Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21590 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21590 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/07/2025
Oggetto: intimazione di pagamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. R.G. 10337/2021 proposto da:
NOME COGNOME con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME società tra RAGIONE_SOCIALE. che, con l’avv. NOME COGNOME, lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale in atti (con indirizzo PEC: EMAIL e EMAIL);
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore e RAGIONE_SOCIALE in persona del
Presidente pro tempore ambedue rappresentate e difese come per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato (con indirizzo PEC: EMAIL)
-controricorrenti –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 2898//20 depositata in data 08/10/2020, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 29/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
–NOME COGNOME impugnava innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma l’intimazione di pagamento n. 0972017 9001719629, notificata in data 18 febbraio 2017, con riferimento alle cartelle di pagamento presupposte n. NUMERO_CARTA relativa a omesso versamento dell’imposta di registro anno 1996 di € 154,98, n. NUMERO_CARTA relativa a omesso versamento dell’imposta di registro anno 1995 di € 9.394,36, e n. 09720020308214148 relativa a omesso versamento dell’IVA anno 1998 di € 5.589,20;
-la CTP rigettava i ricorsi;
-appellava il contribuente;
-la CTR con la sentenza qui gravata ha confermato la decisione di primo grado;
-ricorre a questa Corte NOME COGNOME con atto affidato a tre motivi di doglianza; lo stesso ha anche depositato memoria;
-l’Amministrazione Finanziaria e il Riscossore resistono con controricorso;
Considerato che:
-il primo motivo di ricorso deduce la erronea qualificazione della normativa in materia di disconoscimento della copia della relata di notifica della cartella esattoriale, con conseguente onere di produrre l’originale e lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2719 c.c., art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973 e art. 26, comma 4 del d.P.R. n. 602 del 73 ex art. 360, comma, 1, n. 3 c.p.c.;
-secondo la parte ricorrente, la sentenza gravata risulta censurabile sotto il riguardo dell’illegittima ed arbitraria interpretazione della normativa in materia di notifiche in materia tributaria, laddove il Giudice del gravame, nel ritenere regolare la procedura di notifica della cartella impugnata, ha affermato che ‘che l’avviso di ricevimento costituisce prova dell’avvenuta notificazione’;
-il motivo è inammissibile ex art. 360bis n. 1 c.p.c.;
-nel caso di specie, come si legge nella pronuncia impugnata, il riscossore ha provato la regolarità della notifica producendo le copie degli avvisi di ricevimento, a fronte dei quali -come ha accertato in fatto la CTR con valutazione non suscettibile di revisione in questa sede di Legittimità ‘non è stata proposta querela di falso avverso le copie degli avvisi di ricevimento, mentre il disconoscimento della conformità all’originale delle copie versate in atti è generico, non contenendo uno specifico riferimento alla parte di documento la cui conformità è contestata’;
-la fattispecie si inquadra allora nella costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale (tra moltissime, Cass. Sez. 5 , Ordinanza n. 28373 del 05/11/2024) il deposito in giudizio della copia fotostatica dell’avviso di ricevimento, munito di attestazione di conformità all’originale ad opera
dell’agente della riscossione, ai sensi dell’art. 5, comma 5, del d.L. n. 669 del 1996, conv. con modif. dalla L. n. 30 del 1997, è sufficiente dimostrare l’avvenuta notificazione della cartella di pagamento che costituisce presupposto dell’avviso di intimazione, oggetto di impugnazione, ed il suo eventuale disconoscimento dev’essere circostanziato e non generico, con indicazione dei documenti specifici che si contestano e degli aspetti che, secondo il contribuente, sono difformi dall’originale, nonché con allegazione di idonea prova;
-non solo: la piena idoneità dell’avviso di ricevimento a dar prova della notifica si evince anche da quella conforme giurisprudenza secondo la quale (tra molte, si vedano per tutte Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 23426 del 26/10/2020 ma anche Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 23902 del 11/10/2017) in tema di notifica della cartella esattoriale, laddove l’agente della riscossione produca in giudizio copia fotostatica della relata di notifica o dell’avviso di ricevimento (recanti il numero identificativo della cartella) e l’obbligato contesti la conformità delle copie prodotte agli originali, ai sensi dell’art. 2719 c.c., il giudice che escluda l’esistenza di una rituale certificazione di conformità agli originali, non può limitarsi a negare ogni efficacia probatoria alle copie prodotte, ma deve valutare le specifiche difformità contestate alla luce degli elementi istruttori disponibili, compresi quelli di natura presuntiva, attribuendo il giusto rilievo anche all’eventuale attestazione, da parte dell’agente della riscossione, della conformità delle copie prodotte alle riproduzioni informatiche degli originali in suo possesso;
-in sintesi, quindi, nel presente caso la Corte di merito ha correttamente pronunciato, poiché essa ha in primo luogo, giustamente, ritenuto idoneo a dar prova della notifica l’avviso di ricevimento e altrettanto giustamente dopo aver accertato in fatto, con valutazione intoccabile da questo Giudice di Legittimità, la genericità del riconoscimento -ritenuto non idoneo tale disconoscimento a paralizzare la valenza probatoria del ridetto avviso di ricevimento;
-di qui l’inammissibilità del motivo;
-il secondo motivo di ricorso lamenta la erronea qualificazione della normativa in materia di obbligo di conservazione e di produzione della copia della cartella di pagamento; denuncia quindi la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973 in relazione all’art. 360, comma, 1, n. 3 c.p.c.; secondo parte ricorrente la sentenza che qui si contesta risulta palesemente illegittima laddove il Giudice del gravame ha ritenuto regolare la notifica del summenzionato atto impositivo, nonostante il ricorrente avesse chiesto in entrambi i gradi la produzione in giudizio della cartella di pagamento da parte dell’Agenzia delle Entrate;
-il motivo, per ragioni connesse alle argomentazioni già illustrate con riguardo alla censura che precede, è parimenti inammissibile ex art. 360bis n. 1 c.p.c.;
-va qui ribadito il principio già enunciato ripetutamente e diffusamente da questa Corte secondo il quale ove il concessionario notifichi la cartella esattoriale nelle forme ordinarie o comunque con messo notificatore, anziché con raccomandata con avviso di ricevimento, per la prova della
notificazione è sufficiente la produzione della relata, della matrice o dell’estratto di ruolo, non sussistendo un onere di produzione della cartella (in termini si rimanda, tra molte, a Cass. Sez. 5, Sentenza n. 23039 del 11/11/2016; ma anche a Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 23902 del 11/10/2017);
-il terzo motivo si duole della erronea qualificazione della normativa in materia di prescrizione della pretesa erariale, quale violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 c.c. in relazione all’ art. 360, comma, 1, n. 3 c.p.c.; secondo parte ricorrente andava accolta l’eccezione di prescrizione sollevata da COGNOME, tenuto conto del periodo di tempo intercorrente tra la presunta notifica delle summenzionate cartelle, che a detta dell’Ufficio sarebbe avvenuta in data 9 maggio 2006, e la notifica degli avvisi di intimazione n. NUMERO_CARTA e n. NUMERO_CARTA, entrambi notificati il 26 marzo 2013 in quanto il termine per riscuotere i crediti erariali (IRPEF, IVA, IRAP, etc.) a seguito della notifica della cartella esattoriale e di qualsiasi altro atto amministrativo di natura accertativa è -nella prospettazione del ricorrente quinquennale – e non decennale;
-il motivo è anch’ esso inammissibile ex art. 360bis n. 1 c.p.c.;
-al riguardo, è stato affermato che «secondo la consolidata interpretazione di questa Corte (cfr. Cass. n. 24322/14; n.22977/10; n. 2941/07 e n. 16713/16; Cass. 32308/2019), ‘il credito erariale per la riscossione dell’imposta soggetto non già al termine di prescrizione quinquennale previsto all’art. 2948 c.c., n. 4, “per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”, bensì
all’ordinario termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c., in quanto la prestazione tributaria, attesa l’autonomia dei singoli periodi d’imposta e delle relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il debito, anno per anno, da una nuova ed autonoma valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivo”. Crediti di imposta sono, in via generale, soggetti alla prescrizione ordinaria decennale, ex art. 2946 c.c., a meno che la legge disponga diversamente (come, ad esempio, la L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, per i contributi previdenziali) e, in particolare i crediti IRPEF e IVA sono soggetti alla prescrizione decennale (Cass. 9906/2018; Cass. 32308/2019)» (Cass. n. 25716 del 2020; v. anche Cass. 24322 del 2014; Cass. n. 16232 del 2020). In termini analoghi questa Corte si è espressa recentemente: «il credito erariale per la riscossione di IRPEF, IRAP, IVA e canone RAI si prescrive nell’ordinario termine decennale, attesa la mancata previsione di un termine più breve, in deroga a quello di cui all’art. 2946 c.c., mentre non opera l’estinzione quinquennale ex art. 2948, comma 1, n. 4, c.c., in quanto l’obbligazione tributaria, pur consistendo in una prestazione annuale, ha carattere autonomo ed unitario, cosicché il singolo pagamento non è mai legato ai precedenti, ma risente di nuove ed autonome valutazioni circa la sussistenza dei presupposti impositivi» (Cass. n. 33213 del 2023);
-nel ritenere quindi applicabile ai tributi di cui all’intimazione impugnata la prescrizione decennale, la CTR si è adeguata ai ridetti principi e ha quindi correttamente pronunciato in
diritto;
-in conclusione, il ricorso va rigettato;
-le spese sono regolate dalla soccombenza e vengono liquidate in dispositivo;
p.q.m.
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore di parte controricorrente che liquida in euro 1.500,00, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei contribuenti ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2025.