Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 28328 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 28328 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/10/2025
Oggetto : Cartella di pagamento IRAP 2014 – Notifica da indirizzo pec non iscritto in pubblico registro – Validità Condizioni – Motivazione della cartella Agevolazioni RAGIONE_SOCIALE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4995/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (incorporante per fusione la RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato ed allegato al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata presso l’indirizzo pec del difensore EMAIL;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente –
e
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore ;
avverso la sentenza della Commissione regionale tributaria della Campania, n. 6164/15/2021, depositata in data 19 luglio 2021. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’8 ottobre 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
L ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE riscossione notificava all a società RAGIONE_SOCIALE la cartella di pagamento n. 02820170026604317, relativa ad IRAP 2014 (per Euro 60.847,00, oltre sanzioni ed interessi), a seguito di controllo automatizzato eseguito ex art. 36bis d.P.R. n. 600/1973.
La società proponeva ricorso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Caserta (d’ora in avanti, per brevità, CTP), deducendo: a) la nullità della cartella per vizio di motivazione; b) l’invalidità della notifica della cartella di pagamento, esegu ita senza l’estensione del file p7m; c) il mancato riconoscimento del maggior credito dichiarato.
La CTP rigettava il ricorso, ritenendo, in primo luogo, sanata la nullità della notifica per effetto del raggiungimento dello scopo, ovvero della conoscenza dell’atto, desumibile dalla sua impugnativa, in secondo luogo, insussistente il deficit motivaziona le dell’atto (contenente tutti gli elementi essenziali della pretesa impositiva), e, infine, che il credito di imposta 2013, chiesto con la dichiarazione integrativa presentata il 2 novembre 2015, non poteva essere preso in considerazione stante la tardività della dichiarazione integrativa.
La società proponeva appello avverso la decisione dei giudici di primo grado, affidandosi a 5 motivi: a) omessa decisione sulla richiesta subordinata di compensazione tra le somme maturate a credito ai sensi dell’art. 2, d.P.R. n. 322/1998, e la pretesa tributaria portata dalla cartella; b) l ‘erroneità della sentenza per non aver annullato la cartella per effetto della nullità della pretesa erariale; c) il difetto di motivazione perché analoga cartella di pagamento (per l’anno 2012) era stata annullata i n autotutela; d) l’inesistenza della notifica della cartella; e) il difetto di motivazione della cartella.
La Commissione tributaria regionale della Campania rigettava il ricorso condividendo la decisione di prime cure in relazione al raggiungimento dello scopo della notifica (nulla) della cartella di pagamento, per effetto dell’impugnativa della stessa, e ritenendo congruamente motivata la cartella impugnata in ordine all’oggetto della pretesa ed agli interessi. Circa la ‘principale questione di merito (l’importo dichiarato e non versato, siccome portato in compensazione, era stato ritenuto omesso versamento, essendo la dichiarazione integrativa presentata oltre il termine di legge vigente all’epoca)’ il giudice di appello rilevava che non era stata contestata dall’appellante società, che ‘aveva , viceversa, argomentato in ordine alla spettanza del credito riportato in compensazione, invocando l’applicazione della disposizione dell’art. 2 D.P.R. 322/98’ ma non avendo provato la sussistenza certa del credito vantato (ultima pagina della sentenza).
Contro la decisione della CTR propone ricorso per cassazione la contribuente, affidato a quattro motivi. L ‘ RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso. L’RAGIONE_SOCIALE è rimasta, invece, intimata.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 08/10/2025. Il Sostituto Procuratore Generale, nella persona del AVV_NOTAIO. NOME COGNOME, ha depositato memoria ex art. 380bis1 cod. proc. civ. con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso la contribuente deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 comma 8 bis D.P.R. 322/98». Sostiene, precisamente, che erroneamente la CTR avrebbe negato la spettanza del credito IRAP per un difetto di prova dello stesso; infatti, la ricorrente aveva provato la propria pretesa, evidenziando di aver registrato costi non dedotti in precedenza (derivanti dal malfunzionamento dei pannelli fotovoltaici) presentando, al variare dei valori della produzione per gli anni dal 2012 al 2014, dichiarazioni integrative.
Il motivo è inammissibile.
È noto che nel giudizio d’impugnazione della cartella di pagamento emessa dall’amministrazione finanziaria ex art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 per omesso versamento dell’imposta nella misura indicata nella dichiarazione dei redditi, spetta al contribuente, il quale conserva la disponibilità della copia RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni presentate, anche tramite l’accesso ad appositi spazi di archiviazione riservati nei sistemi informatici dell’amministrazione, eccepire e dimostrare il fatto impeditivo o modificativo della pretesa sul fondamento o della riferibilità ad altri della dichiarazione o RAGIONE_SOCIALE vicende per le quali essa debba considerarsi tamquam non esset ovvero, non contestata la presentazione, di una divergenza RAGIONE_SOCIALE basi di calcolo utilizzate in cartella rispetto a quelle risultanti dalle dichiarazioni o dalle ricevute degli eventuali versamenti effettuati (Cass. 22/04/2024, n. 19824).
Nel caso di specie l ‘Ufficio ha dedotto che la contribuente aveva riportato, nella dichiarazione integrativa, un credito in compensazione non spettante. Ora, sulla società spettava dimostrare il fatto estintivo della pretesa tributaria che ella stessa, con la propria dichiarazione, ha inizialmente confermato.
Tale prova è stata ritenuta non raggiunta dal giudice d’appello, il quale ha espressamente ritenuto che ‘non si comprende come una dichiarazione integrativa del 2015 potesse fare riferimento alle statuizioni di una sentenza civile, di I grado, del 2018’ .
Ed allora può rilevarsi che il motivo di ricorso in scrutinio mira in realtà ad una diversa valutazione del materiale probatorio ed a sovvertire, in modo inammissibile, il giudizio di fatto compiuto dal giudice di merito di secondo grado.
Orbene, a tal riguardo è sufficiente ricordare che secondo il costante insegnamento di questa Corte (da ultimo, Cass. 23/04/2024, n. 10927) «deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al
ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme»; in precedenza anche le Sezioni Unite (sent. n. 34476 del 27/12/2019), avevano affermato esplicitamente che «è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito».
Del resto, con più specifico riferimento alla valutazione probatoria dei documenti operata dal giudice del merito, si è affermato che «la valutazione RAGIONE_SOCIALE prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, c.p.c., in esito all’esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità RAGIONE_SOCIALE fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. non consente di censurare la complessiva valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito» (Cass. 19/07/2021, n. 20553).
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., l’«omess o esame di un fatto decisivo per il giudizio», ovvero ‘tutta la documentazione probatoria della sussistenza del credito IRAP indicato nelle dichiarazioni integrative’ (pag. 9 del ricorso).
Il motivo è inammissibile.
L’art. 360, comma primo, cod. proc. civ., nella formulazione introdotta dal legislatore nel 2012 (d.l. 83/2012) ed applicabile ratione temporis, prevede, per quanto qui rilevi, che le sentenze emesse in grado di appello possono essere impugnate con ricorso per cassazione:
…5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Nonostante la ratio della riforma fosse chiara, ovvero, da un lato, evitare l’abuso dei ricorsi basati sul vizio di motivazione, dall’altro, limitare il sindacato sul fatto in Cassazione, la formulazione della norma, molto criticata in dottrina, ha generato numerose questioni interpretative e questa Corte è stata chiamata a delimitare l’ambito di applicazione del motivo de quo.
In termini generali, si è affermato che è denunciabile, ex art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U. 07/04/2014 n. 8053, Cass. Sez. U. 21/12/2022 n. 37406, Cass. n. 12111/2019).
Al di fuori di queste ipotesi, quindi, è censurabile ai sensi del n. 5) soltanto l’omesso esame di un fatto storico controverso, che sia stato oggetto di discussione e che sia decisivo; di contro, non è più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo a giustificazione della decisione adottata sulla base degli elementi fattuali acquisiti e ritenuti dal giudice di
merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. n. 2474/2017).
Per fatto decisivo deve intendersi innanzitutto un fatto (inteso nella sua accezione storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico) principale o secondario, che sia processualmente esistente, in quanto allegato in sede di merito dalle parti ed oggetto di discussione tra le parti, che risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e se preso in considerazione avrebbe determinato una decisione diversa (Cass. n. 9637/2017).
Pertanto, non costituiscono ‘fatti’ suscettibili di fondare il vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., le argomentazioni o deduzioni difensive, il cui omesso esame non è dunque censurabile in Cassazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 (Cass. n. 9637/2021 cit.), né costituiscono ‘fatti storici’ le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative (Cass. n. 10525/2022).
Pacifica, poi, l’applicabilità della norma al processo tributario (così Sez. U. n. 8053/2014 cit.), questa Corte, in tema di contenzioso tributario, ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale non si censuri l’omesso esame di un fatto decisivo ma si evidenzi solo un’insufficiente motivazione per non avere la CTR considerato tutte le circostanze della fattispecie dedotta in giudizio (Cass. 28/6/2016 n. 13366, in materia di idoneità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese da un terzo a fondare la prova, da parte della contribuente, di fatture per operazioni inesistenti).
Nella specie, in presenza di una cd. doppia conforme era onere della ricorrente indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ( ex multis , Cass. n. 8515/2020). A tale onere non ha adempiuto la società ricorrente, per cui il motivo è inammissibile.
Con il terzo motivo la società contribuente deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione dell’art. 26 D.P.R. 602/73 in combinato disposto con la normativa Cad ed Inipec» per non avere la CTR affermato l’inesisten za della notifica della cartella, in quanto eseguita a mezzo pec proveniente da un indirizzo non inserito nell’elenco IPA.
Il motivo è infondato.
Secondo il costante orientamento di questa Corte la notifica di un atto a mezzo pec da un indirizzo non presente nei pubblici registri non è nulla ove la stessa abbia consentito, comunque, al destinatario di svolgere compiutamente le proprie difese, senza alcuna incertezza in ordine alla provenienza ed all’oggetto della notifica, tenuto conto che una maggiore rigidità formale in tema di notifiche digitali è richiesta per l’individuazione dell’indirizzo del destinatario.
Il principio, affermato con riferimento alla notifica del ricorso per cassazione da parte della Procura Generale della Corte dei Conti (Cass. Sez. U. 18/05/2022, n. 15979), è stato ritenuto applicabile anche in ambito tributario (Cass. 28/02/2024, n. 5263)
Premessa, quindi, la non predicabilità dell’inesistenza della notificazione proveniente da un indirizzo PEC non contenuto in pubblici registri, l’ipotizzata irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna telematica – come, nella specie, accertato dalla CTR ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale (Cass., Sez. U., n. 7665/2016).
Con il quarto (ed ultimo) motivo la società contribuente deduce, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 legge 212/2000 in relazione alla mancata motivazione sugli interessi e sulle sanzioni». Ribadisce che la cartella è totalmente carente nella motivazione in relazione al calcolo degli interessi e RAGIONE_SOCIALE sanzioni irrogate, contestando la decisione della CTR sul punto; afferma, in particolare,
che secondo l’orientamento della Suprema Corte la cartella di pagamento deve contenere l’indicazione dei motivi della liquidazione dei dati su cui si fonda, al fine di consentire al contribuente di effettuare un controllo sulla correttezza RAGIONE_SOCIALE liquidazione di imposta e di esercitare una efficace difesa.
Il motivo è inammissibile non avendo la società ricorrente riportato nel ricorso il contenuto della cartella, impedendo a questa Corte la verifica della congruità della motivazione della stessa.
Il motivo è, comunque, infondato.
La CTR ha ritenuto congruamente motivata, anche in punto di interessi, la cartella di pagamento, emessa ex art. 36bis d.P.R. n. 600/1973, richiamando la giurisprudenza di questa Corte secondo cui in caso di cartella di pagamento emessa a seguito di controllo automatizzato ex art. 36bis d.P.R. n. 602/1973 l’obbligo motivazionale è soddisfatto mediante il richiamo alla dichiarazione dalla quale deriva il debito di imposta, essendo il criterio di liquidazione degli interessi predeterminato dall’art. 20 del d.P .R. n. 602 del 1973, risolvendosi, pertanto, la relativa applicazione, in una mera operazione matematica.
La decisione, in parte qua , è conforme alla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. U. 14/07/2022, n. 22281; conf. Cass. 23/10/2024, n. 27504), secondo la quale «quanto alle ipotesi di controllo automatizzato – artt. 36-bis d.P.R. n.602/1973 e 54-bis d.P.R. n.633/1972 – è sufficiente evidenziare che il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può considerarsi assolto dall’Ufficio mediante il mero richiamo alla dichiarazione medesima, proprio con riferimento al debito per tributi vari ed interessi. 13.5.1 Tuttavia, il riferimento agli elementi della dichiarazione – quadro, modulo, rigo, periodo di riferimento, data degli eventuali versamenti tardiviesonera l’amministrazione dall’onere motivazionale in ordine all’obbligazione relativa agli interessi (Cass., 8 marzo 2019, n. 6812, più volte cit.),
limitatamente alla decorrenza dell’obbligazione che il contribuente può agevolmente individuare, mentre lascia inalterata la necessità che l’emittente la cartella fornisca l’indicazione del parametro normativo in base al quale l’amministrazione ha procedut o al computo degli interessi indicati in cartella»; «in tema di avviso di accertamento o di liquidazione di maggiori imposte dovute dal contribuente, l’obbligo di motivazione relativo alla pretesa per interessi è assolto attraverso l’indicazione dell’importo monetario richiesto, della relativa base normativa – che può anche essere desunta implicitamente dalla specifica individuazione della tipologia e della natura degli accessori reclamati ovvero dal tipo di tributo cui accedono – e della decorrenza dalla quale sono dovuti, senza necessità di indicare i singoli saggi periodicamente applicati o le modalità di calcolo».
Il ricorso va, in definitiva, integralmente rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Nulla va disposto con riferimento alla posizione di RAGIONE_SOCIALE, rimasta intimata.
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento a pagare, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, le spese di lite, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del l’8 ottobre 2025.
Il Presidente
NOME COGNOME