Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14417 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14417 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22261/2022 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA della C.T.R. della CALABRIA n. 588/2022 depositata il 11/02/2022 Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/05/2025
dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Calabria che ha rigettato l’appello dal medesimo proposto avverso la sentenza della C.T.P di Vibo Valentia, di parziale accoglimento del ricorso per l’annullamento di quarantaquattro cartelle di pagamento, in relazione ad una di esse.
La C.T.R., esaminata la notifica di ciascuna delle cartelle impugnate e verificata la sussistenza di atti interruttivi della prescrizione dei relativi crediti erariali, ha rigettato l’eccezione formulata dal contribuente di inammissibilità della costituzione dell’Agenzia delle Entrate Riscossione, a mezzo di avvocato del libero foro, richiamando la giurisprudenza della Suprema Corte. Parimenti ha ritenuto infondata la censura inerente alla contestazione della conformità delle copie prodotte agli originali delle relate di notifica, in assenza di attestazione, avuto riguardo a quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la contestazione della conformità della copia all’originale deve essere specifica e circostanziata. Infine, ha ritenuto infondato il motivo relativo alla liquidazione delle spese di lite del primo grado di giudizio, essendo essa prevista dall’art. 15 d. lgs. 546 del 1992, anche per il caso di assistenza dell’ente da parte di un proprio funzionario .
L’Agenzia delle Entrate Riscossione resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La società ricorrente formula tre motivi di ricorso.
Con il primo fa valere, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 11, comma 2 d. lgs. 546 del 1992 e dell’art. 2946 cod. civ.. Lamenta che la C.T.R. abbia ritenuto infondata l’eccezione relativa all’inammissibilità della costituzione dell’Agenzia delle Entrate Riscossione, a mezzo di avvocato del libero foro. Ricorda che ai sensi dell’art. 11, comma del d. lgs. 546 del 1992, come modificato dall’art. 9, comma 1 lett. d) del d. lgs. 115 del 2015, sia l’Agenzia delle Entrate, che l’agente della riscossione stanno in giudizio direttamente o mediante struttura sovraordinata, e che ai sensi dell’art. 1 r.d. 1611 del 1933 la rappresentanza, il patrocinio e l’assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo, spetta all’Avvocatura dello Stato, mentre, ai sensi dell’art. 5 del medesimo r.d., nessuna amministrazione dello Stato può chiedere assistenza ad avvocati del libero foro. Con il subentro ad Equitalia s.p.a sciolta dall’art. 1 del d.l. 193 del 2016, conv. con mod. nella l. 225 del 2016dell’Agenzia delle Entrate Riscossione è stato sottoscritto da parte di quest’ultima un protocollo di intesa con l’Avvocatura dello Stato in forza del quale l’ente strumentale può rivolgersi ad avvocati del libero foro, solo nel caso in cui l’Avvocatura non fornisca la sua disponibilità per la difesa, restando altrimenti inammissibile in mancanza di motivata delibera, ai sensi dell’art. 43, comma 4 r.d. 1611 del 1933. Sostiene che il quadro normativo non sia mutato con l’intervento dell’art. 4 -novies del d.l. 34 del 2019, conv. con mod. nella l. 58 del 2019. Ed invero, se l’interpretazione autentica consente il ricorso agli avvocati del
libero foro per le controversie pendenti avanti a giudici diversi dal giudice tributario, in quest’ultimo caso, ai sensi dell’art. 8 comma 1 continua ad applicarsi l’art. 11 comma 2 del d. lgs. 546 del 1992, che prevede la difesa a mezzo di personale interno. Ne consegue che l’Agenzia delle Entrate riscossione può costituirsi in giudizio con avvocato del libero foro nelle cause tributarie solo quando l’Avvocatura si dichiari indisponibile con motivata delibera, da sottoporre agli organi di vigilanza. In questo senso si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità (Cass. 2298 del 31/01/2020). D’altro canto, il protocollo di intesa stabilisce che ‘l’ente sta in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti o di avvocati del libero foro, iscritti nel proprio elenco avvocati’ nelle liti innanzi alle commissioni tributarie. In questo caso non è neppure provato che il difensore dell’Agenzia delle Entrate Riscossione sia inserito in detti elenchi, con l’effetto dell’inammissibilità della sua costituzione per l’ente. Per altro verso, rileva la violazione dell’art 2946 cod. civ.. Rammenta, inoltre, che sia in primo che in secondo grado il ricorrente ha eccepito la prescrizione quinquennale del credito erariale e lo spirare del termine decadenziale, non essendo stato notificato l’atto prodromico a quello impugnato. Denuncia l’omessa motivazione sul punto.
Con il secondo motivo deduce, ex art. 360, comma 1 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2del d.P.R. 602 del 1973 e 60 d.P.R. 600 del 1973, nonché la nullità delle notifiche e l’intervenuta prescrizione. Rileva l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui afferma che dalla documentazione depositata in copia dall’Agenzia delle Entrate risulta che le cartelle sono state notificate. Osserva che il ricorrente sia in primo, che in secondo grado ha contestato la nullità delle notifiche, risultando le copie prodotte prive di sottoscrizione e dell’attestazione di conformità e non provenendo
quelle telematiche da indirizzi pec dell’ente iscritti nei pubblici elenchi. Richiama le Sezioni Unite n. 10012 del 23/02/2021 sul perfezionamento del procedimento di notifica, a mezzo posta e l’ordinanza della Corte di legittimità n. 17235 del 2/07/2019 sull’invio della raccomandata informativa, prevista dall’art. 60 del d.P.R. 600 del 1973, nonché le sentenze della Corte costituzionale n. 258 del 2012 sull’art. 26 comma 4 d.P.R. 602 del 1973 e n. 3 del 2012 sull’art. 140 cod. proc. civ.. Assume, a riguardo delle notifiche a mezzo pec, che dall’art. 26 del d.P.R. 602 del 1973 debba trarsi come anche l’indirizzo del notificante debba risultare dai pubblichi elenchi, ciò essendo desumibile altresì dalla giurisprudenza della Suprema Corte, secondo cui la notificazione, a mezzo pec, può essere eseguita solo utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata (Cass. n. 17346/2019). Ulteriormente osserva, in ordine alle notifiche effettuate a mani di terze persone, che la documentazione prodotta in copia non costituisce prova dell’avvenuta notifica e che comunque non risulta spedita al destinatario la raccomandata informativa, al fine di avvertirlo della consegna dell’atto a terzi. Rammenta che il ricorrente ha eccepito l’omessa notifica degli atti prodromici all’avviso di intimazione impugnato, ed il conseguente mancato rispetto della sequenza procedimentale. Mentre la C.T.R. non ha fornito alcuna risposta in relazione all’intervenuta prescrizione del credito, anche successiva alla notifica delle cartelle, incorrendo in un’evidente omessa pronuncia.
Con il terzo motivo prospetta, ex art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ., della violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 cod. civ., per avere la C.T.R. sostenuto l’ammissibilità delle copie delle cartoline di ricevimento delle notificazioni a mezzo posta, a fronte della contestazione della conformità delle copie agli originali, ancorché, non solo siffatta contestazione non
necessità di formule particolari, ma, secondo il giudice di legittimità, l’attestazione della conformità non possa provenire dall’agente della riscossione.
Il primo motivo è inammissibile.
La prima delle due doglianze di cui alla censura dovendosi comunque osservare l’inopportunità della loro formulazione in un unico motivo, essendo le medesime prive di connessione- va risolta sulla base del pronunciamento delle Sezioni unite di questa Corte secondo cui ‘Ai fini della rappresentanza e difesa in giudizio, l’Agenzia delle Entrate -Riscossione, impregiudicata la generale facoltà di avvalersi anche di propri dipendenti delegati davanti al tribunale ed al giudice di pace, si avvale: a) dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti come riservati ad essa dalla Convenzione intervenuta (fatte salve le ipotesi di conflitto e, ai sensi dell’art. 43, comma 4, r.d. n. 1611 del 1933, di apposita motivata delibera da adottare in casi speciali e da sottoporre all’organo di vigilanza), oppure ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici; b) di avvocati del libero foro, senza bisogno di formalità, né della delibera prevista dall’art. 43, comma 4, r.d. cit. – nel rispetto degli articoli 4 e 17 del d.lgs. n. 50 del 2016 e dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi dell’art. 1, comma 5 del d.l. 193 del 2016, conv. in l. n. 225 del 2016 – in tutti gli altri casi ed in quelli in cui, pure riservati convenzionalmente all’Avvocatura erariale, questa non sia disponibile ad assumere il patrocinio. Quando la scelta tra il patrocinio dell’Avvocatura erariale e quello di un avvocato del libero foro discende dalla riconduzione della fattispecie alle ipotesi previste dalla Convenzione tra l’Agenzia e l’Avvocatura dello Stato o di indisponibilità di questa ad assumere il patrocinio, la costituzione dell’Agenzia a mezzo dell’una o dell’altro postula necessariamente ed implicitamente la
sussistenza del relativo presupposto di legge, senza bisogno di allegazione e di prova al riguardo, nemmeno nel giudizio di legittimità. (Principio enunciato ai sensi dell’art. 363 c.p.c.) (Cass. Sez. U., 19/11/2019, n. 30008).
Nel caso di specie, insistendo meramente ed in via del tutto astratta sulla necessità della delibera, di cui all’art. 43, comma 4, r.d. n. 1611 del 1933, il ricorrente ha omesso di indicare, in questa sede, per quale ragione il caso in esame non sarebbe riconducibile a fattispecie prevista dalla Convenzione, o perché si tratti di un’ipotesi espressamente riservata all’Avvocatura erariale. Di qui l’inammissibilità della censura.
La seconda doglianza di cui al primo motivo, con la quale si contesta il mancato rilievo della prescrizione quinquennale, pur eccepita, è parimenti inammissibile.
Deve osservarsi, innanzitutto, con essa si fa valere, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ. il vizio di omessa pronuncia, che avrebbe dovuto essere sussunto nel vizio di cui al n. 4 della disposizione.
Nondimeno, anche volendo superare l’errore di sussunzione, non può che rilevarsi che la sentenza si pronuncia sul punto, ritenendo espressamente ‘infondati i motivi di ricorso, rinnovati in appello, relativi all’omessa/irrituale notifica della cartelle e alla prescrizione delle relative pretese azionate’, così dimostrando di far discendere dalla ritenuta validità delle notifiche -che esamina ad una ad unal’infondatezza dell’eccezione di prescrizione dei crediti erariali, in quanto validamente interrotta dalle notificazione delle cartelle.
Né appare possibile superare l’inammissibilità del motivo, ricostruendo la doglianza come rivolta al merito della pretesa. E ciò perché: ‘In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito
qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità. (Cass. Sez. U., 27/12/2019, n. 34469).
Ora, il ricorrente nell’eccepire la prescrizione dei crediti non indica neppure a che tipo di tributo si riferisca ciascuna delle cartelle sottese all’avviso di impugnazione impugnato, limitandosi a riprendere un passo del ricorso introduttivo con il quale si afferma che ‘Per quanto attiene al presunto mancato pagamento di IRPEF- RIT. FONTE- TARSU- REGISTRO VARIE PROPOR- IRAP-STAZIONE SPERIMENTALE OLI GRASSI- ICIIVA- TARES- TARI CONSORZIO BONIFICA- IMU- RENDITA CATASTALE- LIQUID. SPESE GIUDIZIO, il credito erariale in tali materie è ricompresso in ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi. Esso sconta la prescrizione quinquennale ai sensi dell’art. 20 d. lgs. 472/97 e dell’art. 2948 n. 4 cod. civ.’. Siffatta genericità non consente di individuare il termine prescrizionale applicabile per ciascuno dei tributi portati dalle singole cartelle, posto che si tratta di tributi con termini prescrizionali diversi (per es. ad IVA ed IRPEF, infatti, si applica il termine decennale, mentre è pacifico che ai tributi locali si applichi il termine quinquennale) e che nel ricorso manca ogni riferimento per calcolarne la decorrenza.
Il secondo motivo non merita accoglimento
Occorre premettere che esso appare esposto in modo poco sistematico, essendo ricomprese più doglianze relative, da un lato, alle notifiche a mezzo posta, dall’altro alle notifiche a
mezzo pec, nonché un mero cenno a vizi quali la mancata sottoscrizione degli allegati, che non vengono successivamente esposti e quindi devono considerarsi come non proposti, anche perché il riferimento ‘agli allegati’ che non risulterebbero firmati, resta privo di specificità, sicché non appare comprensibile a quali allegati ci si riferisca.
Ciò posto, deve ritenersi infondata la censura con cui sostanzialmente si contesta il discostamento, da parte dell’Agente della riscossione, dallo schema tipico previsto dall’art. 26, secondo comma, del d.P.R. n. 602/1973, nella parte in cui disciplina la notificazione della cartella con le modalità di cui al d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, avendo la pubblica amministrazione provveduto alla notifica delle cartelle utilizzando un indirizzo non presente nei pubblici elenchi, che non consente di verificarne la provenienza.
Questa Sezione con una recentissima pronuncia, che ha affrontato un caso del tutto analogo, ha ritenuto che ‘In tema di notificazione a mezzo PEC della cartella esattoriale, da parte dell’agente della riscossione, l’estraneità dell’indirizzo del mittente dal registro INI-Pec non inficia “ex se” la presunzione di riferibilità della notifica al soggetto da cui essa risulta provenire, testualmente ricavabile dall’indirizzo del mittente, occorrendo invece che la parte contribuente evidenzi quali pregiudizi sostanziali al diritto di difesa siano dipesi dalla ricezione della notifica della cartella di pagamento da un indirizzo diverso da quello telematico presente in tale registro. (Cass. Sez. 5, 03/07/2023, n. 18684). In particolare, la decisione ha precisato come: ‘in relazione alle modalità di notificazione a mezzo di posta elettronica delle cartelle esattoriali, la giurisprudenza elaborata da questa Corte prende le mosse dalla previsione di cui all’art. 3 -bis della l. 21 gennaio 1994, n. 53, che consente tale forma di notificazione degli «atti civili, amministrativi e
stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali» e contiene previsioni specifiche concernenti il mittente e il destinatario dell’atto. Il primo comma della disposizione in parola, invero, stabilisce che «la notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La notificazione può essere eseguita esclusivamente utilizzando un indirizzo di posta elettronica certificata del notificante risultante da pubblicielenchi». Come questa Corte ha poi recentemente osservato (cfr. Cass. n. 2460/2021), sulla scorta delle indicazioni provenienti dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 23620/2018, l’entrata in vigore dall’art. 66, comma 5, del D. Lgs. n. 217 del 2017, ha previsto che, a decorrere dal 15.12.2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale, si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 6-bis, 6- quater e 62 del D. Lgs. n. 82 del 2005, nonché dall’articolo 16, comma 12, dello stesso decreto, dall’articolo 16, comma 6, del D. L. n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, nonché il Re.G.Ind.E, registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della Giustizia. (…) osserva anzitutto il Collegio che l’obbligo di utilizzo di un indirizzo presente nel registro INI-Pec appare testualmente riferito solo al destinatario della notifica e non al notificante, in relazione al quale è previsto unicamente l’utilizzo «di un indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi». Pertanto, la norma speciale prevista per le notifiche in ambito tributario degli atti dell’Agente della riscossione differisce dalla previsione generale di cui al citato articolo 3-bis della legge n. 53/1994 solo con riferimento al soggetto che riceve la
notificazione. D’altra parte, e con indicazione che si attaglia al caso di specie, questa Corte ha recentemente affermato che laddove l’agente della riscossione abbia effettuato la notifica per mezzo di un indirizzo p.e.c. non risultante nei pubblici registri (RegInde, INI-Pec e Ipa) non si verifica alcuna nullità della notifica. Viene infatti in rilievo, in questo caso, il rispetto dei canoni di leale collaborazione e buona fede che informano il rapporto fra Amministrazione e contribuente; di conseguenza, poiché l’estraneità dell’indirizzo del mittente dal registro INI -Pec non inficia ex se la presunzione di riferibilità della notifica al soggetto da cui essa risulta provenire, testualmente ricavabile dall’indirizzo del mittente, occorre che la parte contribuente evidenzi quali pregiudizi sostanziali al diritto di difesa siano dipesi dalla ricezione della notifica della cartella di pagamento da un indirizzo diverso da quello telematico presente in tale registro, del quale però, come nella specie, sia evidente ictu oculi la provenienza (Cass. n. 982/2023).’ ( ibidem ; va richiamata, comunque, in proposito anche la pronuncia delle Sezioni unite secondo cui ‘In tema di notificazione a mezzo PEC, la notifica del ricorso per cassazione effettuata dalla Procura Generale della Corte dei Conti, utilizzando un indirizzo di posta elettronica istituzionale, rinvenibile sul proprio sito “internet”, ma non risultante nei pubblici elenchi, non è nulla, ove la stessa abbia consentito, comunque, al destinatario di svolgere compiutamente le proprie difese, senza alcuna incertezza in ordine alla provenienza ed all’oggetto, tenuto conto che la più stringente regola, di cui all’art. 3-bis, comma 1, della l. n. 53 del 1994, detta un principio generale riferito alle sole notifiche eseguite dagli avvocati, che, ai fini della notifica nei confronti della P.A., può essere utilizzato anche l’Indice di cui all’art. 6-ter del d.lgs. n. 82 del 2005 e che, in ogni caso, una maggiore rigidità formale in tema di notifiche digitali è richiesta per
l’individuazione dell’indirizzo del destinatario, cioè del soggetto passivo a cui è associato un onere di tenuta diligente del proprio casellario, ma non anche del mittente. Cass. Sez. U., 18/05/2022, n. 15979).
Da siffatto orientamento, che qui si intende ribadire, non vi è ragione di discostarsi, sottolineando che, peraltro, nel caso in esame, il ricorrente non ha dato conto dei pregiudizi sostanziali subiti, derivanti dalla notifica da indirizzo di posta elettronica diverso da quello risultante di pubblici elenchi.
Le ulteriori doglianze di cui al secondo motivo riguardanti le notifiche effettuate a mezzo posta o ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ. sono inammissibili per difetto di specificità.
Al di là del quadro interpretativo prospettato dal ricorrente, infatti, vi è che la sentenza esamina ciascuna delle notifiche delle cartelle e degli atti sottesi all’avviso di intimazione, tutti ritenendoli validamente notificati, mentre il motivo di ricorso non seleziona alcuna delle notifiche che, pur ritenute rituali dalla C.T.R., presentino, invece, vizi invalidanti, formulando considerazioni che si presentano come generiche e come tali impediscono il controllo.
Peraltro, dalla disamina della sentenza si evince che le notificazioni intervenute a mezzo posta, tramite invio della raccomandata (di cui ai nn. 2,3,4,5,6, 12) sono state consegnate a familiare dichiaratosi convivente, ciò determinando la presunzione che l’atto sia giunto a conoscenza dello stesso, mentre il problema dell’identificazione del luogo ove è stata eseguita la notificazione rimane assorbito dalla dichiarazione di convivenza resa dal consegnatario dell’atto, con conseguente onere della prova contraria a carico del destinatario (cfr. da ultimo Cass. Sez. L., 09/02/2022, n. 4160), per le altre, intervenute a mezzo di messo notificatore (indicate in sentenza
ai nn. 9,10,13,14,15, 16, 17, 19, 21, 22) e consegnate a familiari, è sempre stata inviata la raccomandata informativa (c.d. Can), mentre per quelle effettuate ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ.(nn. 7, 11 e 18) il procedimento di notifica appare essere stato correttamente eseguito, essendo il deposito presso la casa comunale, stato seguito dall’invio della raccomandata al contribuente, da questi ricevuta (nn. 7 e 11) o ritornata al mittente per compiuta giacenza (n. 18). Le restanti notifiche risultano, al giudice di seconda cura, essere avvenute a mani del destinatario o per posta elettronica certificata (su cui supra ).
A fronte dell’analitico esame compiuto dalla C.T.R. il ricorrente avrebbe dovuto contestare in modo specifico l’errore commesso dal giudice, mentre si è limitato a considerazioni astratte sull’interpretazione della disciplina applicabile. Di qui l’inammissibilità.
Il terzo motivo è infondato.
E’ sufficiente, da un lato, riprendere l’orientamento di questa Sezione, secondo il quale ‘Nell’ipotesi in cui il destinatario della cartella esattoriale ne contesti la notifica, l’agente della riscossione può dimostrarla producendo copia della stessa, senza che abbia l’onere di depositarne né l’originale (e ciò anche in caso di disconoscimento, in quanto lo stesso non produce gli effetti di cui all’art. 215, comma 2, c.p.c. e potendo quindi il giudice avvalersi di altri mezzi di prova, comprese le presunzioni), né la copia integrale, non essendovi alcuna norma che lo imponga o che ne sanzioni l’omissione con la nullità della stessa o della sua notifica. (Cass. Sez. 6, 11/10/2018, n. 25292). Dall’altro, ricordare che: ‘In tema di notifica della cartella esattoriale, laddove l’agente della riscossione produca in giudizio copia fotostatica della relata di notifica o dell’avviso di ricevimento (recanti il numero identificativo della cartella), e l’obbligato contesti la conformità delle copie prodotte agli
originali, ai sensi dell’art. 2719 c.c., il giudice, che escluda, in concreto, l’esistenza di una rituale certificazione di conformità agli originali, non può limitarsi a negare ogni efficacia probatoria alle copie prodotte, in ragione della riscontrata mancanza di tale certificazione, ma deve valutare le specifiche difformità contestate alla luce degli elementi istruttori disponibili, compresi quelli di natura presuntiva, attribuendo il giusto rilievo anche all’eventuale attestazione, da parte dell’agente della riscossione, della conformità delle copie prodotte alle riproduzioni informatiche degli originali in suo possesso. (Cass. Sez. 6, 11/10/2017, n. 23902; conf. Cass. Sez. 5, 04/10/2018, n. 24323; in precedenza Cass. Sez. 3, 20/08/2015 n. 16998).
D’altro canto, come ben argomenta la sentenza impugnata, la contestazione della conformità della copia all’originale non può essere introdotta con clausole di stile o in modo generico. Ed invero, ‘In tema di prova documentale il disconoscimento delle copie fotostatiche di scritture prodotte in giudizio, ai sensi dell’art. 2719 c.c., impone che, pur senza vincoli di forma, la contestazione della conformità delle stesse all’originale venga compiuta, a pena di inefficacia, mediante una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale, non essendo invece sufficienti né il ricorso a clausole di stile né generiche asserzioni. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha escluso che il contribuente avesse disconosciuto in modo efficace la conformità delle copie agli originali, in quanto, con la memoria illustrativa, si era limitato a dedurre la mancata produzione degli originali delle relate di notifica e la non conformità “a quanto espressamente richiesto” con il ricorso). (Cass. Sez. 5, 20/06/2019, n. 16557; cfr. anche Sez. 6-5 del 25/05/2021 n. 14279)
Il ricorso deve, dunque, essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità, da liquidare in euro 5.880,00, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità, da liquidare in euro 5.880,00, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16 maggio 2025