al contrario del primo atto con cui era venuto a conoscenza della cartella di pagamento.
Il motivo non è meritevole di accoglimento perché la decisione del giudice regionale -così come quella di primo grado- è stata fondata sul preventivo vaglio della corretta e tempestiva notificazione della prodromica cartella di pagamento, mai impugnata, così che con il ricorso avverso l’atto di intimazione non potevano recuperarsi ragioni di opposizione ad essa riconducibili.
Con il terzo motivo l’COGNOME lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La sentenza
avrebbe erroneamente ritenuto regolare la notificazione della cartella di pagamento. Al contrario, si afferma, la notifica risulta regolare solo con l’apposizione della sottoscrizione sul registro di consegna e sull’avviso di ricevimento da restituire al m ittente, ciò che nel caso di specie sarebbe mancato.
Anche questo motivo è infondato.
La notifica di cui si discute fu eseguita a mezzo servizio postale. Il ricorrente sostiene che l’avviso di ricevimento era privo di sottoscrizione, laddove la difesa di RAGIONE_SOCIALE insiste nella consegna della cartella con raccomandata postale direttamente al destinatario.
A parte l ‘ inammissibilità del motivo, perché, come ripetutamente affermato da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, ove sia denunciato il vizio di una relata di notifica, o comunque una questione che si relazioni alla notifica e alla sua relata, si esige la trascrizione integrale di quest’ultima al fine di consentire al giudice il preventivo esame della rilevanza del vizio denunziato (Cass., n. 5185/2017; 17424/2005, 17145/2018; 17 gennaio 2019, n. 1150), in ogni caso, come previsto dall’art. 26 cit., comma 3, «Quando la notificazione della cartella di pagamento avviene mediante consegna nelle mani proprie del destinatario o di persone di famiglia o addette alla casa, all’ufficio o all’azienda, non è richiesta la sottoscrizione dell’originale da parte del consegnatario».
La giurisprudenza di legittimità ha peraltro chiarito che in materia di notificazione a mezzo posta, l’avviso di ricevimento, così come un suo duplicato, ha natura di atto pubblico e, pertanto, fa piena prova ex art. 2700 cod. civ. in ordine alle dichiarazioni delle parti ed agli altri fatti che l’agente postale, mediante la sottoscrizione apposta sull’avviso di ricevimento, attesta essere avvenuti in sua presenza, sicché il destinatario che intenda contestare l’avvenuta notificazione è tenuto a proporre querela di falso nei confronti di detto atto (Cass., 6 giugno
2018, n. 14574). Solo la mancanza della sottoscrizione dell’agente postale sull’avviso di ricevimento del piego raccomandato rende inesistente -e non soltanto nulla- la notificazione, rappresentando la sottoscrizione l’unico elemento valido a riferire la paternità dell’atto all’agente notificante (Cass., 19 agosto 2020, n. 17373).
D’altronde nella sentenza la trattazione delle modalità di notifica, e nello specifico, la circostanza che l’atto sia stato consegnato al destinatario, costituisce un accertamento in fatto, incontrovertibile se non con querela di falso.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. La pronuncia sarebbe viziata per non aver tenuto conto della questione, portata all’attenzione del giudice d’appello, che la notifica si sarebbe compiuta in un luogo diverso dalla residenza o dal domicilio del destinatario.
Il motivo è inammissibile perché viola il perimetro entro il quale è possibile denunciare un vizio di motivazione, ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come modificato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134. Si tratta infatti di questione espressamente vagliata dal giudice del merito. In ogni caso, posto che la notifica si è compiuta nelle mani del destinatario, trova applicazione il principio secondo cui le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo dell’effettiva abituale dimora, che è accertabile con ogni mezzo di prova, anche contro le stesse risultanze anagrafiche, assumendo rilevanza esclusiva il luogo ove il destinatario della notifica dimori, di fatto, in via abituale (Cass., 3 agosto 2017, n. 19387; 4 maggio 2013, n. 11550).
Il ricorso va dunque rigettato.
All’esito del giudizio segue la soccombenza del ricorrente nelle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente a rifondere in favore di RAGIONE_SOCIALE le spese processuali del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 1.800,00 per competenze, € 200,00 per esborsi, oltre spese generali, liquidate forfettariamente nella misura del 15% delle competenze, ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 6 ottobre 2023